Nick: Nakinub Oggetto: La Guerra è la salute dello St Data: 30/10/2004 15.40.5 Visite: 36
La Guerra è la salute dello Stato autore: Randolph Bourne A molti americani delle classi che si considerano importanti la guerra ha recato un senso di santità dello Stato che, se avessero avuto tempo di pensarci, sarebbe loro sembrata un'alterazione improvvisa e sorprendente nelle loro abitudini di pensiero. In tempi di pace, abitualmente ignoriamo lo Stato preferendogli controversie politiche partigiane, o lotte personali per le cariche, o il perseguimento di politiche di partito. E' con il Governo, piuttosto che con lo Stato, che hanno rapporti coloro che hanno orientamenti politici. Lo Stato é ridotto a un emblema misterioso che emerge al livello cosciente solo in occasione di feste patriottiche. Il Governo é evidentemente composto di uomini comuni e privi di qualunque santità, ed é così un oggetto legittimo di critiche e anche di disprezzo. Se il nostro partito é al potere si può presumere che le cose si muovano in modo abbastanza sicuro; ma se al potere c'é l'opposizione allora diventa ovvio per noi che tutte le sicurezze e gli onori hanno abbandonato lo Stato. Forse, tuttavia, questo é un modo non preciso di porre le cose: ciò che si pensa é solo che ci sono mascalzoni che devono essere cacciati da una macchina molto concreta di cariche e funzioni che non vengono peraltro messe in discussione. Quando diciamo che gli americani sono privi di legge, di solito vogliamo dire che sono meno consci di altri popoli dell'augusta maestà dell'istituzione dello Stato che sta dietro il Governo oggettivo degli uomini e delle leggi che noi vediamo. In una repubblica gli uomini che hanno delle cariche sono indistinguibili dalla massa. Pochissimi di loro possiedono la minima dignità personale che potrebbero portare in dote al loro ruolo politico, ammesso e non concesso che si siano mai posti un problema di questo tipo. Inoltre, essi non hanno alcuna distinzione di classe sociale che dia loro un fascino aggiuntivo. In una repubblica il Governo é obbedito mugugnando perché non ha fulgore né santità che lo indorino. Se siete un buon democratico d'altri tempi vi felicitate per questo fatto, lodate la semplicità di un sistema in cui ogni cittadino é diventato un re. Se siete più sofisticato vi lamentate per la fine della dignità e dell'onore negli affari dello Stato. Ma in pratica il democratico non tratta affatto il suo cittadino eletto con il rispetto dovuto a un re, né il cittadino sofisticato rende omaggio alla dignità, neppure quando la trova. Lo Stato repubblicano non ha quasi alcun orpello per far presa sulle emozioni dell'uomo comune. Quei pochi che possiede derivano dalle sue origini militari, e in un'era non militarista come quella che abbiamo attraversato dalla Guerra Civile, anche gli orpelli militari sono stati scarsamente visibili. In una tale era il senso dello Stato quasi svanisce dalla coscienza degli uomini. Con lo shock della guerra, tuttavia, lo Stato ritorna in auge. Il Governo, senza mandato del popolo, senza consultare il popolo, conduce tutte le negoziazioni, i tira e molla, le minacce e le spiegazioni, che lentamente lo portano in collisione con qualche altro Governo, e gentilmente e irresistibilmente fa scivolare il paese in guerra. A beneficio dei cittadini orgogliosi e sprezzanti, si fa forte di una lista degli insulti intollerabili che sono stati scagliati contro di noi dalle altre nazioni; a beneficio di coloro che esercitano liberalità e beneficenza, possiede un insieme convincente di scopi morali che il nostro ingresso in guerra raggiungerà; alle classi ambiziose e aggressive, può sussurrare gentilmente di un ruolo più grande nei destini del mondo. Il risultato é che, anche in quei paesi dove il compito di dichiarare la guerra é teoricamente nelle mani dei rappresentanti del popolo, non si sa di nessuna assemblea legislativa che abbia mai rifiutato la richiesta di un Esecutivo che, dopo aver condotto tutta la politica estera in stretta riservatezza e irresponsabilità, ordini alla nazione di entrare in battaglia. I buoni democratici sono soliti avvertire la differenza cruciale tra uno Stato in cui il Parlamento popolare o il Congresso dichiara la guerra, e lo Stato in cui un monarca assoluto o la classe dominante dichiara la guerra. Ma alla prova rigorosa dei fatti, la differenza non é così evidente. Nelle repubbliche più libere, così come negli imperi più tirannici, tutta la politica estera, i negoziati diplomatici che producono o prevengono la guerra, sono egualmente proprietà privata della parte esecutiva del Governo e sono egualmente immuni da controlli da parte del corpo popolare, o del popolo stesso come massa che vota. Nel momento in cui la guerra é dichiarata, tuttavia, la massa del popolo, attraverso una qualche alchimia spirituale, si persuade di aver voluto e compiuto l'atto in prima persona. Essa quindi, con l'eccezione di pochi scontenti, procede permettendo di essere irreggimentata, coartata, sconvolta in tutti gli ambiti della sua vita, e fatta diventare un solido strumento di distruzione nei confronti di qualunque popolo sia entrato, nello schema di cose indicato, entro il raggio della disapprovazione del Governo. Il cittadino getta via il suo disprezzo e la sua indifferenza nei confronti del Governo, si identifica con i suoi scopi, ravviva tutte le sue memorie e i suoi simboli militari, e lo Stato, una volta di più, cammina, augusta presenza, attraverso l'immaginario degli uomini. Il patriottismo diventa il sentimento dominante e produce immediatamente quella confusione intensa e disperata tra le relazioni che l'individuo ha e dovrebbe avere con la società di cui é parte. Il patriota perde ogni senso della distinzione tra Stato, Nazione e Governo. Nei nostri momenti più quieti, la Nazione o Paese forma l'idea basilare della società. Noi pensiamo vagamente a una popolazione sparsa, diffusa su una certa porzione geografica della superficie della terra, che parla una lingua comune e che vive in una civiltà omogenea. La nostra idea di Paese riguarda gli aspetti non politici di un popolo, il suo stile di vita, i suoi tratti peculiari, la sua letteratura e la sua arte, i suoi atteggiamenti caratteristici nei confronti della vita. Noi siamo Americani perché viviamo in un certo territorio delimitato, perché i nostri antenati hanno portato avanti una grande impresa pionieristica e colonizzatrice, perché viviamo in determinati tipi di comunità che hanno un certo aspetto e esprimono le loro aspirazioni in un determinato modo. Possiamo vedere che la nostra civiltà é differente da civiltà vicine come quella indiana e quella messicana. Le istituzioni del nostro paese formano una certa rete che ci tocca in modo vitale e coinvolge i nostri pensieri in modo molto diverso da queste altre civiltà. Noi siamo parte di un paese, nella buona e nella cattiva sorte. Ci siamo arrivati tramite l'opera di leggi fisiologiche, e in nessun modo in base a una nostra scelta. Quando abbiamo raggiunto quella che é chiamata l'età del discernimento, la sua influenza ha plasmato le nostre abitudini, i nostri valori, i nostri modi di pensare, in modo che, per quanto coscienti possiamo diventare, non perdiamo mai l'impronta della nostra civiltà, né potremmo essere scambiati per i figli di un altro paese. Il nostro sentimento per i nostri compatrioti é di somiglianza o di mera conoscenza. Possiamo essere intensamente orgogliosi della nostra particolare rete di civiltà e affini ad essa, o possiamo detestare molte delle sue qualità e infuriarci per i suoi difetti. Questo non muta il fatto che ad essa noi siamo inestricabilmente legati. Il Paese, come gruppo in cui siamo nati e da cui non possiamo fuggire, e che fa di noi il suo particolare tipo di cittadini del mondo, sembra essere un fatto fondamentale della nostra coscienza, un minimo irriducibile di sentimento sociale. Ora, questo sentimento verso il Paese é essenzialmente non competitivo; pensiamo al nostro popolo semplicemente come un gruppo che vive sulla superficie della terra accanto a altri gruppi, piacevoli o meno che possano essere; fondamentalmente, é come se dividessimo la terra con loro. Nel nostro semplice concetto di Paese non c'é più sentimento di rivalità con gli altri popoli di quanto ce ne sia nel nostro sentimento per la nostra famiglia. Il nostro interesse si rivolge piuttosto all'interno che all'esterno, é intenso e non belligerante. Cresciamo e il nostro immaginario delimita il mondo in cui viviamo; e non ha bisogno di una soddisfazione cosciente dei suoi impulsi gregari maggiore di quella che deriva dalla gran massa di gente con cui siamo più o meno in sintonia e nelle cui istituzioni funzioniamo. Il sentimento per il Paese non potrebbe andare oltre, se non fosse per le idee di Stato e di Governo che sono associate ad esso. Il Paese é un concetto di pace, di tolleranza, di vivere e lasciar vivere. Ma lo Stato é essenzialmente un concetto di potere, di competizione: significa un gruppo nei suoi aspetti aggressivi. E abbiamo la sfortuna di esser nati non solo in un Paese ma in uno Stato, e crescendo impariamo a mescolare i due sentimenti in una confusione irrimediabile. Lo Stato é il Paese che agisce come unità politica, é il gruppo che agisce come depositario della forza, autore della legge, arbitro della giustizia. La politica internazionale é una "politica di potenza" perché si tratta di relazioni tra Stati; ed é proprio questo che sono gli Stati, infallibilmente e disastrosamente: vaste aggregazioni di forza umana e industriale che possono essere slanciate l'una contro l'altra in guerra. Quando un paese agisce come un insieme in rapporto con un altro paese, sia imponendo leggi sui propri abitanti, sia coartando e punendo individui o minoranze, sta agendo come uno Stato. La storia dell'America come paese é molto differente da quella dell'America come Stato. In un caso é l'epopea della conquista pionieristica della terra, dell'aumento della ricchezza e dei modi in cui é stata usata, dell'impresa dell'educazione, della realizzazione degli ideali spirituali, della lotta delle classi economiche. Ma come Stato, la sua storia é quella di interpretare un ruolo nel mondo, fare la guerra, ostacolare il commercio internazionale, impedire a se stessa di dividersi in pezzi, punire quei cittadini che la società é concorde nel ritenere aggressivi, e esigere i soldi per pagare tutto questo. Il Governo d'altro canto non é sinonimo di Stato né di Nazione. E' la macchina con cui la Nazione, organizzata come Stato, compie le sue funzioni statuali. Il Governo é una struttura dell'amministrazione delle leggi e dell'impiego della forza pubblica. Il Governo é l'idea dello Stato messa in opera praticamente nelle mani di uomini ben definiti, concreti e fallibili. E' il segno visibile della grazia invisibile. E' il Verbo fatto carne. E ha necessariamente i limiti inerenti a tutte le cose pratiche. Il Governo é l'unica forma in cui possiamo considerare lo Stato, ma non é affatto identico ad esso. Lo Stato é un concetto mistico, questo non bisogna mai dimenticarlo; il suo fascino e la sua importanza insistono dietro la struttura del Governo e dirigono le sue attività. I periodi di guerra mettono in rilievo l'ideale dello Stato in modo molto chiaro, e rivelano atteggiamenti e tendenze che erano nascoste. Nel periodi di pace il senso dello Stato langue in una repubblica che non sia militarizzata. Poiché la guerra, essenzialmente, é la salute dello Stato. L'ideale dello Stato é che entro il suo territorio il suo potere e la sua influenza debbano essere universali. Come la Chiesa é il mezzo per la salvezza spirituale dell'uomo, così lo Stato é pensato come il mezzo per la sua salvezza politica. Il suo idealismo é un sangue sostanzioso che fluisce a tutte le membra del corpo politico. Ed é precisamente in guerra che la necessità dell'unione sembra maggiore e quella dell'universalità sembra più fuori questione. Lo Stato é l'organizzazione dell'orda per agire offensivamente o difensivamente contro un'altra orda organizzata in modo simile. Più terrificante é l'occasione di difesa, più serrata sarà l'organizzazione e più coercitiva l'influenza su ogni membro dell'orda. La guerra invia il flusso degli scopi e delle attività fino al livello più basso dell'orda e fino alle sue branche più remote. Tutte le attività della società sono collegate il più velocemente possibile, con lo scopo fondamentale di costruire un'offensiva militare o una difesa militare, e lo Stato diventa ciò che in tempo di pace ha vanamente combattuto per diventare: l'inesorabile arbitro e determinatore degli affari, degli atteggiamenti e delle opinioni degli uomini. La fastidiosa calma di vento finisce, le correnti incrociate svaniscono e la nazione si muove lentamente e pigramente, ma con velocítà e integrazione costantemente accelerate, verso il grande fine, verso la "condizione pacifica di essere in guerra", di cui L.P. Jacks ha parlato in modo così indimenticabile. Le classi che possono giocare un ruolo attivo e non meramente passivo nell'organizzazione della guerra cominciano a liberare un'enorme attività ed energia. Gli individui sono scossi dalla loro vecchia routine, a molti di loro sono date nuove posizioni di responsabilità, nuove tecniche devono essere apprese. Soffocanti legami domestici sono rotti e le donne che sarebbero rimaste attaccate a legami infantili sono liberate per servizi all'estero. Un ampio senso di ringiovanimento pervade le classi importanti, un senso di nuova importanza nel mondo. I vecchi ideali nazionali vengono rispolverati, riadattati allo scopo e usati come pietre di paragone universali o stampi in cui si cola ogni pensiero. Ogni singolo cittadino che in tempo di pace non aveva funzioni da compiere con le quali potesse immaginarsi come un'espressione o un frammento vivente dello Stato diventa un attivo agente dilettante del Governo nel denunciare spie e casi di mancanza di lealtà, nel raccogliere fondi per il Governo o nel propagare le misure considerate necessarie dall'ufficialità. L'opinione di minoranza, che in tempi di pace irritava solamente e non poteva essere affrontata con la legge a meno che non si presentasse insieme a un crimine effettivo, diventa, con lo scoppio della guerra, un caso di illegalità. Le critiche dello Stato, le obiezioni alla guerra, le opinioni tiepide riguardo alla necessità o alla bellezza della coscrizione sono causa di pene gravissime, molto più severe di quelle comminate per crimini effettivi e concreti. L'opinione pubblica espressa da giornali, pulpiti e scuole diventa un solo e solido blocco. La lealtà, o piuttosto l'ortodossia della guerra, diventa l'unico test per ogni professione, tecnica, occupazione. Questo é particolarmente vero nella sfera della vita intellettuale. Qui si ritiene che la più piccola infezione possa diffondersi a tutta l'anima, in modo tale che un professore di fisica é ipso facto ritenuto indegno di insegnare fisica o di mantenere una posizione onorevole nell'università - la repubblica del sapere - se egli é anche parzialmente inaffidabile sul tema della guerra. Perfino la più banale associazione con persone così infette é considerata tale da disonorare un insegnante. Tutto quello che riguarda il nemico diventa tabù. I suoi libri sono soppressi ogni qualvolta possibile, la sua lingua é proibita. La sua produzione artistica é considerata veicolo, nel più sottile modo spirituale, di agenti patogeni per l'anima che si permette di goderne. Così la musica nemica é soppressa, e si prendono energiche misure di riprovazione contro coloro le cui coscienze artistiche non sono pronte a compiere un tale atto di autosacrificio. La furia per la conformità leale lavora imparzialmente ed é spesso diametralmente opposta ad altre ortodossie e conformità, e persino ideali, tradizionali. L' ortodossia trionfante dello Stato si mostra al suo apice forse quando i predicatori cristiani perdono i loro pulpiti per aver preso in termini più o meno letterali il Sermone della Montagna e cristiani zelanti sono mandati in prigione per venti anni per aver distribuito libelli che dimostrano che la guerra é contraria alle scritture. La guerra é la salute dello Stato. Mette automaticamente in moto in tutta la società quelle forze irresistibili che spingono all'uniformità e alla cooperazione appassionata con il Governo nello sforzo di costringere all'obbedienza i gruppi di minoranza e gli individui cui difetta il più ampio senso dell'orda. La macchina del Governo stabilisce e impone le pene più drastiche; le minoranze sono o intimidite fino al silenzio o convinte con un sottile processo di persuasione che può far sembrar loro vero di essere piuttosto convertite. Naturalmente l'ideale della lealtà perfetta,della perfetta uniformità non é mai veramente raggiunto. Le classi sulle quali il lavoro amatoriale della coercizione ricade sono incrollabili nel loro zelo, ma spesso la loro agitazione invece di convertire serve puramente a irrigidire la loro resistenza. Le minoranze sono rese tristi e alcune opinioni intellettuali amare e satiriche. Ma in generale la nazione in tempo di guerra raggiunge un'uniformità di sentimento e una gerarchia di valori che costituiscono l'apice indiscutibile dell'ídeale dello Stato, che non sarebbe possibile produrre per mezzo di nessun altro fattore che la guerra. La lealtà - o mistica devozione allo Stato - diventa il più grande valore umano immaginato. Altri valori, quali la creazione artistica, la conoscenza, la ragione, la bellezza, il miglioramento della vita, sono istantaneamente e quasi unanimemente sacrificati e le classi importanti che si sono autocostituite come agenti dilettanti dello Stato sono impegnate non solo nel sacrificio di questi valori per se stesse, ma nella costrizione al sacrificio di tutte le altre. La guerra - o almeno la guerra moderna condotta da una repubblica democratica contro un nemico potente - sembra raggiungere per una nazione quasi tutto ciò che il più infiammato idealista politico potrebbe desiderare. I cittadini non sono più indifferenti al loro Governo, ma ogni cellula del corpo politico é colma di vita e attività. Siamo finalmente sulla strada della piena realizzazione di quella comunità collettiva in cui ogni individuo in qualche modo contiene la virtù dell'intero. In una nazione in guerra, ogni cittadino si identifica con l'intero e si sente immensamente fortificato in quella identificazione. Lo scopo e il desiderio della comunità collettiva vive in ogni persona che si getta con tutto il cuore nella causa della guerra. L'incomoda distinzione tra la società e l'individuo é quasi cancellata. In guerra l'individuo diventa quasi identico alla società cui appartiene. Egli raggiunge una superba sicurezza di sé, un'intuizione della giustezza di tutte le sue idee e emozioni in modo tale che nella soppressione degli oppositori o degli eretici egli é invincibilmente forte; egli sente dietro di sé tutto il potere della comunità collettiva. L'individuo, come essere sociale, in guerra sembra quasi aver raggiunto la sua apoteosi. A seguito di nessun impulso religioso, la nazione americana si sarebbe potuta pensare capace di questa devozione di massa, di questo sacrificio, di questa fatica. Certamente neppure per un qualunque bene terreno, come l'educazione universale o la sottomissione della natura, avrebbe versato il suo tesoro e dato la sua vita, o avrebbe permesso che fossero prese nei suoi confronti severe misure coercitive come il prelievo forzato del suo denaro e dei suoi uomini. Ma per lo scopo di una guerra di autodífesa offensiva, intrapresa per sostenere una causa difficile per lo slogan della "democrazia", é stata disposta a raggiungere il più alto livello mai visto di sforzo collettivo. Perché questi beni terreni, legati al miglioramento della vita, all'educazione dell'uomo e all'uso dell'intelligenza per realizzare ragione e bellezza nella vita comune della nazione, sono estranei al nostro tradizionale ideale dello Stato. Lo Stato é intimamente legato alla guerra poiché é l'organizzazione della comunítà collettiva quando agisce in modo politico, e agire in modo politico nei confronti di un gruppo rivale ha significato, lungo tutto il corso della storia, una cosa sola: guerra. Non c'é nulla di oltraggioso nell'uso del termine "orda" in relazione allo Stato. E' semplicemente un tentativo di ricondurre più vicino ai principi primi la natura di questa istituzione all'ombra della quale noi tutti viviamo, ci muoviamo e conduciamo la nostra esistenza. Gli etnologi generalmente concordano che la società umana ha fatto la sua prima apparizione come branco umano e non come un insieme di individui o di coppie. Un 'orda é infatti l'unità originaria, e solo quando si fu differenziata poté svilupparsi l'individualità personale. Tutte le più primitive tribù di uomini che sopravvivono ai giorni nostri mostrano di vivere in una organizzazione sociale molto complessa ma molto rigida dove l'opportunità per il processo di individualizzazione é raramente data. Queste tribù rimangono orde rigidamente organizzate, e la differenza tra loro e lo Stato moderno é di grado della sofisticazione e varietà dell'organizzazione e non di genere. Gli psicologi riconoscono l'impulso gregario come una delle più forti pulsioni primitive che tiene insieme le orde delle differenti specie degli animali superiori. L'umanità non fa eccezione. La nostra bellicosa storia evolutiva ha impedito che l'impulso si estinguesse. Questo impulso gregario é la tendenza a imitare, a conformarsi, a fondersi insieme, ed é più potente quando l'orda si sente minacciata da un attacco. Gli animali si riuniscono insieme per la protezione, e gli uomini diventano più coscienti della loro collettività sotto la minaccia della guerra. La coscienza della collettività porta fiducia e un sentimento di forza accumulata che a sua volta provoca bellicosità, e la battaglia comincia. Nell'uomo civilizzato, l'impulso gregario agisce non solo per produrre un'azione concertata per la difesa, ma anche per produrre identità di opinione. Poiché il pensiero é una forma di comportamento, l'impulso gregario inonda il suo regno e richiede quel senso di pensiero uniforme, che il tempo di guerra produce con così grande successo. Ed é in questa alluvione della vita cosciente della società che il gregarismo produce il suo disastro. Infatti, come nelle moderne società l'istinto sessuale é offerto in misura enormemente superiore alle necessità della propagazione umana, così l'impulso gregario é offerto in misura enormemente superiore alla richiesta per l'opera di protezione che é chiamato a compiere. Sarebbe già abbastanza se noi fossimo abbastanza gregari da godere della compagnia degli altri, da essere capaci di cooperare con loro e da sentire un leggero malessere nella solitudine. Purtroppo, tuttavia, questo impulso non si accontenta di queste ragionevoli e salutari richieste, ma insiste che la consonanza di idee debba prevalere ovunque, in tutti i settori della vita. Così che ogni progresso umano, ogni novità e non conformismo devono essere portati avanti contro la resistenza di questo istinto tirannico dell'orda che conduce l'individuo all'obbedienza e alla conformità con la maggioranza. Anche nelle società più moderne e illuminate questo impulso mostra scarsi segni di riduzione. Poiché é guidato da una domanda economica inesorabile fuori dalla sfera dell'utilità, sembra radicarsi con forza sempre maggiore nel regno del sentimento e dell'opinione, in modo che la conformità diventa una cosa desiderata e richiesta aggressivamente. L'impulso gregario stringe la sua presa in modo sempre più virulento perché, quando il gruppo é in movimento o intraprende una qualunque azione positiva, questo sentimento di stare insieme e di essere sostenuti dall'orda collettiva nutre grandemente quella volontà di potenza il cui nutrimento l'organismo individuale richiede così costantemente. Ci si sente potenti conformandosi, e ci si sente frustrati e deboli se si é fuori dalla folla. Di contro, anche se non si ha nessun accesso al potere, pensando e sentendo come tutti gli altri nel gruppo si percepisce almeno il caldo sentimento dell'obbedienza, la confortevole irresponsabilità della protezione. Congiungendosi come fa a queste vigorosissime tendenze dell'individuo - il piacere del potere e il piacere dell'obbedienza - questo impulso gregario diventa irresistibile nella società. La guerra lo stimola al più alto grado possibile, inviando le influenze della sua misteriosa corrente dell'orda, con le sue iniezioni di potere e obbedienza, fino ai più lontani recessi della società, a ogni individuo e piccolo gruppo che possa essere raggiunto. Ed é su questi impulsi che lo Stato - l'organizzazione dell'intera orda, dell'intera collettività - é fondato ed é di questi che fa uso. Vi é naturalmente nel sentimento verso lo Stato un vasto elemento di puro misticismo filiale. Il senso di insicurezza, il desiderio di protezione, rimandano al proprio desiderio del padre e della madre con cui sono associati i primissimi sentimenti di protezione. Non é per nulla che il proprio Stato é sempre pensato come un Padre o come la Madre Patria, che la propria relazione verso di esso é concepita in termini di affetto familiare. La guerra ha mostrato che in nessun luogo, sotto lo shock del pericolo, questi atteggiamenti infantili e primitivi hanno mancato di affermarsi di nuovo, tanto in questo paese che in ogni altro. Se noi non abbiamo l'intenso senso del Padre del tedesco che idolatra la sua Vaterland, come minimo nello Zio Sam abbiamo un simbolo di autorità protettiva e gentile, e nei molti manifesti materni della Croce Rossa vediamo quanto facilmente, nelle più tenere funzioni del servizio di guerra l'organizzazione di comando sia concepita in termini familiari. Un popolo in guerra é ridiventato, nel senso più letterale, un gruppo di bambini obbedienti, rispettosi, affidabili, pieni di quella fede ingenua nell'onniscienza e nell'onnipotenza dell'adulto che si prende cura di loro, che impone il suo dolce necessario comando su di loro e con il quale essi perdono la loro responsabilità e le loro angosce. In questa recrudescenza del bambino vi é un grande conforto e un certo aumento di potere. Su molta gente la fatica di essere un adulto indipendente grava pesantemente, e su nessuno più che su quei membri delle classi importanti a cui é stata lasciata in eredità o che hanno assunto le responsabilità di Governo. Lo Stato fornisce il più conveniente dei simboli sotto il quale queste classi possono mantenere tutte le attuali soddisfazioni pratiche del Governo, ma possono sbarazzarsi degli oneri psichici dell'età adulta. Essi continuano a dirigere l'industria e il Governo e tutte le istituzioni della società quasi come prima, ma ai loro occhi consapevoli, e agli occhi del pubblico in generale, essi hanno abbandonato i loro modi egoisti e predatori e sono diventati servitori leali della società, o di qualcosa più grande di loro: lo Stato. L'uomo che lascia la direzione di una grande impresa a New York per un posto nel servizio che si occupa dell'industria in tempo di guerra a Washington non cambia apparentemente di molto il suo potere o la sua abilità amministrativa. Ma psichicamente, che trasfigurazione é avvenuta! Sua é adesso, non solo il potere, ma anche la gloria! E il suo senso di soddisfazione é direttamente proporzionale non alla quantità autentica di sacrificio personale che può comportare il cambiamento, ma alla misura in cui egli ha mantenuto le sue prerogative industriali e il suo senso di comando. Da membri di questa classe emerge una certa insuperabile indignazione se il cambiamento dall'impresa privata al servizio dello Stato comporta qualunque perdita reale di potere e di privilegio personale. Se sacrificio pratico deve esserci, che sia, essi pensano, sul campo dell'onore, nelle morti in battaglia tradizionalmente acclamate, in quella via traversa al suicidio, come Nietzsche chiama la guerra. Lo Stato in tempo di guerra offre soddisfazione per questo desiderio reale, ma il suo valore più importante é l'opportunità che da per questa regressione ad ateggiamenti infantili. Nella reazione a un attacco immaginato al proprio paese o ad un insulto al suo Governo ci si fa più vicini all'orda per la protezione, ci si conforma nei fatti e nelle parole, e si insiste con veemenza che chiunque altro debba pensare, parare e agire insieme. E si fissa il proprio sguardo adorante sullo Stato con occhi veramente filiali, come sul padre del gregge, il simbolo quasi personale della forza dell'orda e il leader e il fatore determinante della propria azione definita e delle proprie idee. I membri delle classi lavoratrici, quella porzione almeno che non si identifica con le classi importanti e non cerca di imitarle né di elevarsi al loro livello, sono notoriamente meno influenzati dal simbolismo dello Stato o, in altre parole, sono meno patriottici delle classi importanti. Perché non appartengono loro né il potere né la gloria. Lo Stato in tempo di guerra non offre loro l'opportunità di regredire, poiché, non avendo mai acquisito una condizione sociale da adulti, non possono perderla. Se sono stati addestrati e irreggimentati, come ha fatto il regime industriale dell'ultimo secolo, essi escono abbastanza docilmente per dar battaglia per il loro Stato, ma sono quasi interamente privi di quel senso filiale e anche di quel senso dell'intelletto dell'orda che opera così potentemente tra i loro "superiori". Essi vivono abitualmente in una servitù industriale con la quale, sebbene nominalmente liberi, sono in pratica, come classe, obbligati a un sistema di produzione meccanica, del quale essi non posseggono i mezzi, e nella distribuzione del cui prodotto essi non hanno la minima voce, tranne quella che possono occasionalmente esercitare con una intimidazione velata che avvicina leggermente nella loro direzione una porzione maggiore del prodotto. Rispetto a questa servitù, la coscrizione militare non é un cambiamento così grande. Ma nell'impresa militare essi vanno non con quegli urrà delle classi importanti i cui istinti la guerra nutre così potentemente, ma con la stessa apatia con cui entrano e rimangono nell'impresa industriale. Da questo punto di vista la guerra può essere chiamata quasi uno sport per le classi superiori. Gli interessi e gli incitamenti nuovi che procura, i turgori di potere, la soddisfazione che dà i tenacissimi impulsi umani del gregarismo e della regressione parentale la dotano di tutte le qualità di un gioco collettivo di lusso che é sentito intensamente in proporzione al senso di comando significativo che la persona ha nella divisione di classe della sua società. Un paese in guerra - articolarmente il nostro paese in guerra - non agisce come un'orda del tutto omogenea. Le classi importanti hanno tutto il sentimento dell'orda nella sua più primitiva intensità, ma ci sono barriere, o almeno differenziali di intensità, di modo che questo sentimento non scorre liberamente e senza impedimenti attraverso l'intera nazione. Un paese moderno rappresenta un lungo processo storico e sociale di disaggregazione dell'orda. La nazione in pace non é un gruppo, é una rete di miriadi di gruppi che rappresentano la cooperazione e il comune sentire di uomini su ogni sorta di piani e in ogni sorta di interessi e imprese umane. In ogni paese industriale moderno ci sono piani paralleli di classi economiche con atteggiamenti, istituzioni e interessi divergenti, borghesia e proletariato, con le loro molte suddivisioni secondo il potere e la funzione, e perfino i loro intrecci, come quei lavoratori più altamente specializzati che abitualmente si identificano con le classi importanti e proprietarie e lottano per innalzarsi al livello borghese, imitando le sue consuetudini e i suoi modi culturali. Poi ci sono i gruppi religiosi con un senso di appartenenza ben definito, anche se in via di indebolimento, e ci sono i potenti gruppi etnici che si comportano quasi come colonie culturali del Nuovo Mondo, abbarbicati tenacemente alla lingua e alla tradizione storica benché la loro caratteristica di orda sia di solito fondata su simboli culturali piuttosto che statuali. Ci sono anche alcuni vaghi raggruppamenti settoriali. Tutte queste piccole sette, partiti politici, classi, livelli, interessi, possono agire come centri di attività e interesse per il sentimento dell'orda. Si intersecano e si intrecciano, e la stessa persona può essere membro di diversi gruppi differenti che si collocano su piani differenti. Occasioni differenti scateneranno il suo sentimento dell'orda in una direzione o nell'altra. In una crisi religiosa sarà intensamente conscia della necessità che la sua setta (o sotto-orda) prevalga, in una campagna politica, che il suo partito trionfi. Alla diffusione del sentimento dell'orda, quindi, tutte queste orde più piccole offrono resistenza. Alla diffusione di quel sentimento dell'orda che sorge dalla minaccia della guerra e che coinvolgerebbe normalmente l'intera nazione, gli unici gruppi che fanno seria resistenza sono quelli, naturalmente, che continuano a identificarsi con l'altra nazione da cui i componenti o i loro genitori sono venuti. In tempi di pace essi sono sotto ogni aspetto pratico cittadini del loro nuovo paese. Essi tengono vive le loro tradizioni etniche più che altro come un lusso. Invero queste tradizioni tendono rapidamente a estinguersi tranne dove sono in relazione con qualche causa nazionalistica ancora irrisolta all'estero, con qualche lotta per la libertà o qualche irredentismo. Se sono consciamente contrastate da una politica troppo insopportabile di americanismo, esse tendono a rafforzarsi. E in tempi di guerra, questi elementi etnici che hanno una qualunque relazione tradizionale col nemico, anche se la maggior parte degli individui possono avere poca reale simpatia per la causa del nemico, sono naturalmente tiepidi al sentimento dell'orda della nazione, che rimonta alle tradizioni dello Stato a cui essi non partecipano. Ma per i nativi imbevuti di sentimento dello Stato, una resistenza o un'apatia come questa sono intollerabili. Questo sentimento dell'orda, questa coscienza nuovamente risvegliata dello Stato, richiede universalità. I capi delle classi importanti, che sentono più intensamente questa costrizione dello Stato, richiedono un americanismo al cento per cento, tra il cento per cento della popolazione. Lo Stato é un dio geloso che non tollera rivali. La sua sovranità deve pervadere ciascuno, e ogni sentimento deve rientrare nelle forme stereotipate del militarismo patriottico e romantico che é l'espressione tradizionale del sentimento dell'orda statuale. Così sorge il conflitto all'interno dello Stato. La guerra diventa quasi uno sport tra cacciatori e prede. La ricerca dei nemici interni supera per attrattiva psichica l'assalto ai nemici esterni. L'intera estrema forza dello Stato é fatta pesare contro gli eretici. La nazione ribolle di una febbre lenta e insistente. Un terrorismo bianco é portato avanti dal Governo contro pacifisti, socialisti, nemici esterni, insieme a una persecuzione più dolce e non ufficiale contro tutte le persone o movimenti di cui si possa immaginare che abbiano rapporti col nemico. La guerra, che dovrebbe essere la salute dello Stato, unifica tutti gli elementi borghesi e la gente comune, e pone fuori legge il resto. Il proletariato rivoluzionario mostra più resistenza a questa unificazione, é, come abbiamo visto, psichicamente fuori dalla corrente. La sua avanguardia, come l'IWW é perseguitata senza rimorso, a dispetto della prova che é un sintomo e non la causa, e la sua persecuzione aumenta la disaffezione del mondo del lavoro e intensifica la frizione invece di diminuirla. Ma le emozioni che prendono alla leggera la difesa dello Stato non prendono in considerazioni i risultati pragmatici. Una nazione in guerra, guidata dalle sue classi importanti, é impegnata a liberare alcuni dei suoi impulsi che hanno avuto pochissimo esercizio in passato. Sta ricercando alcune soddisfazioni e la presente conduzione della guerra o la condizione del paese sono in realtà accessorie al godimento di nuove forme di virtù, potere e aggressività. Se potesse essere dimostrato conclusivamente che la persecuzione di elementi leggermente disaffezionati incrementa effettivamente in modo significativo le difficoltà della produzione e l'organizzazione della tecnica di guerra, si scoprirebbe che la politica pubblica cambierebbe ben di poco. Le classi importanti devono trarre piacere nel dar la caccia e nel punire qualunque cosa sentano istintivamente non essere penetrata dalla corrente dell'entusiasmo dello Stato, benché lo Stato stesso sia effettivamente impedito nel suo sforzo di raggiungere quegli obiettivi per cui esse stanno appassionatamente lottando. La miglior prova di ciò é il fatto che, con una ricerca di cospiratori che é continuata con vigilanza incessante fin dall'inizio della guerra in Europa, i crimini concreti portati alla luce e puniti sono stati in quantità minore di quelle accuse per meri crimini di opinione o per l'espressione di sentimenti critici verso lo Stato o la politica nazionale. La punizione dell'opinione é stata molto più feroce e incessante della punizione del crimine concreto. Irreprensibili americani anglosassoni, che erano più prodighi di sfoghi pacifisti o socialisti dell'opinione pubblica dominante ossessionata dallo Stato, hanno ricevuto pene più severe ed anche maggior riprovazione, in molti casi, di cospiratori tedeschi assolutamente ostili. Un'opinione pubblica che, quasi senza protesta, accetta come giusta, adeguata, bella, meritata e in piena armonia con gli ideali di libertà e libertà di parola, una condanna a vent'anni di prigione per un semplice sfogo verbale, non importa quale, mostra di soffrire di un tipo di sconvolgimento sociale di valori, una specie di neurosi sociale, che merita analisi e comprensione. In occasione della nostra entrata in guerra, ci furono molte persone che predissero esattamente questo sconvolgimento di valori, che espressero il timore che la democrazia soffrisse più a casa da una America in guerra di quanto potesse essere guadagnato per la democrazia all'estero. Quel timore si é dimostrato ampiamente giustificato. La domanda se la nazione americana avrebbe agito come una democrazia illuminata che entrava in guerra per la difesa di ideali elevati, o come un'orda ossessionata dallo Stato, ha avuto una risposta decisiva. Il responso é scritto e non può essere cancellato. La storia deciderà se la terrorizzazione dell'opinione e l'irreggimentazione della vita fossero giustificate sotto la più idealistica delle amministrazioni democratiche. E dimostrerà che quando la nazione americana aveva apparentemente l'opportunità di condurre una guerra nobile, con scrupoloso riguardo per la sicurezza dei valori democratici a casa, essa scelse piuttosto di adottare tutte le tecniche più odiose e coercitive del nemico e degli altri paesi in guerra, e di rivaleggiare nell'intimidazione e nella ferocia della punizione con i peggiori sistemi governativi dell'epoca. Per la sua precedente incoscienza e mancanza di rispetto dell'ideale dello Stato, la nazione apparentemente pagò pegno con una violenta virata all'altro estremo. Agì tanto precisamente come un'orda nella sua coercizione irrazionale delle minoranze, che non c'é alcuna artificialità nell'interpretare il progresso della guerra in termini di psicologia dell'orda. Essa, inconsciamente, ha messo nel più ampio risalto le vere caratteristiche dello Stato e la sua intima alleanza con la guerra. Ha fornito ai nemici della guerra e ai critici dello Stato i più efficaci argomenti possibili. La nuova passione per l'ideale dello Stato, inconsciamente, ha messo in movimento e ha incoraggiato forze che minacciano in modo molto concreto di riformare lo Stato. Ha mostrato a coloro che sono realmente intenzionati a por fine alla guerra che il problema non é quello puro e semplice di portare a termine la guerra. Perché la guerra é un modo complicato in cui una nazione agisce, e agisce così in conseguenza di un obbligo spirituale che la spinge, forse contro tutti i suoi interessi, tutti i suoi desideri reali, e tutto il suo reale senso dei valori. Sono gli Stati che fanno le guerre e non le Nazioni, e il pensiero stesso e quasi la necessità della guerra é strettamente connesso con l'ideale dello Stato. Non le nazioni per secoli hanno fatto la guerra; infatti l'unico esempio storico di guerre condotte dalle nazioni sono le grandi invasioni barbariche dell'Europa meridionale, le invasioni della Russia dall'est, e forse il passaggio dell'Islam attraverso l'Africa del nord in Europa dopo la morte di Maometto. E le motivazioni per queste guerre erano o l'espansione senza sosta delle tribù migratorie o la fiamma del fanatismo religioso. Forse questi grandi movimenti non possono neanche essere chiamati guerre in quanto la guerra implica un popolo organizzato che sia addestrato e guidato: infatti essa ha bisogno dello Stato. Fino a quando l'Europa non ha avuto una tale organizzazione, questi vasti conflitti tra nazioni - nazioni, cioé, gruppi culturali - sono stati impensabili. Ipotizzare l'esistenza, nell'Europa dei secoli passati, di un popolo che iniziasse en masse a combattere (con propri leader e non con i leader del suo Stato debitamente costituito) e superasse i suoi confini in un'incursione bellica su un popolo vicino, é semplicemente insensato . [...] Ma la guerra in quanto tale non può avvenire che in un sistema di Stati in concorrenza, che hanno relazioni reciproche attraverso i canali della diplomazia. La guerra é una funzione di questo sistema di Stati, e non potrebbe accadere se non in tale sistema. Le nazioni organizzate per l'amministrazione interna, le nazioni organizzate come una federazione di comunità libere, le nazioni organizzate in qualunque modo eccetto quello di una centralizzazione politica di una dinastia, o dei discendenti di una dinastia che ha subito delle riforme, non avrebbero la possibilità di farsi guerra l'una con l'altra. Esse non solo non avrebbero motivi di conflitto, ma non sarebbero in grado di concentrare le forze per fare una guerra efficace. Ci potrebbe essere ogni sorta di dilettantesca scorreria, ci potrebbero essere spedizioni di guerriglia di un gruppo contro un altro, ma non ci potrebbe essere quella terribile guerra en masse dello Stato nazionale, quello sfruttamento della nazione nell'interesse dello Stato, quell'abuso della vita e delle risorse nazionali nel convulso e reciproco suicidio che é la guerra moderna. Non si può mai comprendere con sufficiente chiarezza che la guerra é una funzione degli Stati e non delle nazioni, anzi che é la principale funzione degli Stati. La guerra é una cosa estremamente artificiale. Non é lo scoppio ingenuo e spontaneo della bellicosità dell'orda; non é più primaria di quanto non sia la religione formale. La guerra non può esistere senza un apparato militare, e un apparato militare non può esistere senza l'organizzazione dello Stato. La guerra ha una tradizione e un'eredità di remotissima origine solo perché lo Stato ha una tradizione e un'eredità lunghe. Ma essi sono inseparabilmente e funzionalmente connessi. Noi non possiamo condurre una crociata contro la guerra senza condurla implicitamente contro lo Stato. E non possiamo aspettarci o prendere misure per assicurarci che questa guerra sia la guerra che riesce a por fine alla guerra, a meno che allo stesso tempo non prendiamo misure per por fine allo Stato nella sua forma tradizionale. Lo Stato non é la nazione e lo Stato può essere modificato e perfino abolito nella sua forma attuale, senza arrecar danno alla nazione. Al contrario, con la fine del dominio dello Stato, le forze genuine che contribuiscono al miglioramento della vita della nazione saranno liberate. Se la principale funzione dello Stato é la guerra, allora lo Stato deve suggere dalla nazione una vasta parte della sua energia per i suoi scopi puramente sterili di difesa ed aggressione. Lo Stato si dedica a sprecare o a distruggere concretamente quanto può della vitalità della nazione. Nessuno negherà che la guerra é un vasto complesso di forze che distruggono o rovinano vite. Se la principale funzione dello Stato é la guerra, allora esso é principalmente occupato a coordinare e sviluppare i poteri e le tecniche che sono adatti alla distruzione. E questo significa non solo la effettiva e potenziale distruzione del nemico, ma anche della nazione nel suo interno. Poiché la stessa esistenza di uno Stato in un sistema di Stati significa che la nazione soggiace sempre al rischio della guerra e dell'invasione, e la mobilitazione dell'energia in imprese militari significa una rovina dei processi produttivi e positivi della vita nazionale. Tutta questa organizzazione di energia e tecnica mortifere non é naturale, ma é un processo molto sofisticato. Particolarmente nelle nazioni moderne, ma anche attraverso tutto il corso della moderna storia europea, non può mai esistere senza lo Stato. Poiché non risponde alle richieste di alcun'altra istituzioni, non segue i desideri di alcun gruppo religioso, industriale, politico. Se la richiesta dell'organizzazione militare e di un apparato militare sembra provenire non dai funzionari dello Stato ma dal pubblico, é solo perché proviene da quella parte del pubblico che é ossessionata dallo Stato, da quei gruppi che sentono più entusiasticamente l'ideale dello Stato. E in questo paese abbiamo avuto prova fin troppo indubitabile di quanto possano essere privi di potere i funzionari dello Stato orientati alla pace di fronte all'ossessione dello Stato delle classi importanti. Se un settore potente delle classi importanti sente più intensamente gli atteggiamenti dello Stato, plasmerà più infallibilmente il Governo in accordo con i suoi desideri, lo ricondurrà ad agire come la personificazione dello Stato che esso pretende di essere. In ogni paese abbiamo visto gruppi che erano più realisti del re - più patriottici del Governo - come i sostenitori dell'Ulster in Gran Bretagna, gli Junker in Prussia, L'Action Francaise in Francia, i nostri patriottardi in America. Questi gruppi esistono per tener dritta la barra del timone dello Stato e impediscono alla nazione ogni scartamento significativo dall'ideale dello Stato. Il militarismo esprime i desideri e soddisfa l'impulso più importante solo di questa classe. Le altre classi, lasciate a se stesse, hanno troppe necessità, interessi e ambizioni per occuparsi di un gioco così costoso e distruttivo. Ma il gruppo ossessionato dallo Stato é in grado di ottenere il controllo della macchina dello Stato oppure di intimidire coloro che ne hanno il controllo; e così, con l'uso della forza collettiva, é in grado di irreggimentare le altre classi, riottose e riluttanti, in un programma militare. L'idealismo di Stato filtra attraverso gli strati della società, cattura gruppi e individui esattamente in proporzione al prestigio di questa classe dominante. Di modo che abbiamo l'orda realmente appesa tra due estremi, i patrioti militaristi a un capo, che sono difficilmente distinguibili in atteggiamenti e animo dai più reazionari Borboni di un Impero, e i gruppi del mondo del lavoro non qualificato, che mancano interamente del senso dello Stato. Ma lo Stato agisce come un insieme e la classe che controlla la macchina del Governo può spostare l'azione effettiva dell'orda come un insieme. Un orda non é effettivamente un intero da un punto di vista emozionale; ma con un'ingegnosa miscela di inganno, agitazione, intimidazione, l'orda viene plasmata in una effettiva unità meccanica se non in un insieme spirituale. Agli uomini viene detto simultaneamente che entreranno a far parte dell'apparato militare di loro propria volontà come loro sublime sacrificio per il benessere del loro paese, e che se non lo faranno saranno braccati e puniti con le pene più orribili; e sotto la più indescrivibile confusione di orgoglio democratico e timore personale si sottomettono alla distruzione del loro tenore di vita se non delle loro vite in un modo che sarebbe sembrato loro in precedenza cosi offensivo da essere incredibile. In questa grande macchina dell'orda, il dissenso é come sabbia negli ingranaggi. L'ideale dello Stato é in primo luogo una specie di cieca pulsione animale verso l'unità militare. Qualunque difformità da quell'unità viene schiacciata con l'immenso impulso, rivolto per intero a questo scopo. Il dissenso é rapidamente messo fuorilegge e il Governo, sostenuto dalle classi importanti e da coloro che in ogni località, per quanto piccola, si identificano con esse, procede contro i fuorilegge, senza riguardo al loro valore per le altre istituzioni della nazione o all'effetto che la loro persecuzione possa avere sull'opinione pubblica. L'orda si divide tra cacciatori e prede, e l'impresa della guerra diventa non solo un gioco tecnico, ma anche uno sport. Non si deve mai dimenticare che le nazioni non si dichiarano guerra l'una l'altra, né in senso stretto sono le nazioni che si combattono reciprocamente. Molto é stato detto sul fatto che le guerre moderne sono guerre di popoli interi e non di dinastie. Perché l'intera nazione é irreggimentata e tutte le risorse del paese sono mobilitate per la guerra, questo non significa che sia il paese in quanto paese a combattere. E' il paese organizzato in quanto Stato che combatte, e solo in quanto Stato può combattere. Così sono gli Stati letteralmente che si fanno la guerra l'un l'altro e non i popoli. I governi sono gli agenti degli Stati, e sono i governi che si dichiarano guerra l'un l'altro, agendo nel modo più autentico per conformarsi agli interessi del grande ideale dello Stato che essi rappresentano. Non c'é caso conosciuto nei tempi moderni del popolo consultato nell'inizio di una guerra. L'attuale richiesta di un "controllo democratico" della politica estera indica quanto completamente, anche nelle più democratiche delle nazioni moderne, la politica estera sia stata il possesso segreto e privato del ramo esecutivo del Governo. Per quanto possano essere rappresentativi del popolo i Parlamenti e i Congressi in tutto quello che riguarda l'amministrazione interna degli affari politici di un paese, nelle relazioni internazionali non é mai stato possibile sostenere che il corpo popolare abbia agito se non come un ratificatore interamente meccanico della volontà dell'esecutivo. La formalità con cui Parlamenti e Congressi dichiarano la guerra é il più meramente tecnico degli accorgimenti. Prima che questa dichiarazione possa aver luogo, il paese sarà stato condotto sull'orlo della guerra dal la politica estera dell'esecutivo. Una lunga serie di passi verso il baratro, ciascuno dei quali impegna più fatalmente il paese ignaro a un corso di azioni bellicoso, sarà stata intrapresa senza che il popolo o i suoi rappresentanti siano stati consultati o abbiano espresso il proprio sentimento. Quando la dichiarazione di guerra é finalmente richiesta dall'esecutivo, il Parlamento o il Congresso non potrebbero rifiutarla senza ribaltare il corso della storia, senza sconfessare ciò che si é rappresentato agli occhi degli altri Stati come simbolo e interprete della volontà e dell'animo della nazione. Sconfessare un esecutivo in quel momento sarebbe rendere pubblica al mondo intero la prova che il paese é stato grossolanamente ingannato dal suo stesso Governo, che il paese, con una trascuratezza quasi criminale, aveva permesso al suo Governo di impegnarlo a una gigantesca impresa nazionale per la quale non aveva il coraggio. In una crisi come questa, perfino un Parlamento che negli Stati più democratici rappresenta l'uomo comune e non le classi importanti che più fortemente amano l'ideale dello Stato sosterrà entusiasticamente la politica estera che comprende anche meno di quanto gliene írnporterebbe se la capisse, e voterà quasi unanimemente per una guerra dagli effetti incalcolabili in cui la nazione può essere condotta quasi alla rovina. [...] Tutto questo serve a dimostrare che lo Stato rappresenta tutte le forze autocratiche, arbitrarie, coercitive, belligeranti entro un gruppo sociale: che é una sorta di compendio di tutto quello che c'é di più sgradevole per il moderno libero spirito creativo, per il sentimento della vita, della libertà, e della ricerca della felicità. La guerra é la salute dello Stato. Solo quando lo Stato é in guerra la società moderna funziona davvero con quell'unità di sentimento, quella semplice devozione patriottica priva di critica, quella cooperazione di servizi, che sono sempre stati l'ideale degli adoratori dello Stato. Con i guasti delle idee democratiche, tuttavia, la repubblica moderna non può andare alla guerra con le vecchie concezioni dell'autocrazia e della belligeranza mortifera. Se una disposizione d'animo di successo per la guerra richiede una rinascita degli ideali dello Stato, essi possono risorgere solo sotto forme democratiche, in questa convinzione retrospettiva del controllo democratico della politica estera, del desiderio democratico della guerra, e particolarmente di questa identificazione della democrazia con lo Stato. Tuttavia, quanto del vecchio Stato possa sopravvivere in questa nuova concezione é indicato dalle leggi contro la sedizione e dall'atteggiamento, immutato, del Governo in politica estera. Una delle prime richieste dei più lungimiranti democratici nelle democrazie dell'Alleanza fu che la diplomazia segreta dovesse essere rigettata. Si pensava che la guerra fosse stata provocata da una rete di accordi segreti tra Stati, alleanze che erano state fatte dai governi senza l'ombra del sostegno popolare o persino della conoscenza da parte del popolo, e vaghi impegni semi-espliciti che difficilmente avevano raggiunto il livello di un trattato o accordo ma che si erano rivelati vincolanti alla fine. Certamente, dicevano questi pensatori democratici, la guerra può difficilmente essere evitata, a meno che questo velenoso sistema sotterraneo di diplomazia segreta non sia distrutto, questo sistema per mezzo del quale il potere, la ricchezza e le risorse umane di una nazione possono essere consegnate come un assegno in bianco a una nazione alleata che lo potrà incassare in qualche crisi futura. Gli accordi che possono provocare effetti sulle vite di interi popoli devono essere fatti tra popoli e non dai governi, o almeno dai loro rappresentanti in modo assolutamente pubblico e aperto alle critiche. [ ... ] L'ultima roccaforte del potere dello Stato é la politica estera. E' in politica estera che lo Stato agisce nel modo più rigoroso come l'orda organizzata, che agisce nel senso più pieno del suo potere aggressivo, che agisce con l'arbitrarietà più libera. In politica estera lo Stato é veramente se stesso. Si può dire che gli Stati, in riferimento l'uno all'altro, siano in un continuo stato di guerra latente. La "tregua armata", una frase così familiare prima del 1914, era una descrizione accurata della normale relazione tra gli Stati quando non sono in guerra. Invero, non é esagerato dire che la normale relazione tra gli Stati sia la guerra. La diplomazia é una guerra mascherata in cui gli Stati cercano di guadagnare con il baratto e l'intrigo, con l'astuzia degli ingegni, gli obiettivi che dovrebbero conquistare più rudemente per mezzo della guerra. La diplomazia é impiegata mentre gli Stati stanno riprendendosi dai conflitti che li hanno resi esausti. E' la blandizie e il mercanteggiamento dei prepotenti di strada, sfiniti, che si rialzano da terra e lentamente recuperano le forze per cominciare a combattere di nuovo. Se la diplomazia fosse stata un equivalente morale della guerra, un livello più elevato nel progresso umano, un mezzo inestimabile per fare prevalere le parole sulle armi, il militarismo sarebbe andato in frantumi e avrebbe lasciato spazio ad essa. Ma poiché é un semplice sostituto temporaneo, una semplice parvenza dell'energia della guerra sotto un'altra forma, un effetto surrogato é quasi esattamente proporzionato alla forza armata che vi sta dietro. Quando fallisce, é immediato il ricorso alla tecnica militare di cui é stata il braccio appena velato. Una diplomazia che fosse l'agente delle forze democratiche popolari nelle loro manifestazioni non statuali non sarebbe affatto una diplomazia. Non sarebbe nulla di meglio delle commissioni Ferroviarie o Scolastiche che sono inviate da un paese all'altro con propositi razionali e costruttivi. Lo Stato, agendo come un ideale diplomatico-militare, é eternamente in guerra. Come deve agire arbitrariamente e autocraticamente in tempo di guerra, così deve agire in tempo di pace in questo particolare ruolo in cui agisce come un'unità. Il controllo unificato é necessariamente un controllo autocratico. Il controllo democratico della politica estera é quindi una contraddizione in termini. La discussione aperta distrugge rapidità e certezza dell'azione. Lo Stato gigante é paralizzato. [...] Che cos'é lo Stato essenzialmente? Più da vicino lo esaminiamo, più mistico e personale diventa. La Nazione la possiamo toccare con mano come un determinato gruppo sociale con atteggiamenti e qualità abbastanza precisi da significare qualcosa. Il Governo lo possiamo toccare con mano come una certa organizzazione di funzioni di comando, la macchina che produce e fa eseguire le leggi. L'Ammimstrazione é un gruppo riconoscibile di funzionari politici temporaneamente incaricati di governare. Ma lo Stato sta come un'idea dietro tutte queste, eterno, santificato, e il Governo e l'Amministrazione credono di ricevere da esso il soffio della vita. Anche la Nazione, specialmente in tempi di guerra - o almeno le sue classi importanti - é convinta di derivare la sua autorità e il suo scopo dall'idea dello Stato. [...] La distinzione tra Governo e Stato, tuttavia, non é stata rispettata così attentamente. In tempo di guerra é naturale che il Governo come sede dell'autorità debba essere confuso con lo Stato o la fonte mistica dell'autorità. Non si può arrecar danno in modo efficace a quell'idea mistica che é lo Stato, ma si può interferire molto efficacemente con i processi del Governo. Di modo che i due diventano identici nella mente del popolo, ed ogni disprezzo o opposizione al funzionamento della macchina del Governo é considerato equivalente al disprezzo per la sacralità dello Stato. Si sta arrecando danno allo Stato, così si sente, nel suo fedele surrogato, e la pubblica emozione si raduna appassionatamente per difenderlo. Rende un crimine perfino ogni critica della forma di Governo. L'unione inestricabile del militarismo e dello Stato é efficacemente dimostrata da quelle leggi che mettono in rilievo come il più colpevole dei crimini sediziosi l'interferenza con l'Esercito e la Marina. Praticamente, un caso di sabotaggio capitalistico o uno sciopero nell'industria di guerra sembrerebbero essere molto più pericolosi per la positiva prosecuzione della guerra degli sforzi isolati e inefficaci di un individuo per impedire il reclutamento. Ma nella tradizione dell'ideale dello Stato questa interferenza industriale con la politica nazionale non é identificata come un crimine contro lo Stato. Ci si può mugugnare contro; può essere vista quasi razionalmente come un impedimento della più estrema gravità. Ma non é avvertita in quegli oscuri recessi della mente dell'orda che stabiliscono l'identità del crimine e fissano le punizioni in proporzione. L'Esercito e la Marina, tuttavia, sono le autentiche armi dello Stato; in esse scorre la sua linfa vitale più preziosa. Paralizzarle é toccare la parte più intima dello Stato. E la maestà dello Stato é così sacra che il semplice tentativo di ottenere questa paralisi é un crimine uguale a un colpo andato a segno. La volontà é considerata sufficiente. Anche se l'individuo nel suo sforzo di impedire il reclutamento dovesse fallire completamente e penosamente, egli non sarà in alcun modo risparmiato. Che la collera dello Stato scenda su di lui per la sua empietà! Anche se egli non tenta una azione aperta, ma esprime semplicemente sentimenti che possano incidentalmente nel modo più indiretto spingere qualcuno a evitare di arruolarsi, egli é colpevole. I guardiani dello Stato non domandano se un qualunque effetto pratico é derivato da questa cattiva volontà o desiderio. E' abbastanza che la volontà sia presente. Quindici o venti anni in prigione non sono considerati troppi per un tale sacrilegio. Questi atteggiamenti e queste leggi, che offendono ogni principio della ragione umana, non sono accidentali né sono il risultato dell'isteria causata dalla guerra. Sono considerati giusti, corretti, belli da tutte le classi che posseggono l'ideale dello Stato, e esprimono solamente una situazione estrema di salute e vigore nella reazione dello Stato a coloro che non gli sono amici. E' inevitabile che questi atteggiamenti sorgano nei devoti dello Stato. Poiché lo Stato é un simbolo tanto personale quanto mistico, e può essere compreso solamente tracciandone l'origine storica. Lo Stato moderno non é il prodotto razionale e intelligente del desiderio degli uomini moderni di vivere armoniosamente insieme nella sicurezza della vita, della proprietà e dell'opinione. Non é un'organizzazione che sia stata concepita come mezzo pratico per un fine sociale desiderato. Tutto l'idealismo con cui siamo stati educati a dotare lo Stato é il frutto delle nostre immaginazioni retrospettive. Ciò che esso fa per noi nel campo della sicurezza e dei benefici della vita lo fa incidentalmente come un sottoprodotto e uno sviluppo delle sue funzioni originali, e non perché a un dato momento gli uomini o le classi nel pieno possesso del loro intuito e della loro intelligenza abbiano desiderato che così fosse. E molto importante che di tanto in tanto solleviamo il velo incorreggibile di questo idealismo ex post facto col quale stendiamo un'aura di razionalizzazione sulla realtà, fingendo, nel trasporto della presunzione sociale, di aver personalmente inventato e istituito per la gloria di Dio e dell'uomo le vetuste istituzioni che vediamo attorno a noi. Le cose sono ciò che sono, e ci arrivano con tutte le loro spesse incrostazioni di errore e malevolenza. La filosofia politica può deliziarci con la fantasia e convincere noi, che abbiamo bisogno di illusioni per vivere, che l'attuale sia una copia bella e somigliante - piena di difetti, naturalmente, ma approssimativamente ben fatta e fedele - di quella società ideale che ci possiamo immaginare di star creando. Da qui solo un altro passo ci separa dall'assunzione tacita che abbiamo messo in qualche modo mano alla sua creazione e siamo responsabi |