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Nick: Hightecno
Oggetto: eros & pathos (cap XXXVII)
Data: 10/1/2005 13.28.44
Visite: 39

Ci sono periodi dell'esistenza in cui l'oscurità del dolore sembra far smarrire la nostra stella polare nella fitta rete delle tenebre, momenti in cui la luce della speranza appare svilita e opaca, non più in grado di alimentare il desiderio della scoperta interiore e del rinnovamento personale. Sono i momenti in cui Eros sembra voltarci le spalle, e la dimensione del sentimento esserci estranea, i momenti in cui perdiamo l'amore e l’amato non è più al nostro fianco.

Non ci stiamo riferendo a quelle fasi dell’esistenza, anch’esse terribili e angoscianti, in cui la persona amata ci viene portata via da qualcuno, dai tradimenti, dalle bugie o dall’incomprensione, quanto piuttosto al terribile momento in cui la morte ci priva bruscamente del nostro partner. Almeno una volta nella vita tutti abbiamo fatto l’esperienza della morte di una persona cara. Sappiamo che questa è un’esperienza particolare perché l’altro non scompare del tutto, non svuota lo spazio della sua presenza, ma lo pervade ancora più intimamente: dal momento della sua scomparsa tutto ci parla di lui; l’assenza diventa così una modalità d’esperienza. In questo senso la morte di chi amiamo ci impone una profonda ristrutturazione del legame che ci unisce agli altri. Ciò che eravamo con l’Altro, ciò che pensavamo di fare e di costruire con lui, quelle parti di noi che solo attraverso l’Altro riconoscevamo, accettavamo e amavamo, si vanificano con lui, vengono letteralmente seppellite. Questo è uno dei dolori più intensi che si possano provare, perché attraverso la morte della persona amata sperimentiamo il senso della nostra stessa morte. Non dobbiamo dimenticare che non vi è nulla di più necessario e umano della relazione: abbiamo bisogno di un legame significativo con una persona realmente importante per noi. Al di là di tale relazionalità profonda non potremmo vivere se non «facendo finta» di vivere.

Passato il turbinio dei tristi rituali che sempre accompagnano la morte, ci ritroviamo - nell’intimità e nella solitudine - costretti a contattare il sentimento reale della perdita: lo smarrimento. Quando scompare la persona amata muta tutto l’orizzonte degli eventi: si è spaesati, cioè inseriti in un paesaggio di cui non si possiedono più le coordinate. Ciò accade perché si è stati lesi proprio in quell’intimo vissuto di attaccamento e consolidamento alla realtà dell’Altro. Occorrerebbe ora riflettere sul significato del tempo in relazione alla morte, ossia sulla durata di determinate emozioni. Abbiamo bisogno di credere che le nostre esperienze siano eterne, di delimitare uno spazio ben preciso, fantasticandolo come immune alla morte. L’incontro con il nostro limite evidenzia invece la nostra impotenza di fronte agli eventi, eventi che angosciano e spaventano proprio perché sconosciuti e incontrollabili.

Quando si viene toccati dall’esperienza della morte della persona amata è come se si restasse privi di respiro per un istante interminabile, fin quando la marea non recede lasciandoci come naufraghi a raccontare i segreti di un’esperienza sconvolgente. Quello che molto spesso ci si sente dire in situazioni così dolorose è di non disperare perché il tempo verrà a lenire le ferite. Attendiamo allora con ansia che giunga il momento dell’oblio, quasi ad augurarci che la presenza un tempo amata e il peso dell’assenza ad essa legata svaniscano nella nebbia dei ricordi ormai sbiaditi. In realtà, il tempo non lenisce, ma trasforma. Trasforma e rielabora fino a rendere comunicabile ciò che prima potevamo cogliere solo attraverso la partecipazione emotiva. Il sentimento non è cambiato, ma adesso «riusciamo a trovare le parole per dirlo» e questo sembra darci un po’ di consolazione.

Importante, tuttavia, è non dimenticare mai che non soltanto non è detto che il tempo riesca sempre a sanare certe ferite, che a volte possono rappresentare autentiche mutilazioni, ma soprattutto non è detto che sia sempre giusto porsi questo obiettivo. Se quella persona ci era così tanto «necessaria», se davvero ci manca, perché sperare che muoia anche nel nostro mondo interiore? Possiamo continuare ad amarla dentro di noi; e non sarà un sentimento sterile, perché continueremo a crescere con lei. È questo il vero fondamento dell’amore.




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