Nick: Rasojo Oggetto: 2004 : Creuza de ma' Data: 31/10/2004 21.5.3 Visite: 98
Regalo, quasi sempre, libri e dischi. Il mio rado regalare qualcosa di diverso e', salvo eccezioni, segno di disprezzo. Vuol dire che ritengo quella persona sorda a lettere e musica. E che dovra' dimostrarmi qualcosa di straordinario per riaccedere allo status di essere umano. Cosi', ecco un CiDdi'. Nel 1984 ero in autostrada coi miei quando Isoradio (appena scoperta) annuncio' l' uscita dell' ultimo disco di Fabrizio De Andre'. Ne avrebbero presentato il pezzo di apertura. Salto sul sedile (posteriore). Volume al massimo. Non ne sapevo nulla. Era appena un disco prima che avevo scoperto questo artista schivo e quasi invisibile. Il disco che si chiama in realta' "Fabrizio De Andre' " , e che una suggestiva immagine di copertina ha poi reso noto come "L' Indiano". Anche se avevo gia' sentito su una raccolta "Il pescatore". Che mi parve la canzone piu' bella mai scritta. Ho cominciato a cantare seriamente cercando di imitare quei giochi di armoniosa raucedine tipici della voce di De Andre'. Oggi la tecnica mi e' chiara; cosi' come mi e' chiaro che quella voce, quella voce incredibile, non nasceva solo da uno studio tecnico. Era proprio un dono naturale. E come sia possibile che la voce piu' bella della storia della canzone Italiana fosse in possesso di uno che casualmente era anche uno dei massimi poeti che questo pianeta abbia ospitato, non lo so. Io mica credo al Destino. In due anni, mi ero procurato la raccolta completa dei suoi dischi. Sapevo (e so tuttora) praticamente l' intero repertorio a memoria. Il pezzo presentato da Isoradio si chiamava "Creuza de ma' ", e dava il nome all' album. Mi lascio' gelato. Invece di sentire la suadente voce del Nostro lanciarsi in medievali ballate, cupe riflessioni e affascinanti rimbombi, sulle note basse che ne costituivano il marchio di fabbrica, ascoltai sbalordito De Andre' che cantava ALTO. Una mezza ottava sopra il suo solito. Ma cos' era ? Una crisi ormonale ? Mi sentivo preso in giro. Ma non solo. Il tizio l' amore dei cui testi mi costava sbeffeggiamenti e derisione da parte di compagni di classe paninaro-chiattil-discotecari, invece di deliziarmi comunicandomi profondi concetti attraverso i suoi inimitabili versi, stava cantando in una lingua strascicata e ronzante, che sul momento mi parve Portoghese. De Andre' era impazzito. Amen. Impressione confermata anche dal fatto che invece di spinette, tromboni, o anche chitarre elettriche e batterie, c'era il suono di strumenti inconfondibilmente arabi. Mi parve di riconoscere anche un Bouzouki greco, ma naturalmente mi sbagliavo. Il Bouzouki era uno strumento per caprai, non per musicisti serii. Avrei voluto trovare qualcosa di positivo da dire, ma il tutto mi parve un folle scherzo, una truffa, quasi un insulto. Non potendo comunque capitolare di fronte agli sguardi interrogativo-sarcastici miei genitori, lievemente preoccupati da questa mia Faber dipendenza (ah : allora nessuno lo chiamava Faber : e' cosa che si e' diffusa dopo la sua morte), mi limitai ad ammettere che, ehm, non era uno dei suoi pezzi migliori. Anni dopo. Creuza de Ma' e' stato il disco che ha aperto la strada a quella che oggi viene chiamata "musica etnica". Uno spettacolare e originalissimo esempio di fusione di suoni provenienti da tutta l' area mediterranea, non esibiti, ma integrati in un fluido sonoro particolarissimo, che veramente esprime le comuni radici culturali di questa pur frammentatissima area. I testi sono in Genovese antico. De Andre', da autentico rompicoglioni, era ricorso a un vocabolario del '400. O diceva di esservi ricorso, da autentico bugiardo. Il disco conteneva le traduzioni dei testi e, cribbio, sono tra le cose migliori che abbia mai scritto. "E dici a chi mi chiama rinnegato Che a tutte le ricchezze, all' argento e all'oro Sinan ha concesso di brillare al Sole Bestemmiando Maometto al posto del Signore" Canta il Cicala, ora detto Sinan, marinaio genovese prima prigioniero, poi alleato, dei Saraceni. E anche De Andre', rinnegato, aveva trovato l' oro; l' oro di un modo nuovo di fare musica, che tutto mescolava e tutto metteva in gioco; lontano dalle sicurezze di pur stupendi stilemi consueti, con la voce acrobaticamente lanciata in tonalita' inesplorate. Non fu solo, in quel disco. Coautore figurava Mauro Pagani. Anni dopo, grazie a uno splendido libro ("Belin, sei sicuro ?", interviste a cura di R. Bertoncelli) ho saputo qualcosa di piu' sulla divisione del lavoro. De Andre', in fase di totale scazzo creativo, non era molto propenso a cominciare . Lo convinse Pagani, presentandogli le musiche quasi completamente pronte. Cui De Andre' aggiunse i testi. A differenza che nei molti altri dischi fatti in collaborazione da Faber con altri artisti, quindi, in Creuza si possono attribuire con buona certezza i testi completamente a De Andre', le musiche completamente a Pagani. Anche se e' chiaro che una certa interazione e' stata comunque necessaria per giungere al disco, attraverso una gestazione durata tre anni. Pagani puo' considerarsi orgoglioso di quel che ha creato. E in effetti ne e' fiero ; tanto da avere riproposto, in questi giorni il disco. Si chiama "2004 : Creuza de ma' " ; ed e' la reinterpretazione solitaria, vent' anni dopo, di quel disco memorabile. Lo sto ascoltando adesso. Fabrizio non c'e' piu' ovviamente. Lo ricorda una nota interna del disco, assolutamente struggente. Da capo tutto il giro un' altra volta vent' anni dopo prua sugli stessi fari minestra negli stesi carugi Un' altra volta lungo la rotta senza fine con il garbo di chi ancora si stupisce In giro fino all' ultima luce all' ultimo mozzicone Da capo per te e per me mio sfortunato capitano Da capo ( Mauro Pagani) E garbo ha davvero il disco ; reinterpretando, reimpreziosendo. La voce di Pagani non e' certo quella di De Andre'; eppure il disco ha una sua speciale dignita', una sua atmosfera non solo di nostalgia, ma di ricerca. E regala alcune gemme sepolte, brani valutati all' epoca e poi non terminati, o non iniziati. O finiti altrove, come "Megu megun". Su tutti, un brano di Alcmene, poeta Spartano il cui testo , essendo scaduto il copyright da qualche annetto, ritengo di poter riportare. Dormono le cime dei monti E gli abissi del mare E i promontori lontani E le terre profonde Dorme la stirpe degli animali Che la terra nera nutre E le belve feroci dei monti E la stirpe delle api E i mostri nei gorghi profondi del mare di viola dormono le stirpi degli uccelli dalle ali grandi Stanotte dormiro' Stanotte dormiro' anch' io Che tali versi potessero arrivarci da Sparta, che dal terremoto di vent' anni fa potesse nascere la gemma di oggi e' segno che, dopotutto, NON passa la bellezza.
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