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Nick: nodoubt
Oggetto: Berlusconi ha più cultura
Data: 12/12/2004 1.35.36
Visite: 113

Berlusconi? Ha più cultura
di Biagio De Giovanni



L'insolita analisi di uno dei più raffinati pensatori della sinistra. Molti, tra gli sconfitti, arricceranno il naso, eppure è proprio così: il centro destra ha vinto perché ha saputo indicare al Paese un progetto politico-culturale mentre l'Ulivo annaspa nel pragmatismo

Quale interpretazione si deve dare del voto del 13 maggio? della «equilibrata» vittoria del centro-destra, equilibrata nel senso di equamente distribuita lungo l'intero territorio nazionale? Intanto, che la coalizione guidata da Berlusconi è riuscita a incontrare - e rappresentare - una volontà di cambiamento diffusa, uno stato d'animo che era penetrato nell'intero Paese, e ne ha insieme costituito e rappresentato il senso comune. Non il Nord contro il Sud, come pure si era immaginato; ma un Paese che, nel suo insieme, fa una scelta. Se non si parte da qui, si comprende poco di ciò che è accaduto. Una volta tanto, i sondaggi hanno visto giusto, e i risultati ne hanno rispettato, nell'insieme, la linea di tendenza, il che indica che da lungo tempo (elezioni europee, regionali, altri eventi legati alla battaglia sulla devolution etc.) si andava costituendo uno stato d'animo, una sorta di costante volontà collettiva che attendeva di potersi manifestare politicamente, e che sostanzialmente non è stata scossa da una campagna elettorale assai aspra. Insisto: intorno a una volontà di cambiamento, che sembrava indicare - come controfaccia - nell'insieme del centro-sinistra piuttosto una forza frenante che un blocco innovativo, piuttosto l'elemento residuale di una vecchia storia che il punto di inizio di una nuova. Ma su questo tornerò. La cosa non è di poco conto, e invita a prender molto sul serio ciò che è accaduto. Intorno a questo dato, vorrei metter l'una dietro l'altra alcune ossevazioni «a caldo» che intendono solo fissare qualche punto di riflessione ed eventualmente di discussione.

2. La prima impressione è che si tratti di un voto che avvii a stabilità, dopo circa dieci anni, la transizione italiana. L' ampiezza della maggioranza parlamentare raggiunta, invita a pensare in questa direzione; ma non si tratta solo di questo. Il carattere equilibrato del risultato - nel senso indicato all'inizio - non fa emergere contraddizioni di fondo nello stato d'animo del Paese, non mette in campo dal punto di vista della geografia politica due Italie, con tutte le conseguenze che una simile situazione avrebbe potuto indurre. Dunque, si può prevedere che ci sarà un solo governo per cinque anni, per la prima volta nella storia della Repubblica, certamente per la prima volta nella storia della «seconda» Repubblica. Ecco il primo grande elemento politico di stabilità. Se questa non difficile previsione è destinata ad avverarsi - legata anche alla scarsa influenza della Lega sul risultato - la tendenza alla stabilizzazione è il primo dato con cui le forze politiche dovranno misurarsi. Quelle di governo, perchè non avranno molti alibi sulla realizzazione del progetto politico intorno al quale hanno vinto, quelle di opposizione perchè dovranno creare ciò che non sono riusciti a fare in più di cinque anni di governo, un'unità politica e progettuale capace di spostare i rapporti di forza in una prospettiva futura. Si potrebbe aprire in Italia, finalmente, una normale dialettica dell'alternanza.

3. La seconda impressione riguarda il panorama politico che esce dal voto, le forze in campo, le ragioni più determinate di una vittoria. Qui premono molte riflessioni, che vorrei velocemente elencare, anche se ognuna meriterebbe attenta considerazione. Il centro-destra ha vinto, perchè ha saputo indicare un progetto politico-culturale al Paese, ecco il punto da non sottovalutare per chi vuole aprire un fronte di battaglia all'opposizione: questo significa interpretare lo stato d'animo di una società, e dargli unità politica. La cultura centra, anche se vedo molti, a sinistra, arricciare il naso. Ma è proprio così: il centro-destra ha saputo offrire una immagine del Paese e gli ha indicato una linea fatta di molte cose - certe volte anche opposte fra loro - ma unificate sia da una leadership fortissima sia da quella ispirazione populistico-liberale su cui tornerò, che è base di una nuova cultura, di un nuovo senso comune in formazione, intercettato-costruito dal centro-destra. Poco di tutto ciò sull'altro fronte; mi era già capitato di parlare, proprio sulle pagine di questa rivista, di una sorta di impressione «residuale» che offriva l'insieme delle forze raccolte nel centro-sinistra, una residualità che non riusciva a essere veramente modificata da quegli elementi di buon governo che pure esso era riuscito a offrire all'Italia. Questa lezione elettorale dovrebbe insegnare alle forze rappresentate dal centro-sinistra che la politica non può mai ridursi nè a puro governo nè - tanto meno - a pura e magari buona amministrazione, ma vince solo se mette in moto strategie e passioni, sentimenti e progetti, cultura e idee, se forma senso comune e blocco vero di interessi. Altrimenti, perde, muore. Curiosamente, la sinistra (il centro-sinistra) ha assunto un atteggiamento che era della destra, del vecchio centro, e viceversa. Sarà sufficiente la lezione del 13 maggio? Vedremo.

4. La terza impressione discende direttamente dal tema ora accennato. Forza Italia - soprattutto - ha vinto perchè nel frattempo ha costruito un partito. Curiosa vicenda, questa! Mentre a sinistra - e qui il riferimento è alla sinistra propriamente detta e al suo partito principale - si è creduto di interpretare in senso moderno la politica abolendo il partito, facendone un gruppo diviso in mille fazioni nemiche fra loro, immaginando partiti personali e partiti dei sindaci - quanto tempo si è sprecato su queste sciocchezze! -, rompendo la cerniera intellettuale che aveva fatto da mediazione con la società, chi poteva esser spinto proprio a costruire il partito-persona ha fatto l'operazione opposta, mettendo in relazione una situazione evidentemente carismatica con la costruzione anche organizzativa di una forza-partito fortemente piantata nella società. Non voglio esagerare, e comprendo bene i caratteri e anche i limiti di questa operazione, ma è la linea di tendenza che conta, ed è su quella che va ora messo l'accento. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la sinistra è in ginocchio, non solo al suo minimo storico elettorale, ma al suo minimo politico-culturale, al suo minimo progettuale, ormai quasi ai margini di una sopravvivenza politica. Un enorme lavoro -sulle idee, anzitutto: i fatti vengono sempre dopo! - la attende, a prova di scomparsa politica, giacchè in nessun libro della storia o del destino è scritto che una sinistra ci debba essere: e la situazione italiana è arrivata proprio a questo punto, e di essa si potrebbero capire le ragioni se si ripercorre la storia muovendo da lontano, anche se è discorso che qui può esser solo accennato, per memoria.

5. La quarta impressione riguarda la fisionomia acquistata da Forza Italia, nuovo partito centrale di governo. Che cosa è? Che cosa può diventare? Mi è già capitato di osservare che essa non sostituisce la vecchia Dc, il grande partito-Stato, dove c'era tutto e il suo contrario, dove le «correnti» erano vere aree culturali rappresentative di stati d'animo e interessi diffusi e organizzati nel Paese. Forza Italia è il contrario di questo; è un partito-parte, la cui forza (ed eventualmente la cui debolezza) deriva da quella sintesi di populismo e liberismo-liberalismo che finora è riuscita a far camminare nella società, nel suo senso comune, nelle sue alleanze: che altro è se non questo, la raggiunta intesa con la Lega? Se si volesse spingere il ragionamento appena più avanti, si potrebbe dire che essa è sintesi di moderatismo e «sovversivismo», intendendo con quest'ultimo termine proprio la sua capacità di mettere in tensione gli opposti - populismo - liberismo - secondo uno schema storico che appartiene a elementi di «ideologia italiana» presenti in movimenti politico-culturali di inizio Novecento. Ma il riferimento andrebbe specificato, a evitare equivoci: certo, Forza Italia, per la prima volta nella storia dell'Italia democratica, si avvia a costruire il partito della borghesia italiana, a cui la Dc, rispondendo a tutt'altra congiuntura storica, aveva rinunciato in punto di principio. E nel partito della borghesia italiana, il populismo è ingrediente essenziale, mai emerso con tanta evidenza in nessuna forza politica dell'Italia repubblicana. Vedremo soprattutto quale equilibrio di governo essa riuscirà a trovare tra le diverse spinte presenti in quel momento sintetico. Sarà importante seguire questo piccolo laboratorio storico-politico in formazione. Ne va anche del destino e della fisionomia del Paese.

6. La quinta e ultima impressione riguarda, dopo il voto, il problema del rapporto fra democrazia italiana ed Europa, un tema stringente di cui non tutti ancora percepiscono la centralità, e che sicuramente non sembra pienamente compreso da tutto il gruppo dirigente di Forza Italia. O per meglio dire, qui noto un elemento significativo, forse di contraddizione: da un lato, Berlusconi ha svolto negli ultimi anni un lavoro di straordinaria importanza nel Parlamento europeo e nel rapporto con il popolarismo europeo, che ha messo e mette spesso in difficoltà il centrismo post-democristiano schierato nel centro-sinistra (problema denso di sviluppi futuri), dall'altro l'azione sua e del suo partito sembra spesso ignorare o almeno sottovalutare vincoli e problemi che l'irreversibile partecipazione al processo europeo impone a classi dirigenti ormai relativamente «integrate» o almeno reciprocamente condizionantesi. Non voglio dire, con questo, che le forze politiche dei singoli Paesi non possano cercare di influenzare il percorso dell'Europa, ma sicuramente ne devono percepire la centralità e i dati irreversibili, pena una loro progressiva emarginazione da quella classe dirigente europea che si va formando sull'onda di un processo d'unificazione il quale diventa giorno dopo giorno più intensamente politico pur nella straordinaria problematicità della sua fisionomia. Lungi da me ogni elemento di retorica europeista, ma il punto sollevato non è affatto retorico: esso riguarda sia possibili tensioni programmatiche, sia - ancor più - modi di intendere forme della democrazia, modalità di rapporti fra politica ed economia, informazione e società, che nello «spazio europeo» - espressione del Trattato di Amsterdam - stanno prendendo una loro forma e fisionomia. Attenzione! Certi interventi della stampa estera nella campagna elettorale italiana non vanno criticati con il tradizionale criterio della «non-ingerenza», giacchè in essi c'è un altro messaggio: siamo tutti ormai «classe dirigente europea», tutti corresponsabili di fronte a questa nuova fisionomia del problema. Nuova, veramente nuova: ecco il punto gravido di sviluppi e che forse in Italia molti non hanno ancora percepito.



"Biagio De Giovanni insegna Storia delle dottrine politiche all'Università Federico II di Napoli."










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