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Oggetto: SULLA SOLIDARIETA'
Data: 17/12/2004 11.17.22
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La solidarietà: un sentimento sociale

La solidarietà come sentimento sociale sarà una delle rivoluzioni del terzo millennio, proprio come l’aver compreso che la giustizia deve essere un sentimento sociale che si esprime con la legge è stata un’importante conquista della fine del secondo millennio. Vediamo le analogie. Ognuno di noi ha insito in sé il concetto di giustizia e vorrebbe che la propria giustizia trionfasse: l’attuazione individuale del concetto di giustizia senza appellarsi alla legge (giustiziere) è però ormai condannata moralmente da tutti come un pratica incivile e violenta. Spesso in una comunità molte persone hanno lo stesso concetto di giustizia, tant’è vero che in molti casi concreti si è in grado di essere assolutamente concordi: la sostituzione del gruppo concorde alla legge dà origine al fenomeno del linciaggio (reale o morale, si pensi alla stampa che condanna una persona prima del processo). Sia nel primo caso sia nel secondo, nessuno può farsi giustizia da sé: ormai si è concordi che in un paese civile è la legge (per quanto imperfetta) che deve prendersi cura dell’attuazione della giustizia. Nel terzo millennio sarà così anche per la solidarietà. La solidarietà è un sentimento sociale che deve esprimersi con la socialità dello Stato. Vediamo il paradosso che sta alla base di questo concetto.

Il paradosso del mendicante - Un mendicante chiede l’elemosina all’angolo di una strada. È giusto dargli qualcosa? Se no, il pover’uomo morirà di fame, se sì, poiché tutti gli daranno qualcosa, diventerà ricchissimo, più ricco di chi gli ha fatto l’elemosina.

La soluzione del paradosso è semplicissima: deve essere la socialità dello Stato che si prende cura del mendicante. Il singolo individuo deve impiegare le proprie forze per fare in modo che le leggi e le strutture dello Stato si occupino del mendicante; dargli una moneta e lasciare tutto come prima equivale al comportamento dell’individuo che di fronte a un’ingiustizia, anziché darsi da fare per far cambiare la legge, si fa giustizia da solo: la civiltà non è sicuramente progredita. Chi si occupa di solidarietà senza far nulla perché le cose cambino è sostanzialmente un giustiziere sociale: si può comprendere, ma ha torto.

L’amore si dimostra con le azioni - Per la prima volta dopo molti anni, un medico torna a casa nel primo pomeriggio, abbandonando i pazienti, l’ospedale e tutto ciò che da sempre è stato la sua vita. Entrato nello splendido salotto, si siede sulla sua poltrona preferita e decide di fare il bilancio della sua esistenza, spinto dallo stesso irresistibile desiderio che l’aveva fatto fuggire dal lavoro. Una foto in un portaritratti d’argento gli ricorda subito il figlio morto per droga, un’altra immagine lo spinge a cercare qualcuno in casa, ma il silenzio lo disillude subito: la figlia anoressica sarà probabilmente dallo psicologo e la moglie (che certo non lo attendeva) è dall’amante, come tutti i mercoledì. Persino il cane non si sente, forse è in giardino: tanto, se ci fosse, lo ignorerebbe.

Il fallimento della vita di quest’uomo deriva dal fatto che ha preteso di avere una famiglia e di amare degli esseri umani senza concedere loro l’affetto che desideravano: una vita agiata, ma né tempo né attenzioni per i figli e per la moglie. In questo caso la diagnosi è facilissima, ma ricordatevi la regola: non parlate a sproposito di amore se non fate nulla o fate poco per chi dite di amare!

È impossibile amare tutto il mondo (la sindrome del missionario) - Ci sono persone che sono convinte di amare tutto il mondo (anche tipi come il nostro medico a volte ne sono convinti!); il consiglio precedente ci insegna che non hanno capito nulla. Confondono l’assenza d’odio con la presenza dell’amore. Non odiano nessuno e allora pensano di amare tutti. Purtroppo per loro, non fanno assolutamente nulla per la stragrande parte del mondo che dicono di amare, anzi spesso si impegnano meno di altri che più modestamente hanno ristretto il loro campo d’azione.

Un missionario che parte per terre lontane per aiutare chi soffre ha deciso di amare quei poveri; ovviamente non può continuare a sostenere che ama i suoi genitori e i suoi vecchi amici: per loro non fa più nulla e serbarne il ricordo nel cuore non è certo amore. Ha cambiato vita e può essere felice perché ama, ma ha fatto una scelta su chi e dove amare. Sostenere che le persone a lui care hanno meno bisogno di aiuti e di solidarietà dei poveri di cui ora si occupa equivale ad approvare il comportamento del nostro medico che per salvare vite umane passava ore e ore in ospedale mentre il figlio moriva di droga e tutta la sua famiglia si sfasciava.

Un missionario o chiunque si adoperi per gli altri non è più degno di rispetto di chi ha deciso di convogliare tutto il suo amore verso poche persone. Quello che conta è la quantità d’amore che noi diamo, non il numero di persone a cui la diamo. Anzi, spesso chi si prodiga per gli altri è proprio perché non ha trovato nulla da amare intorno a sé; si potrebbe parlare di solidarietà della disperazione.

Il volontariato - Questo articolo rischia di essere veramente impopolare fra tutti coloro che fanno volontariato. Ma diciamoci la verità: quante persone fanno volontariato perché nella vita non hanno niente da amare? L’impegno sociale ha cioè una sua ragione d’essere quando ha lo scopo di modificare la società per far progredire la qualità della vita dei più deboli; quando le energie sono invece spese in un aiuto senza futuro c’è da chiedersi se questa attività non sia il frutto della mancanza d’amore nella vita di chi fa dell’assistenza, proprio come il farsi giustizia da soli è il frutto della mancanza di pace e di serenità nell’animo del giustiziere. Chi fa volontariato deve cioè capire che deve agire all'interno di strutture che in qualche modo, oltre ad aiutare, promuovano idee e azioni che migliorano effettivamente la società. Questo concetto è ciò che distingue un volontariato serio e concreto da un volontariato della disperazione.

http://www.albanesi.it/Mente/solidarieta.htm



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