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Nick: DeK
Oggetto: CHUCK PALAHNIUK, "Diary"
Data: 7/11/2004 16.27.25
Visite: 80

Il nostro diario. Il nostro autoritratto. Cio' che ignoriamo riguardo a noi stessi. Cio' che non vogliamo
sapere.

  
Perché ogni cosa è importante. Ogni dettaglio. Solo
che non sappiamo ancora perché, non ancora.
Ogni cosa è un autoritratto. Un diario. La storia del
tuo consumo di droghe in una ciocca di capelli. Le unghie
delle dita. I dettagli da autopsia. Le pareti interne
dello stomaco sono un documento. I calli sulle mani
rivelano tutti i tuoi segreti. I denti li tradiscono.
L'accento. Le rughe intorno alla bocca e agli occhi.
Ogni cosa che fai rivela la tua mano.


C'e' molto dell'America in guerra in quest'ultimo romanzo di Palahniuk, anche se sarebbe riduttivo
additarlo quale metafora della situzione attuale. O come contrappasso, visto che le vittime sacrificali
appartengono alla classe che negli ultimi anni si e' arricchita.

  

E' giusto far fuori degli sconosciuti per supportare uno
stile di vita solo perche' le persone che lo adottano sono
quelle a cui vuoi bene?
O meglio: a cui credevi di voler bene.


La dimensione dello scritto rimane comunque personale, come nei precedenti romanzi. D'altronde si tratta
di un diario. Ma in qualche modo e' qualcosa di meno e di piu'.
La scrittura e' particolare. Misty, la protagonista e narratrice, parla di se' in terza persona. Inoltre
il suo discorso e' diretto al marito, in coma dopo un tentato suicidio, ma indicandolo sempre come una
terza persona, per poi passare alla seconda in brevi frangenti.
Il diario e' anche e soprattutto la storia che si ripete, che diventa manuale di distruzione per il suo
stesso perpetrarsi e perpetuarsi (ghghgh...)
E una volta tanto avrei preferito che il titolo fosse stato tradotto, visto che in certi passaggi si
perde l'autorefenzialita. Cmq...
Alla fine: siamo costretti a ripetere all'infinito i nostri errori, a rivivere il nostro diario, a far
si' che cio' che vi e' scritto si avveri?

  
Dimenticare il dolore è difficiissimo, ma ricordare la
dolcezza lo è ancor di più.
La felicità non ci lascia cicatrici da mostrare. Dalla
quiete impariamo così poco.



Diversamente dai precedenti Invisible monster e Survivor, l'interesse e' retto piu' sulla trama che sullo stile. Che e'
sempre presente, ma... Uhm... Ci vedo lo zampino del traduttore (perche' li cambiano sempre?!?)
Insomma, un po' sottotono rispetto ai precedenti, ma sicuramente un libro da leggere. E rileggere, magari,
quando la situazione, la' fuori, sara' diversa.

  
Puoi ripetere gli stessi miracoli all'infinito, a patto
che nessuno ricordi l'ultima volta che sono stati fatti.





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CHUCK PALAHNIUK, "Diary"   7/11/2004 16.27.25 (79 visite)   DeK
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