Nick: Viola2 Oggetto: Strade Data: 13/11/2002 17.59.44 Visite: 20
Elena prese piano il cappotto. Lo infilò con gesti guardinghi, per non farsi sentire dalla madre, che sfogliava una rivista nella stanza accanto. Ecco. Ce l'aveva fatta. Ora doveva solo attraversare l'ingresso rapidamente, quasi di corsa, per dare l'impresiione di qualcosa che fosse sopravvenuto all'improvviso, di un servizio urgente che le fosse venuto in mente in quel momento. Sbatté la porta dietro di sé con forza, perché quel gesto invece doveva essere sentito. Sua madre in quel preciso istante avrebbe capito che Elena non era più nella sua stanza a studiare, ma che era andata chissà dove, ed il suo pensiero non sarebbe rimasto fisso su quello che accadeva in quella stanzetta. Ecco, questo le bastava. Che l'attenzione fosse distolta da lei, almeno per un pò. Che per un pò di tempo non si sapesse dov'era né cosa stesse facendo. Magari si poteva anche pensare che fosse impegnata in qualcosa d'importante, un impegno irrinunciabile, un qualcosa che al suo ritorno avrebbe confermato con una faccia soddisfatta e stanca. Voleva solo uscire. Appena mise piede fuori dal portone assunse un'aria indaffarata per ingannare gli sguardi consueti, quelli dei negozianti della piazza, che lei attraversava con lo sguardo apparentemente distratto. Giunse alla piazza successiva, e lì si rilassò, rallentò l'andatura, cominciò a respirare più profondamente. I suoi passi seguivano un itinerario ormai prestabilito, che non riservava sorprese. Lei non voleva sorprese. Solo così le strade si sarebbero potute ridurre ad uno scenario informe, un vago disegno, uno sfondo tratteggiato. Cercò di concentrarsi sul presente. Adesso aveva molte cose, che tempo prima non avrebbe mai pensato di poter avere. Tempo prima non avrebbe avuto nemmeno la forza di uscire dalla sua stanza. Ora era diverso. Era tornata alla sua vita. Il tempo aveva di nuovo un significato, una scansione. Il tempo era di nuovo amico. Aveva un uomo che l'amava. Ripensò all'ultimo fine settimana in compagnia del suo ragazzo, nella casa che lui aveva preso per stare insieme quando potevano. Aveva fatto tutte le cose che quando era più giovane desiderava tanto. Aveva dormito abbracciata ad un uomo che l'amava, aveva riso assieme a lui ed ai suoi amici, aveva giocato con loro sulla spiaggia, si era sentita per un attimo parte di qualcosa. Un attimo, in cui aveva smesso di osservarsi dal di fuori, in cui non aveva ricordato più nulla. Ricordava quando giaceva inerte sul letto, cercando una spiegazione, un senso a tutto, a tutto, a com'era possibile che fosse già finito tutto, che niente potesse più tornare, e restavano soltanto i giorni ed il loro colore bianco, bianco, bianco come la morte. Aveva disperatamente desiderato ritrovare il piacere delle azioni, dei pensieri, delle sue piccole cose. Quel piacere era tornato a lei all'improvviso, e non lentamente come aveva sempre pensato. Improvvisamente era cessato il colpo al petto che la svegliava sempre di notte, con il cuore che correva impazzito come un animale estraneo nel petto. Un animale in gabbia. Era un miracolo che fosse cessato, proprio quando ormai si era decisa a farsi inghiottire. Mi vuoi, prendimi. Tutto, affinché il dolore allentasse la sua presa. Era scomparso, e lei respirava con cautela, Considerando ogni cosa, da quei giorni in poi, come un regalo, qualcosa che non le spettava più. Basta. Non voleva pensare a quei momenti. Basta. Si fermò davanti ad una vetrina. Un bel vestito. Si sforzò di immaginarselo addosso, si figurò molteplici occasioni, situazioni in cui avrebbe potuto indossarlo. Svanivano, non riusciva ad afferrarle. Continuò a camminare. Nel caos della piazza, alcune persone erano sedute sulle panchine. Anziani, persone di mezza età. Fissò lo sguardo su una signora con un cagnolino. Era ben vestita, aveva l'aria un pò sperduta. Le guardò l'anulare sinistro. Due fedi allo stesso dito. Cercò di immaginarsi il dolore della donna nel rimanere sola, l'evidente solitudine che la spingeva ad avventurarsi su quella panchina con il cane come uno scudo. No, si conosceva, se non si fosse subito distolta avrebbe continuato a pensare alla signora per giorni e giorni, nei momenti più impensati. Doveva telefonare al suo ragazzo, ecco cosa doveva fare. Raggiunse il telefono più vicino e compose il numero. Rispose lui. "Dove sei?" le chiese. Lei rispose macchinalmente. Ma perché mai gli importava sempre sapere dove lei fosse? Per lui queste cose erano importanti. Significavano senza dubbio qualcosa. Anche per questo lei l'amava. Avrebbe sempre saputo spiegarle perché era importante trovarsi in una strada invece che in un'altra. "Che stai facendo?" disse lui. Avrebbe potuto dirgli mille cose. Silenzio. "Niente" disse lei alla fine. Mi vuoi, prendimi. Inghiottimi. Prendimi tu, prendimi tu, amore mio. Nascondimi in fondo, in fondo in fondo dove nessuno mi possa più trovare. Qui, qui in questa piazza sto svanendo, non ho più peso, divento trasparente. "A che ora ci vediamo stasera?" disse lui ridendo. "Quando vuoi" rispose lei. Voglio che tu mi veda. Che mi inchiodi a questa benedetta terra. Voglio vedere come le tue mani si posano su di me e non mi attraversano come se fossi un' ombra. Voglio sentire i tuoi pensieri che si fermano su di me come su un ostacolo lungo il cammino. Voglio che mi urti, che mi getti a terra e che mi lasci lì. Non importa se poi mi abbandoni, basta che mi lasci sulla terra.
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