Nick: Hightecno Oggetto: eros & pathos (cap XXX) Data: 2/11/2004 19.11.44 Visite: 72
Quando un rapporto prende vita, ciò che ne determina la nascita e lo sviluppo è, in prima istanza, il mondo interno dei due partecipanti alla relazione. I bisogni e le necessità specifiche dei due esseri umani intervengono determinando ciò che potremmo definire una «necessità specifica». Partendo da questo presupposto, l’amante va considerato come qualcosa di insostituibile. Ogni essere umano anela alla soddisfazione di particolari bisogni e soltanto un altro essere umano - unico e irripetibile - potrà riuscire ad appagarli. In questo scenario si inscrivono le principali problematiche connesse al termine di un rapporto. La fine di una relazione non è mai accompagnata dalla felice circostanza per la quale si concretizza un simultaneo esaurirsi dell’interesse. E questo comporta una delle più profonde ferite narcisistiche che un individuo possa sopportare. La sofferenza è in agguato, perché è quasi impossibile chiedere all’Altro uno sforzo di comprensione. La fine del rapporto è infatti il venir meno di una fiducia primaria che in tempi antichi abbiamo offerto a chi avrebbe dovuto, se non altro secondo le nostre aspettative, conservarci in eterno il suo affetto e la sua protezione. Troncare un rapporto significa essere cresciuti e anelare a un nutrimento diverso. In questo senso ciò che si apre dinanzi a noi è un nuovo progetto di vita, che non vuol certo negare la validità della persona abbandonata, ma che sicuramente la esclude dalla nostra ricerca. Sono i momenti difficili della nostra vita, nei quali le lacrime e lo sconforto sono predominanti e in cui tutto diventa possibile: la vendetta crudele, la diffamazione, la calunnia, l’invocare pietà, persino la violenza. Quando stringiamo fra le nostre braccia la persona amata che ci sta lasciando, possiamo dire e gridare qualsiasi cosa: un urlo disperato di aiuto dirompe dal nostro animo. Chi è abbandonato si sente davvero perduto; si tratta di una dimensione atroce alla quale è quasi impossibile sottrarsi; conosciamo con tristezza quello che noi saremmo capaci di fare e quello che l’Altro è stato capace di fare. In questi momenti è in gioco il fondamento stesso della vita, la fiducia nell’Altro e quindi, in ultima analisi, la fiducia in noi stessi, la fiducia necessaria per immaginare nuovi progetti. Per certi aspetti e sue caratteristiche, l’esperienza della separazione affettiva risulta essere molto vicina a quella della morte, anche se in questo caso è alla nostra stessa agonia che assistiamo. Esattamente come nell’esperienza di rielaborazione del lutto, siamo chiamati a ricomporre - per sovrapposizione di frammenti - quell’immagine di noi che l’Altro legittimava, tentando al contempo di delegittimare la sua immagine assicurandocene un vero e proprio depotenziamento. Di conseguenza, anche la solitudine che ne deriva ha una sua condizione esclusiva e specifica, che non deve essere confusa con il cosiddetto isolamento sociale. Se infatti quest’ultimo si riferisce a una condizione occasionale, che qualsiasi aggregazione o futile incontro potrebbero mitigare, la solitudine che deriva dalla dall’abbandono della persona amata raggiunge il nocciolo dell’esistenza, minando alla base la nostra possibilità di sopravvivenza. L’Altro non è più al nostro fianco e all’improvviso tutto scompare, inaridisce, muore. Il nostro stato d’animo è ora paragonabile ad un deserto: sterili, brulle e aridi steppe, sabbie brucianti divorano il verde delle stagioni felici, il quotidiano fiorire dell’amore dell’Altro. In questo momento l’amante desolato è chiamato verso compiti infelici. Del tutto incapace di pensare qualcosa di diverso dalla sua disperazione, negandosi ogni forma di progettualità, non vedendo più un solo debole raggio di quella luce che ogni volta gli offriva la migliore prospettiva di osservazione del mondo, deve ora dolorosamente confrontarsi con la sua solitudine. Odiosa e detestabile, fagocitante e spietata, la solitudine getta ombra sulle giornate di chi ha vissuto l’interruzione di un legame; inoltre, messa da parte e volutamente ignorata, rischia nel tempo di trasformarsi in una solitudine strutturale. Si tratta di un’insidia spinosa, dalla quale soltanto un altro essere umano potrà preservarci |