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Nick: Mach
Oggetto: I MALI DI NAPOLI
Data: 23/11/2004 20.8.30
Visite: 105



I MALI DI NAPOLI, UNA CITTA'CHE DIVORA SE STESSA

DI MASSIMO FINI
I primi e principali responsabili dello spaventoso degrado di Napoli
sono i
napoletani. Se si vuole che la città abbia qualche speranza di
salvarsi dal
gorgo profondo in cui è precipitata e che la sta tirando sempre più in
basso, questo bisogna dirlo con chiarezza, senza trincerarsi dietro la
retorica, forse obbligata, di Carlo Azeglio Ciampi che ha definito i
napoletani "nè rassegnati nè inerti" di fronte alla crescita esplosiva
della
criminalità,ma piuttosto usando la lucidità del ministro dell'Interno,
Pisanu, che proprio di inerzia e di rassegnazione aveva parlato.
In realtà Pisanu ha usato degli eufemismi. Perché più che di "inerzia"
e
"rassegnazione" bisogna parlare di connivenza, a Napoli, fra la gente,
diciamo così, normale e la camorra. Perché a Napoli c'è una illegalità
diffusa che rende difficile stabilire dei confini precisi fra "Napoli
male"
e "Napoli bene". Non esiste, e non è mai esistita a Napoli, in tutti i
ceti
sociali, alcuna cultura della legalità.
Viaggiavo tempo fa in taxi dall'aeroporto di Capodichino al porto e il
taxista,loquace ed espansivo come sono in genere i napoletani, mi fece
notare che sul suo parabrezza c'era il tagliando dell'assicurazione ma
non
quello del bollo. "E se il bollo non ce l'abbiamo noi, che facciamo
questo
mestiere,può immaginarsi gli altri". E tutto è così, a Napoli.
Non c'è nessuno, a Napoli, che non abbia almeno un cugino camorrista
cui
ricorrere quando è vittima di un sopruso o per perpetrarne uno. Lo
Stato è
un nemico o un pollo da spennare.
Esistono, a Napoli, i "disoccupati organizzati", più o meno le stesse
persone da trent'anni, a parte le new entry, che fanno cortei al grido
"fateci faticà"(ma quando mai?) e poi, finita la manifestazione,
svoltato
l'angolo, salgono sulle loro Bmw.
La contiguità fra "Napoli bene" e "mala" è un'eredità antica, che
affonda le
proprie radici molto lontano, nel periodo borbonico e feudale quando
signori
e "pezzenti" vivevano a stretto contatto di gomito. Quei legami,ai
tempi,
avevano un loro perché e una loro funzione sociale per una popolazione
che
insieme all'arte di arrangiarsi ha sempre coltivato quella di aiutarsi
a
vicenda. Una solidarietà spontanea, calda, partenopea.
Io devo a Napoli alla mia prima, salutare, lezione di vita. Correva la
metà
dei Sessanta, io di anni ne avevo ventuno, e con la mia prima
macchina,una
Simca 1000, e la mia ragazza, mi fermai, nel mitico viaggio verso il
Sud, a
Napoli e parcheggiai l'auto, con tutti i bagagli dentro, ai margini
dei
quartieri spagnoli, proprio davanti a un famoso bar di malavitosi, che
si
chiamava "Scarpinato" o qualcosa del genere. Quando tornammo dal giro
la
macchina, naturalmente, non c'era più. Sedevamo malinconicamente,
verso
mezzanotte, davanti a una stazioncina dei carabinieri, che pareva un
avamposto nel Far West urbano, dove avevamo fatto la denuncia del
furto,
quando passò
un ragazzo poco più grande di noi.
Vide la nostra aria malconcia, ci chiese cos'era successo e ci portò a
casa
sua. Era una casa bellissima, nobiliare, che si affacciava sul
lungomare di
Mergellina. I suoi genitori erano in viaggio di piacere e lui ci
ospitò e
per tre giorni ci scorrazzò per Napoli, ce la fece conoscere nelle sue
pieghe più intime e nel suo affascinante sottosuolo. Al terzo giorno
decise
che era tempo di passare all'azione. Ci portò, la sera, sul lungomare,
dove
c'erano i cozzicari, musica e un popolo vociante e ridente che giocava
allo
"strummolo" e alla "semmana".
Il ragazzo si rivolse a uno di questi cozzicari, che era
soprannominato "u
scurnacchiato", e gli espose la questione. "U Scurnacchiato" ci pensò
un po'
su, poi, rivolgendosi a me, disse: "La macchina la ritroverete
senz'altro,i
bagagli no". Sennò, aggiunse, strizzando l'occhio che mariuoli
saremmo?".

La mattina dopo, alle sette, ricevemmo una telefonata dei caramba che,
con
una certa aria trionfante, ci annunciavano che la macchina era stata
ritrovata. Un mese dopo, rientrato a Milano, mi arrivò una busta
chiusa e
anonima dove c'erano tutti i miei documenti.Ma quella era ancora la
Napoli,
premoderna,
del "basso" e dell'"economia del vicolo", così splendidamente
descritta da
Matilde Serao e, in anni più recenti da Antonio Ghirelli ("Napoli
italiana"),dove la malavita aveva il volto bonario di "u
Scurnacchiato", era
professionale e si dedicava a piccoli furti, come quello che avevo
subito io
(furti se non legittimi, perlomeno pedagogici, una dabbenaggine come
la mia
non poteva esser fatta passar liscia) e, principalmente, al
contrabbando di
sigarette che la polizia si guardava bene dal reprimere.
"Ogni tanto sequestriamo qualche partita, così, a titolo dimostrativo
"mi
disse un funzionario della Questura "ma sostanzialmente chiudiamo
tutti e
due gli occhi. Togliere il contrabbando di sigarette a Napoli
significherebbe mettere sul lastrico trecentomila persone".Ma quale
"economia del vicolo"
può esistere, e resistere, quando si costruiscono quartieri come il
Traiano,i cosiddetti "comuni vesuviani" non sono che un immenso
hinterland,
(tanto più incombente perché, a differenza di quello milanese, è ben
visibile arrampicato com'è sul vulcano fin quasi alla cima) e tutto il
territorio è stato saccheggiato da una selvaggia speculazione
edilizia?
Nella loro anarchia e nel loro disordine i napoletani si sono
distrutti le
loro sole, vere, ricchezze: il suolo, il territorio, la bellezza, il
mare.
Oggi Napoli, devastata anche da un traffico impossibile, è un incubo
urbano
e suburbano che nessun Restyling alla Bassolino può occultare.Negli
anni
Cinquanta, quando ero ragazzino, mio padre mi aveva portato a Napoli e
mi
aveva fatto conoscere i paesini della costa, Torre del Greco, Torre
Annunziata e gli altri. Erano dei gioielli incastonati nel "Golfo più
bello
del mondo". Oggi quella costa è tutta una interminabile striscia di
cemento.
I napoletani, per riflesso condizionato, credono di avere ancora "o
sole
mio". Ma il sole, a Napoli, è quasi sempre più opaco che a Milano e se
lasciando la città con la nave ci si volta indietro la si vede avvolta
in
una nube di inquinamento.
Il mare, guardando dall'aereo, è d'un color marrone marcio quasi fino
a
Capri. Ed è "grazie al sole e al mare che anche un ragazzo povero può
crescere felice" scrive Albert Camus pensando alla sua Orano.Ma oggi,
a
Napoli, mare e sole non esistono più se non nell'immaginazione dei
suoi
abitanti.
E i ragazzi poveri vanno, fatalmente, a ingrossare le fila della
malavita.
Che, nel frattempo, con la speculazione edilizia e la droga, è
profondamente
cambiata e dà luogo a quei fenomeni atroci che da decenni (altro che
"un
momento di disorientamento", presidente Ciampi) incrudeliscono sulla
città.
Così com'è cambiato quel rapporto amicale fra "Napoli bene" e "Napoli
mala".

Oggi alla malavita non si chiedono più quei favori sostanzialmente
innocenti
che il nostro giovane e ricco ospite chiese a "u Scurnacchiato", ma
altri,ben più inconfessabili. E se ne paga, ovviamente, il prezzo. E
così
quella contiguità fra signori e "pezzenti", quell'anarchia,
quell'allegro
caos,
quell'arrangiarsi, quel senso di solidarietà che in una situazione
premoderna costituivano il folclore, il fascino e l'umanità di Napoli
sono
diventati,nella complessità della modernità, il mostruoso cancro che
la sta
divorando.
E il timore è che Napoli, lungi dal salvarsi, non sia che lo specchio,
appena un poco deformato, di quello che potrebbe diventare l'Italia
intera
che,senza capire che i tempi sono cambiati, si aggrappa ancora al
sempiterno
"stellone", vive sempre più in disordine etico e morale, dove i
confini fra
ciò che è legale e ciò che non lo è si fanno, sia nelle alte come
nelle
basse sfere, sempre più esili, confusi e incerti.
La meridionalizzazione,passando per quella cozza filtrante ogni sorte
di
nefandezze che è Roma,che provvede poi a diffondere sia al Nord che al
Sud,
ha invaso l'Italia.
Ma non è il Meridione d'antan, con l'allegro, caotico, musicale
disordine
del lungomare di Mergellina di soli quarant'anni fa, ma un Meridione
stravolto che, passato attraverso le sofisticazioni della modernità,
ha
mutato geneticamente quei suoi tratti così umani (forse "troppo umani"
avrebbe detto Nietzsche)
in un ghigno subdolo, e insieme feroce, che ne è esattamente l'opposto
ed è
solo distruttivo e autodistruttivo.
Massimo Fini
Fonte:www.ilgazzettino.it
17.11.04



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