Nick: Hightecno Oggetto: eros & pathos (cap XXIX) Data: 25/10/2004 21.22.9 Visite: 46
dedicato alla diabolica,colei dai post di alto livello Ognuno di noi è portatore di un profondo vissuto di inadeguatezza di fronte al mondo, di una sensazione intrinseca di disagio, di dolore silente. La nostra vita interiore prende forma a contatto con la sofferenza, nel momento in cui la tensione che questa genera ci costringe a ricercare delle soluzioni che la risolvono. L’errore più grande che si compie nell’intraprendere tale cammino è quello di cercare nel mondo esterno il conforto che riteniamo necessario per affrontare e superare questa sofferenza. In un primo momento, tale soluzione appare più che «naturale», in quanto sin dall'infanzia veniamo abituati a ricercare le risposte ai nostri quesiti all'interno delle convenzioni e degli schemi già dati dalla cultura dominante, procrastinando in tal modo il momento dell'acquisizione critica di una nostra autonomia. Anche all'interno del rapporto amoroso siamo portati ad affidarci completamente alla persona amata, come se questa fosse un potentissimo agente di guarigione, di crescita e di evoluzione personale. Sebbene la dimensione amorosa costituisca uno straordinario strumento di trasformazione, non è possibile delegare completamente all'Altro la soluzione del nostra problematicità, dato che la domanda che la propria diversità impone è sempre personale, e viene a formularsi in un linguaggio che solo il singolo può decifrare, un linguaggio particolarissimo, individuale, che impone una risposta altrettanto peculiare. L'esigenza più grande dell'essere umano è quella della relazione, del bisogno di fondare relazioni di fiducia, legami significativi e gratificanti. Dall'osservazione della fenomenologia dell'incontro amoroso, notiamo subito che la persona che cattura la nostra attenzione e ci colpisce con un solo sguardo ispirandoci fiducia, ha anzitutto una forte capacità di entrare in contatto empatico con il nostro mondo interno, con la nostra individualità. Questa persona conosce e parla il linguaggio dell'Eros. Si dice di essa che «ci ha toccato». Il verbo toccare è particolarmente congeniale alla modalità di Eros: sin da quando veniamo alla luce, la nostra prima esigenza è quella del contatto corporeo, dell'essere accarezzati, accuditi, letteralmente «toccati». La comunicazione con il mondo passa attraverso la gestualità calda del rapporto con il corpo e con le mani della madre, ci si accorge che i momenti fondamentali della vita e della relazione si accompagnano, e ricercano il contatto fisico che si esplica nel desiderio di stringere le mani dell'Altro, di abbracciarlo, di trovare lo sguardo che conferma il nostro vissuto o che ci comunica la partecipazione alla nostra sofferenza. Soprattutto all'interno di quell'alveo protettivo che il rapporto di coppia rappresenta, il corpo ha la possibilità di esprimersi e di comunicare in maniera esplicita il suo stato di benessere o disagio. Il contatto corporeo, dunque, è lo strumento privilegiato della nostra conoscenza del mondo e del nostro discernimento delle emozioni, dell'apprendimento stesso del linguaggio del sentimento. Questa modalità preverbale, assolutamente istintiva e primaria, resta la forma di comunicazione per eccellenza, ed è facilmente comprensibile come distorsioni e carenze circoscritte a quest'area nei primi anni di vita, possono determinare scompensi e vuoti affettivi. È come non aver mai imparato il linguaggio dei sentimenti di cui il corpo si fa sede, con la tragica scissione tra realtà corporea e realtà del sentimento, che spesso conduce a disinvestire dal corpo le emozioni, a vivere, in realtà, non il corpo ma le immagini di esso, permettendo al sentimento di astrarsi, di metaforizzarsi. Solo il sentimento consente di valicare la sacralità del corpo, soltanto esso giustifica un tale scardinamento dei limiti. Magnetico e inebriante, dunque, può dirsi l'incontro tra due individualità che sentano, senza ragionevoli presupposti conoscitivi, di appartenersi. Al punto da ritenere che qualche meccanismo che prescinda dalla volontà venga attivato e parli, attraverso il corpo, un linguaggio tutto personale. Di conseguenza, per poter vivere completamente la tempesta che noi stessi abbiamo creato dando voce e corpo ai nostri sentimenti, dobbiamo avere la forza, il coraggio, e la capacità di neutralizzare ciò che sentiamo echeggiare dall'interno come un grido di minaccioso rimprovero. |