Nick: insize Oggetto: GIU' LE MANI DAI BENI PUBBLICI Data: 13/1/2005 10.2.48 Visite: 102
Tratto da "Salvatore Settis - Italia S.p.A." Talibani a Roma? «I talibani di Roma»: con questo titolo durissimo il piú importante quotidiano tedesco, la «Frankfurter Allgemeine Zeitung», ha informato i suoi lettori della recente legge italiana che rende possibile l'alienazione del patrimonio dello Stato, ivi compreso il patrimonio culturale. Il sottotitolo non è meno eloquente: «Saldi di fine stagione. L'Italia sta per svendere i propri beni culturali». Prosegue l'articolista (Ute Diehl): Pochi mesi fa, l'attuale ministro dei Beni culturali, Giuliano Urbani, ha provocato una sollevazione nel mondo dell'arte col suo piano di privatizzazione dei musei, da cui si ripromette cospicui introiti, date le enormi potenzialità dei tesori artistici d'Italia. Ora anche il ministro dell'Economia Tremonti ha riconosciuto queste potenzialità, e ha prodotto le nuove misure tese al veloce reperimento di entrate attraverso la vendita del patrimonio dello Stato, al fine di poter finanziare le infrastrutture promesse dal governo. Dopo aver riassunto fedelmente i termini della questione, citando le reazioni di Italia Nostra e del Fai (Fondo Ambiente Italiano), l'articolo conclude: Oggi l'eredità culturale dell'Italia è degradata a mero valore economico, a una risorsa di cui ci si può disfare a piacimento. Ma non c'è nulla che dia la misura dello stato di salute di una società quanto il rapporto che essa riesce ad avere coi propri monumenti e col proprio paesaggio. Con un quadro cosí nero, si capisce che Urbani e Tremonti vengano assimilati (peraltro riprendendo una dichiarazione di Giulia Maria Crespi, presidente del Fai) ai talibani, accaniti distruttori dei giganteschi Buddha di Bamyian (III-V secolo d.C.) e di buona parte del patrimonio culturale dell'Afghanistan. Ma è davvero cosí? Davvero una cieca barbarie si è impossessata dei nostri ministri, davvero Urbani e Tremonti sono «i talibani di Roma», determinati alla distruzione del nostro patrimonio culturale? A sentir loro, al contrario, i beni culturali non solo non corrono alcun rischio, ma anzi verranno tanto piú valorizzati quanto piú a occuparsene saranno i privati e non lo Stato. E quando a manifestare preoccupazioni per la nuova legge non è un cittadino qualsiasi, ma il Presidente Ciampi, a cui nessuno nega ampiezza di visione istituzionale, alta competenza economica e profonda sensibilità culturale, tutti, da Urbani a Tremonti a Berlusconi, ripetono in coro che con la nuova legge «nulla è mutato» rispetto al patrimonio culturale. Chi ha ragione? Non sarà forse che ogni scusa è buona per attaccare il governo in carica? Non avranno ragione Urbani e Tremonti quando dicono che i loro progetti di «passare la mano», nella gestione e perfino nella proprietà del patrimonio culturale, non sono nient'altro che la prosecuzione di indirizzi di governo inaugurati dal centro-sinistra? Insomma, chiediamocelo, chi protesta contro le recenti misure del governo Berlusconi in quest'ambito fa un discorso «di sinistra»? E chi attaccava misure, tutto sommato non tanto diverse, dei governi D'Alema e Amato, era forse «di destra»? Per quel che mi riguarda, e dunque per il discorso che sarà qui svolto, questa domanda è irrilevante. Sono convinto che quella in favore del nostro patrimonio culturale non è una battaglia di destra né di sinistra (almeno, non di questa destra né di questa sinistra): è una battaglia di civiltà. Con questo libro, cercherò di dimostrare coi dati e coi fatti che è in gioco qualcosa di molto piú importante delle scaramucce fra partiti. Cercherò di mostrare che quello che intendiamo (che ogni cittadino italiano intende) come «patrimonio culturale» è il fulcro della nostra identità nazionale e della nostra memoria storica, e dunque il massimo contributo che possiamo portare alla costruzione di identità sovranazionali come quella europea. Cercherò di argomentare che la nozione di «patrimonio culturale» corrente nell'Occidente del mondo (e in porzioni crescenti del resto del pianeta) deve moltissimo alla cultura della conservazione sviluppatasi negli antichi Stati preunitari e poi nell'Italia unita; che la nostra cultura della conservazione è stata, e in certa misura è ancora, la piú ricca e avanzata del mondo, e che essa implica una forte, marcata, prioritaria attenzione dello Stato verso il patrimonio culturale, inteso come proprietà di tutti i cittadini. Tenterò di evidenziare che il sistema di gestione e di tutela italiano, fino a pochi decenni fa all'avanguardia, è stato progressivamente delegittimato e smantellato a opera degli stessi ministri a cui era affidato, e che negli ultimi anni i governi, fossero di centro-sinistra o di centro-destra, si sono industriati ad allargare la presenza dei privati a scapito della pubblica amministrazione, fino a prefigurare la totale alienabilità del patrimonio culturale. Proverò a chiedermi quali meccanismi di mutamento culturale (o forse antropologico) hanno governato questo movimento, apparentemente inesorabile, che porta i nostri ministri dei Beni culturali a comportarsi come i peggiori nemici del patrimonio che dovrebbero amministrare. Si tratta, come spero risulterà evidente, di un profondo mutamento di cultura istituzionale e civile che ha coinvolto ministri «di destra» e «di sinistra», e in particolare gli ultimi tre (Veltroni, Melandri, Urbani), senza sostanziali soluzioni di continuità. Certo, il discorso è andato sempre piú radicalizzandosi, e Urbani (d'intesa con Tremonti) si è spinto molto piú in là di quanto avessero fatto i suoi predecessori. Ma avrebbe potuto farlo tanto facilmente, se i suoi predecessori non gli avessero ampiamente spianato la strada? In ogni caso, da storico, trovo questa continuità e questo sostanziale accordo fra destra e sinistra nello smantellare l'amministrazione dei beni culturali un fatto molto piú interessante da analizzare e da spiegare di quanto non possa esserlo ogni presa di partito per gli uni o per gli altri. Quello che si sta distruggendo, infatti, non è né il Colosseo né un castello valdostano, né il Parco degli Abruzzi né la piú piccola e splendida pieve toscana, ma un monumento ancor piú grande, ancor piú significativo (anche perché è la salvaguardia di tutti gli altri): la secolare cultura della conservazione messa a punto dagli Italiani per generazioni e generazioni, sul piano istituzionale e su quello della coscienza civile. Se è vero che la legge sull'alienabilità del patrimonio culturale e altre misure analoghe sono una specie di «bomba a orologeria», che eroderà piú o meno velocemente la nostra cultura della conservazione, e di conseguenza il nostro patrimonio, allora ha ragione la «Frankfurter Allgemeine»: i talibani, i distruttori della propria memoria storica, governano a Roma. Ma non sono solo Urbani e Tremonti: siamo tutti noi, se non riusciremo a provocare una riflessione istituzionale, un'inversione di tendenza. ..continua a: http://tecalibri.altervista.org/S/SETTIS-S_italia.htm In merito all'argomento, oltre alla nascita di numerose associazioni frutto della volontà di numerosi intellettuali di difendere il "nostro" patrimonio culturale, è nato anche un sito che si occupa della divulgazione "dei principi della tutela del patrimonio culturale" che è stata prerogativa della legislazione italiana fino e a poc'anzi. Ricordiamo che se in Italia si è stati così attenti al nostro patrimonio culturale è perchè si è avuta una legislazione, tra le più avanzate al mondo in tema di tutela; ecco perchè oggi ci possiamo ancora fregiare della presenza sul nostro territorio di migliaia e migliaia di monumenti appartenenti al "nostro" passato. http://www.patrimoniosos.it/ su questo sito si possono trovare numerose informazione e iniziative sull'opposizione alla Patrimonio S.p.A. che si occupa dell'alienazione di molti beni (mobili e immobili) appartenenti al nostro territorio. |