Nick: PaTaNeL|A Oggetto: Faber... Data: 4/12/2004 12.32.41 Visite: 83
Riporterò nelle seguenti righe un articolo di un paio d'anni fa pubblicato su Skunk, la purtroppo non più esistente rivista del collettivo ''Logomotiva'', che mi ha colpito molto e colpirà sicuramente tutti i fans di Fabrizio De Andrè a poco più di un mese dal 6°anniversario della sua morte. «Aspettero' domani, dopodomani e magari cent’anni ancora finche' la signora Liberta' e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile». Era il 1990 quando Fabrizio De Andre' scrisse queste parole… sono passati dodici anni e da tre (dall’11 Gennaio 1999) Faber non e' piu' con noi. Ma sono tanti e tanti anni che di lui si parla come di un anarchico, ma in che senso? Proviamo con questo scritto a capirci qualcosa di piu'. Nel disco "Storia di un impiegato" (1973), De Andre' racconta di un piccolo borghese che, frustrato dal non essere accettato dall’alta borghesia e, nel contempo, di essere guardato con sospetto dagli studenti e dal proletariato, si ribella con il gesto individuale di una bomba che avrebbe voluto lanciare contro i rappresentanti della politica ma che, invece, colpisce un chiosco di giornali aprendogli le porte della galera. Questo disco prende spunto oltre che dalla societa' italiana, da quella francese e da quel famoso Maggio 1968. L’album si apre proprio con la descrizione degli studenti in lotta guardati tutto sommato con invidia dal protagonista: Lottavano cosi' come si gioca i cuccioli del maggio era normale loro avevano il tempo anche per la galera ad aspettarli fuori rimaneva la stessa rabbia la stessa primavera E’ gia dalle prime parole che l’impiegato si accorge di non riuscire a fare corpo unico col resto del movimento ed e' per questo che sa che per manifestare il proprio disagio individuale dovra' vedersela da solo e sceglie la bomba per restituire allo Stato «un po’ del tuo terrore, del tuo disordine, del tuo rumore». E De Andre' continua cantando «cosi' pensava forte un trentenne disperato se non del tutto giusto quasi niente sbagliato». Ha spiegato in un’intervista:«Il ’68 io l’ ho vissuto a contatto con i gruppi di estrema sinistra, partecipando al tentativo di rinnovamento […] mai avrei fatto la lotta armata, ma condividevo quasi tutti quelli che oggi vengono definiti gli eccessi sessantottini, anche perche' li avevo quasi promossi attraverso le mie canzoni […] condividevo la rivolta contro un certo modo di gestire la societa' che non teneva minimamente conto della societa' stessa […] certo ho anche fatto concerti tra bombe molotov e lacrimogeni, ma il ’68 e' stata una rivolta spontanea, e il fatto che non sia riuscita forse e' un bene, se e' vero che una volta preso il potere, i rivoluzionari cessano di essere tali per diventare amministratori». E questo e' il modo di intendere l’anarchia di Fabrizio De Andre': la consapevolezza che il potere (in ogni sua forma) e le autorita' ad esso connesse sono in concreto i reali nemici dell’uomo. Conclude, infatti, il disco dicendo: Certo bisogna farne di strada da una ginnastica d'obbedienza fino ad un gesto molto piu' umano che ti dia il senso della violenza pero' bisogna farne altrettanta per diventare cosi' coglioni da non riuscire piu' a capire che non ci sono poteri buoni Da questa analisi appare scontato in che senso e perche' De Andre' sia stato il cantore degli umili, dei suicidi, dei ladri, degli assassini, delle prostitute e delle minoranze di ogni tipo, colore, religione e forma: chi piu' di questi personaggi soffriva lo scettro dei poteri e le discriminazioni borghesi di chi e' schiavo di un sistema e neanche se ne rende conto. Ed e' andando a spasso tra questi miserabili che De Andre' ha incontrato anche Gesu'. Ma un Gesu' completamente diverso da quello che ci hanno insegnato ad immaginare nei catechismi: un uomo, solo un uomo molto buono «come Dio passato alla storia». Era il 1970 quando in piena contestazione studentesca, De Andre' pubblico' "La buona novella", un disco che allora non fu capito. «La buona novella e' un’allegoria, che paragona le istanze migliori e piu' sensate della rivolta del ’68 con quelle della vita di Cristo, queste ultime da un punto di vista spirituale sicuramente piu' elevate, ma dal punto di vista etico-sociale molto simili alle prime […] perche' fra la rivoluzione integrale di Gesu' e quella di certi casinisti nostrani c’e' una bella differenza: lui combatteva per una realta' integrale piena di perdono, altri combattevano e combattono per imporre il loro potere». Lo stesso potere che manda a morte Gesu' come un sovversivo, lo stesso potere che lo ricicla come Dio e ancora lo stesso potere che in suo nome si e' macchiato di omicidi, nefandezze e soprusi. Il disco si conclude quindi col piu' laico degli atti di fede: una preghiera celebrativa dell’uomo e non di Dio, che resta solo una sua invenzione. Uno dei momenti piu' poetici de "La buona novella" e' "Il testamento di Tito":«In questa canzone metto in bocca a uno dei ladroni crocefissi con Gesu' (l’altro si chiamava Dimaco, n.d.r.) una lettura provocatoria dei dieci comandamenti, che il ladrone smonta uno per uno smascherandone l’ipocrita convenienza di chi li aveva dettati: e' facile dire "non rubare o non desiderare la roba e la donna degli altri" quando si possiedono palazzi e concubine (il quinto dice "non devi rubare"/e forse io l'ho rispettato/vuotando in silenzio le tasche gia' gonfie/di quelli che avevan rubato/ma io senza legge rubai in nome mio/quegli altri nel nome di Dio); oppure "non ammazzare" quando hai le mani sporche del sangue di innumerevoli crocifissioni. E ancora: se oggi fai il delatore sei un benemerito, mentre un tempo il peccato di Giuda era il peggiore (non dire falsa testimonianza/e aiutali a uccidere un uomo/lo sanno a memoria il diritto divino/e scordano sempre il perdono/ho spergiurato su Dio e sul mio onore/e non ne provo dolore)»… pensate all’omertoso pescatore che tace ai gendarmi la strada per inseguire un assassino! In questa maniera potremmo andare avanti analizzando l’opera omnia di De Andre', ma preferiamo lasciare incompleto questo lavoro di modo che il lettore interessato possa fare da solo altre (e tante) scoperte, dato che in questa sede sono stati presi in considerazione solo due capitoli del lavoro di Fabrizio De Andre'. Infine "Anime Salve", il suo ultimo disco, si chiude con "Smisurata preghiera": Alta sui naufragi dai belvedere delle torri china e distante sugli elementi del disastro dalle cose che accadono al disopra delle parole celebrative del nulla lungo un facile vento di sazieta' di impunita' Sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso a guidare la colonna di dolore e di fumo che lascia le infinite battaglie al calar della sera la maggioranza sta la maggioranza sta Recitando un rosario di ambizioni meschine di millenarie paure di inesauribili astuzie coltivando tranquilla l'orribile varieta' delle proprie superbie la maggioranza sta come una malattia come una sfortuna come un'anestesia come un'abitudine Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanita' di verita' Per chi ad Aqaba curo' la lebbra con uno scettro posticcio e semino' il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli con improbabili nomi di cantanti di tango in un vasto programma di eternita' Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare e' appena giusto che la fortuna li aiuti come una svista come un'anomalia come una distrazione come un dovere Ed e' questo che traspare dall’intero lavoro di De Andre': un profondissimo senso di umanita' che ha fatto di lui un grande poeta della canzone, cantore di umili e invisibili. In fondo, Fabrizio ha sempre avuto un profondo rispetto dell’uomo (di ogni uomo) e questo gli ha impedito di innescare bombe contro lo stato, perche' sarebbero morti anche degli innocenti, perche' madri avrebbero pianto. Ma Faber, secondo me, qualche bomba l’ ha messa comunque, con la sua poesia e la sua ironia, tanto lui lo sapeva che sara' una risata che li seppellira': la sua, la mia e la tua. http://www.inventati.org/collettivologomotiva/skunk/skunk_fabriziodeandre.html |