Nick: Coatlicue Oggetto: Voglio cibarmi di te Data: 24/9/2004 9.29.26 Visite: 122
Questo non è un racconto erotico. Magari deludo le aspettative di qualcuno. Però se riuscite a trovare uno sfondo erotico alla vicenda, vi porgo i miei più sinceri complimenti. Non è un racconto erotico perché la nostra protagonista non ha nulla di erotico, sotto tutti i punti di vista. Lei non sogna mirabili imprese di letto, è convinta di non avere le caratteristiche mentali e fisiche per avere e suscitare desiderio. Magari ogni tanto le piacerebbe che una mano sfiorasse la sua guancia e che due labbra morbide la baciassero, ma sa che al momento la sua preoccupazione principale è un’altra. La preoccupazione principale della nostra amica è mangiare, ingurgitare cibo a prescindere dalla prelibatezza o meno del piatto. Lei non è una buongustaia raffinata che apprezza la cucina in maniera sana o che ama le tavolate con gli amici innaffiate da un buon vinello rosso. Mangia sempre da sola perché si vergogna di essere guardata in quella circostanza così maledettamente banale. Banale per gli altri, ma non per lei. Perché la sua voracità la conduce spesso a venir meno alle regole del buon gusto a tavola: le sue posate sono le mani con cui scava con fare famelico nel piatto, ammesso che ne esista uno; molto spesso si tratta di attingere direttamente dal frigorifero o dalla credenza e portare il tutto alla bocca. Come potete comprendere, tutto ciò è ben lontano dal solito giochino erotico di mangiare con le mani per scatenare appetiti sessuali. In realtà, se vivessimo in America Latina, potremmo fare un associazione mentale tra i vari significati del verbo "comer" e scopriremmo che, oltre al significato ufficiale di mangiare, questo verbo significa anche fare l’amore, in una sorta di connubio tra il cibo e il sesso. Immaginate la poesia del momento: due corpi che si annusano, si assaggiano, si leccano proprio come si fa per un piatto squisito. E lei impazzirebbe al pensiero di potersi cibare di qualcuno. Mea culpa: qui la vena erotica l’ho inserita perché non potevo farne a meno. Siamo tuttavia anni luce dal significato che la nostra amica da al verbo mangiare. Questa finezza non le appartiene perché lei ha iperbolizzato il senso stesso del verbo dandogli una valenza completamente negativa: il cibo non è più sussistenza o raffinatezza, ma fonte di angoscia continua. Paradossalmente lei spera che il cibo possa alleviare i suoi malesseri e darle conforto, e invece non fa altro che amplificare tutto il dolore che tiene dentro ormai da troppi anni. Il corpo ne risulta deformato, nulla a che vedere con un ipotetico oggetto di desiderio da parte del maschio. Un maschio che la deride, la mortifica, la rifiuta giorno dopo giorno. Il cibo controlla e vincola la sua giornata, scandisce i ritmi del quotidiano in una corsa inarrestabile dalla mano alla bocca allo stomaco…alla tazza del cesso.
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