Nick: Coatlicue Oggetto: Eolie Data: 4/10/2004 12.39.22 Visite: 109
La tanto agognata estate è un teatro troppo affollato per le note sprigionate dalle sette sorelle, le sette isole che si sparpagliano indisciplinate al largo della costa siciliana. È solo in giornate come queste primaverili, che l’orecchio attento di un ascoltatore appassionato può cogliere la musica che promana dalla loro orchestra naturale fatta di terra e di mare. Suoni che hanno di per sé una loro dignità musicale; ma suoni che, vissuti nel loro insieme, fanno sì che l’ascoltatore cada come posseduto dalla loro mirabile combinazione, dopo aver conosciuto una per una le musicali isole. Lipari è dell’orchestra il naturale direttore: posta al centro di essa, vigila e modera l’estro e le fughe delle consorelle, tentando di ricondurre ad armonia la loro anarchica melodia. È la maggiore, è una matrona degna di un racconto latinoamericano, ma come tutte le brave donne di casa ogni tanto nasconde la polvere sotto il tappeto. Salina è un arrangiamento di archi, un tappeto sonoro sospeso tra l’elettronica e la malvasia, tra il seno delle sue due vette e il grembo di Pollara; troppo vicina al direttore d’orchestra per tentare ribellioni che non siano esclusivamente intellettuali. Vulcano è lo zio debosciato e bohemien, aperto anche alle visite più disdicevoli, suona in qualsiasi momento le sue percussioni africane, non sempre le altre apprezzano rumori e gli odori che tanto lo divertono. Panarea è la cugina allegrotta, con i suoi locali e le sue mode, la festa danzante dei suoi scogli che si muovono al ritmo delle sue note da discoteca, in attesa di sapere a chi toccherà, stavolta, godere delle sue grazie al termine delle sue interminabili notti. Stromboli è il nonno trombone e un po’ rompiscatole, quello che tutti temono nei discorsi, ma poi non possono fare a meno di andare a trovare; è il vecchio fucile da caccia del nonno, pericoloso ma al tempo stesso sicuro nelle sue affidabili mani: mani a cui alla fine si riescono a perdonare anche quegli inquietanti colpi di grancassa. Alicudi e Filicudi dalla loro finisterre soffiano a pieni polmoni nella loro sezione fiati per attirare l’attenzione dei compagni lontani e del pubblico distratto dalle lusinghe degli altri suonatori e fiaccato dalla distanza. La prima, più timida, preferisce accodarsi all’estro della seconda: più disinvolta e intraprendente, quest’ultima non ha timore nel mostrare i suoi strumenti, la Canna e la Grotta. È questo l’unico concerto che non mi stancherò mai di ascoltare.
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