Nick: Peppos Oggetto: 11 Settembre Cileno Data: 23/11/2004 23.23.59 Visite: 79
Noto che alcune persone non conoscono o dicono di non conoscere nulla riguardo l'11 settembre cileno. Provvedo io. Lasciando la parola ad un "neutrale". L'11 settembre cileno mai raccontato tratto da Il Giornale del 13.09.2003. di Renato Brunetta L'hanno chiamato "l'altro 11 settembre" ed è stata l'occasione che i media di sinistra hanno trovato per rovesciare sull'opinione pubblica italiana una massiccia dose di antiamericanismo e cancellare, almeno in parte, la viva ferita dell'abbattimento delle Twin Towers, il più terribile e feroce attentato terroristico che la storia dell'umanità ricordi. Ieri, infatti, ricorreva anche il trentennale del golpe che nel 1973 il generale Augusto Pinochet Ugarte condusse contro il presidente che lo aveva nominato a capo delle forze armate, il socialista Salvador Allende. E ieri è stata l'occasione per raccontare anche ai giovani la vulgata politically correct sul golpe cileno. Una vulgata secondo la quale il governo di Salvador Allende e della coalizione di Unidad Popular stava realizzando, con il consenso della maggioranza dei cileni, un esperimento innovativo di transizione a un modello di socialismo democratico. E che gli Stati Uniti, per mano della famigerata Cia, hanno ordito un golpe militare per riaffermare il loro ruolo imperialista e il loro predominio economico in Sud America. Peccato che le cose non siano andate così. E che i mille giorni di Salvador Allende non siano stati né un esperimento innovatore, né un modello di democrazia politica. Il socialista Salvador Allende diventa presidente del Cile, dopo due tentativi falliti in precedenza, nel 1970, con appena il 36,2% dei voti, un consenso di poco superiore a quello dei due candidati di centro e di destra. Il primo anno della presidenza Allende fu di apparenti successi in economia. Assieme alla nazionalizzazione delle miniere di rame, principale risorsa naturale del Paese, delle principali industrie straniere, delle banche e delle grandi proprietà immobiliari (realizzata con il consenso dell'opposizione che non seppe resistere alla demagogia nazionalista), il governo Allende assume alcune misure di stampo keynesiano aumentando in modo generalizzato salari e stipendi. Questa manovra, finanziata con le forti riserve valutarie che lo Stato cileno aveva accumulato grazie alle alte quotazioni del rame sui mercati internazionali, vengono pompate a piene mani nell'economia statalizzata. Nel giro di pochi mesi il pil cresce dell'8,6%, la disoccupazione si dimezza e l'inflazione scende dal 34 al 22%. Contemporaneamente la spesa pubblica cresce del 70%. Di questa fiammata espansionista godono il beneficio quasi tutti i cileni, ceto medio e ceto operaio. Ma di fiammata si tratta. La nazionalizzazione dell'economia, che aveva toccato anche il settore primario con una riforma agraria che ha sottratto la terra ai proprietari per passarla allo Stato, fa crollare in pochi mesi gli investimenti stranieri (-71,3%), la produzione agricola, il risparmio. Nell'ultimo trimestre del 1970 lasciano il Cile quasi trentamila persone e con esse 87 milioni di dollari. Lo choc statalista inferto al mercato (senza che un dollaro di indennizzo venisse versato ai proprietari) isola il Cile dagli scambi internazionali. Le riserve valutarie, pompate a piene mani per mantenere artificiosamente alti i livelli di salari e stipendi, crollano da 342 a 32 milioni di dollari, e già nel 1972 la domanda interna crolla, il deficit pubblico cresce a valanga, gli scambi con l'estero si bloccano, gli investimenti stranieri si azzerano, l'inflazione riprende a galoppare, facendo crollare il potere d'acquisto della grande maggioranza dei cileni. Contemporaneamente, sul piano politico, il congresso cileno vede il formarsi di un'alleanza tra il centro e la destra, fino ad allora divisi. Tutte le iniziative del governo socialcomunista vengono bloccate. Di fronte alla paralisi istituzionale il presidente Allende, invece di dimettersi e convocare nuove elezioni (che lo avrebbero portato alla sconfitta, visto il crollo del consenso anche tra i lavoratori), cerca di aggirare l'ostacolo stabilendo che alcuni provvedimenti, come gli espropri e le nazionalizzazioni, potessero esser assunti per via amministrativa, esautorando così il Parlamento. Questa decisione venne censurata duramente dalla Corte Suprema, che accusò il governo di avere travalicato i limiti costituzionali. E in effetti quello che cerca di realizzate Salvador Allende, rompendo la lunga tradizione democratica del Cile, è un «golpe governativo» che raggiunge il suo apice con il rifiuto del governo a promulgare una riforma costituzionale, regolarmente approvata dal congresso, con cui si pongono limiti precisi e rigorosi alla completa nazionalizzazione e sovietizzazione dell'economia. Contemporaneamente alla paralisi economica e istituzionale, nel 1973 il Cile affronta una fase di duro scontro sociale. Lavoratori, ceti medi, commercianti dichiarano una serie infinita di scioperi e serrate, spinti dal crollo del potere d'acquisto della moneta. L'inflazione è infatti al 500%. Di fronte al caos economico, istituzionale e civile, il Parlamento il 23 agosto 1973, diciotto giorni prima del golpe, approva a larga maggioranza un durissimo documento in cui si accusa il presidente Allende di ripetute e gravissime violazioni della Costituzione: dall'usurpazione dei poteri del Parlamento, alla violazione delle decisioni della Corte costituzionale; dall'abolizione del diritto di proprietà privata, all'attentato alla libertà di espressione con l'arresto arbitrario di giornalisti dell'opposizione; dall'utilizzo della giustizia a fini politici contro gli oppositori, fino al ricorso alla tortura, alla violazione dei diritti sindacali attraverso la repressione contro alcune organizzazioni dei lavoratori. La mozione del 23 agosto meriterebbe di essere pubblicata interamente solo per l'elenco degli arbitrii, degli abusi e dei soprusi antidemocratici messi in atto dall'ormai disperato presidente Allende. Ed è nella mozione del 23 agosto che il Parlamento si appella ufficialmente alle Forze armate perché intervengano a porre fine al perseguimento del putsch governativo. Grazie alla norma Costituzionale che richiede il voto dei due terzi del Parlamento per destituire il presidente, nonostante l'ampia maggioranza parlamentare a sostegno delle gravissime accuse nei confronti di Allende, il presidente resta in carica e medita di uscire dalla grave crisi con l'indizione di un plebiscito popolare sulla sua persona. Ma l'11 settembre, le Forze armate guidate da Augusto Pinochet, generale nominato dallo stesso Allende, prendono il potere. Quello che ne seguì fu un periodo sanguinoso, brutale e violento. Il quindicennio più buio del Cile. Ma le premesse per la parentesi antidemocratica di uno dei Paesi dell'America Latina di più lunga tradizione costituzionale furono poste dal tentativo avventurista di realizzare il comunismo in Cile e dalla cecità di un'opposizione democratica che si svegliò quando ormai era fuori gioco. Naturalmente gli Stati Uniti e la Cia fecero la loro parte, ma come disse Henry Kissinger, «non c'é nessuna ragione di stare a guardare che un Paese diventi comunista per l'irresponsabilità del suo popolo». Questa è la storia dell'«altro 11 settembre». Una storia che ieri nessuna televisione, nessuna radio, nessun giornale ha raccontato. |