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Nick: WaLK
Oggetto: Fine di una vicenda italiana..
Data: 16/10/2004 19.1.4
Visite: 128

Il capitolo Andreotti si è chiuso definitivamente, anche se sono serviti sette processi in dodici anni circa. Che sia la fine delle strumentalizzazioni politiche spicciole, da una parte e dall'altra, lo si spera.
Certo considerazioni personali se ne possono e se ne devono fare. Adesso sì, qualche somma va tirata. In attesa della motivazione della sentenza, elementi di fatto definitivi che possono essere oggetto di valutazione ce ne sono già.




Stralci della sentenza della Cassazione, confermativa di quella della Corte d'Appello.

Giulio Andreotti ha "commesso" il "reato di partecipazione all'associazione per delinquere" (Cosa Nostra), "concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980", che però è "estinto per prescrizione".

Nel 1979 Andreotti scende a Catania per incontrare il boss Stefano Bontade che minaccia la vita di Piersanti Mattarella: "Frena l'impeto dei mafiosi, prende tempo, li rassicura additando una soluzione "politica'". Poi torna a Roma e non fa assolutamente nulla. Non avverte nemmeno Mattarella della minaccia incombente. Bontate fa trucidare Mattarella nel gennaio '80.

Nella primavera '80 Andreotti torna in Sicilia (stavolta a Palermo) da Bontade, dopo il delitto Mattarella per "chiedere chiarimenti". Bontade risponde "con arroganza". Andreotti capisce che "era stato un grave errore immaginare di poter agevolmente disporre dei mafiosi e di guidarne le scelte imponendo, con la propria autorevolezza e il proprio prestigio, soluzioni incruente e "politiche" ai problemi insorti, era stato un abbaglio assegnare alla mafia il riduttivo ruolo di strumento di ordine e di controllo della criminalità... era stato, in definitiva, un grave errore intrattenere buone relazioni con i mafiosi, chiedere loro qualche favore, indurre in essi il convincimento di poter contare sulla sua amicizia".

Andreotti, per anni, "ha indotto i mafiosi a fidarsi di lui e a parlargli anche di fatti gravissimi (come l'assassinio di Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati, ha omesso di denunciare le loro responsabilità, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza".

Andreotti aveva una "propensione a intrattenere personali, amichevoli relazioni con esponenti di vertice di Cosa Nostra", per garantirsi "la possibilità di utilizzare la struttura mafiosa per interventi extra ordinem... forme di intervento para-legale che conferisce, a chi sia in possesso dei canali che gli consentano di sperimentarle, un surplus di potere rispetto a chi si attenga ai mezzi legali".

Nel caso Mattarella Andreotti "non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia all'incolumità del presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi preposti e allontanandosi definitivamente dai mafiosi, denunciando a chi di dovere le loro identità e i loro disegni". Ma ha "dialogato con i mafiosi e palesato la volontà di conservare le amichevoli, pregresse fruttuose relazioni con essi".

Andreotti "indica ai mafiosi le strade da seguire e discute con loro di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati... senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati", poi "omette di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui è venuto a conoscenza in di-pendenza di diretti contatti con i mafiosi". Così la mafia si rafforza e i boss si sentono, "anche per la sua autorevolezza politica, protetti al più alto livello del potere legale".

"E' condivisibile che i mafiosi si siano determinati ad alzare il tiro su un così eminente esponente del partito di maggioranza relativa (Mattarella, ndr) anche perché supponevano di non incorrere in conseguenze pregiudizievoli in quanto contavano sull'appoggio di ancora più importanti personaggi politici (Andreotti e Lima, ndr)".



".."

In sostanza dalla sentenza della Cassazione si evince che fino al 1980, Giulio Andreotti ebbe rapporti con la mafia. Incontrò i capi di Cosa Nostra. Interagì con essi. Chiese favori. Trattò in terra di Sicilia e di mafia, come un capo di Stato che si rivolge ad altri capi di Stato. Mantenne «amichevoli relazioni», nella speranza di addomesticare la bestia mafiosa. Indicò il comportamento da tenere sulla delicatissima questione di Piersanti Mattarella, il presidente della regione siciliana che poi sarebbe stato assassinato dalla mafia. Non denunciò le responsabilità dei boss, consapevoli di non correre rischi. Ma questi comportamenti, sino al 1980, vanno prescritti perché ancora non esisteva il reato di associazione mafiosa, bensì quello di semplice associazione. E va confermata in pieno l'assoluzione di Andreotti per il periodo successivo, quando si distinse, con provvedimenti legislativi ad hoc, per sicuro impegno antimafioso. (Saverio Lodato)

".."



NON è un'assoluzione con formula piena dunque. Il reato è stato commesso, ma si è prescritto, per il periodo fino all'80. Non sussiste per il periodo successivo.
Fin qui i fatti.


Ciò mi porta a considerare sfoggio di inutile retorica buonista e di parte le parole di chi, come Casini, si felicita per l'esito del giudizio valutandolo una vittoria delle Istituzioni. Per quanto sia oggettivo l'impegno di Andreotti contro la Mafia, in anni successivi a quelli dei fatti contestati, resta assurdo a mio giudizio che il Presidente del Consiglio di quegli anni abbia tenuto una condotta improntata alla collaborazione con determinati ambienti, sia pur nell'ottica di rabbonirli e controllarli, non certo per scagliarli contro lo Stato. Lo trovo un espediente, da parte sua, nel migliore dei casi "ingenuo", oltre che moralmente deprecabile. Un tentativo maldestro di perseguire un fine utile per lo Stato in una maniera che ai più apparirebbe fuori da ogni logica. O che almeno lo è per me. Non credo alla sua malafede, non del tutto comunque. Sparare a zero mi sembra eccessivo, ma al contempo valutare questa figura come esempio da seguire, come molti vogliono far credere beandosi di una sentenza che di assoluzione piena non è affatto, mi pare del tutto fuori luogo. L'impegno di certi anni, ed il non aver commesso fatti di reato dopo il 1980, non cancella per me la valutazione negativa di una persona e di un uomo politico che ha creduto fino a quella data di potersi destreggiare nel gioco di una facile collaborazione con la mafia, contrubuendo a determinare, probabilmente, più danni di quelli che avrebbe voluto e potuto evitare.












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