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Nick: Franti
Oggetto: Io lo Riposto
Data: 13/1/2005 14.35.45
Visite: 284

Premessa: Già postato ma lo rileggevo e ho deciso di ripostarlo. Papiello. Ma mi piace assai. Scusate l'immodestia.


Miriam non si sveglia mai a mezzanotte.
Anzi, Miriam non si svegliava mai a mezzanotte.
Perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia.
E Miriam non era Catherine Deneuve.
Ma molto più bella di Catherine Deneuve.
Per me e non solo.
E io non ero David Bowie.
Non avrei potuto esserlo mai.
E non c’era neppure l’ossessivo motivo "Bela Lugosi Is Dead" dei Bauhaus.
Troppo lugubre quella canzone.
Da sempre detestata da me.
Una fortuna che non ci fosse, insomma.
E così Miriam era Miriam, che non si svegliava mai a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia, ed era più bella di Catherine Deneuve.

Quando vidi Miriam per la prima volta, sinceramente, non avevo notato che fosse più bella di Catherine Deneuve.
E non immaginavo minimamente che a mezzanotte, quella Miriam, fosse ancora sveglia.
Erasera quando la vidi e non seppi spiegarmi se quella donna fosse davvero una bella donna, ma ad occhio e croce avrei detto di sì.
Altrimenti non l’avrei notata.
Sì, era una bella donna.
Più di Catherine Deneuve.
Era veramente bellissima.
Era da sola e sicuramente sapevo che Miriam non avesse un compagno.
Certamente non aveva un uomo che stava facendo il turno di notte, né era rimasto indietro a parcheggiare la macchina.
Certamente no.
Ne ero sicuro.
Perché non lo so.
Ma era così come io pensavo.
Miriam era da sola e non aveva un compagno.

Miriam quella sera era avvolta nel suo piumino a tre quarti, color del cielo del mattino precedente.
Veramente brutto quel piumino, colore a parte.
Brutto e fuori moda.
Specie se ad indossarlo era una ragazza.
Così bella, poi.
Le dava l’aspetto di una bosniaca, arrivata in Italia durante la guerra balcanica.
Immaginavo che mi si avvicinasse, e dopo dieci minuti di chiacchiere inutili mi raccontasse:

"All’inizio non riuscivo a crederci. Mi alzavo la mattina e andavo alla finestra, sperando di scoprire che fosse tutto solo un incubo, poi vedevo i buchi fatti dalle granate nel palazzo di fronte. Dopo un po’ di tempo non avevo più bisogno di guardare fuori per convincermi della situazione. Poi cominciò a mancare quasi tutto, compresa l’acqua."

Parole dette così, in maniera quasi aulica, così come si scrivono su un foglio.

E così, insieme alle parole di Miriam, io immaignavo Sarajevo, anche da ciò che avevo letto o saputo circa Sarajevo.
Una città ove il reddito medio era di duecento marchi al mese, dove l’attività economica era ridotta ai minimi termini, dove si vedevano le figlie dei boss passeggiare con una tigre al guinzaglio.

Una città che aveva perduto un terzo della popolazione e la quasi totalità della memoria culturale.

Una città ove se andavi in giro la sera, ti chiedevano i documenti almeno due volte, dove una bottiglia di birra costava un marco ma la cauzione per il vuoto era di due marchi, dove c’era un’infinità di caffè con tavolini, nei quali si beveva esclusivamente caffè, appunto, e già un cappuccino era un problema, dove la luce saltava un paio di volte a sera, dove l’acqua scarseggiava ancora, dove le salviette di carta si centellinavano.

Una città dove lo straniero arrivava e si dava per scontato che fosse venuto a far quattrini con qualche traffico pseudoumanitario o a godersi un safari di emozioni forti.

"Come tutti quelli che vanno lì. Si prendono i nostri sentimenti, e non danno niente…".

Ecco.
Immaginavo Miriam come bosniaca arrivata in Italia che mi diceva questa frase:

"Come tutti quelli che vanno lì. Si prendono i nostri sentimenti, e non danno niente…".

E immaginavo queste sue parole che raccontavano altre storie semplici, o almeno rese tali dal suo tono pacato che io immaginavo.

E la immaginavo seduta in un tavolino di un bar di Sarajevo, a sorseggiare una rakja, la grappa di prugne di Sarajevo, e poi alzarsi e chiedermi se era possibile vedere "Titanic" con le didascalie in bosniaco, per vedere che effetto faceva.

In quel periodo ero ossessionato da tutto ciò che riguardasse la Guerra nei Balcani.
Era come se mi riguardasse direttamente quella Guerra.
Ero informatissimo su quella Guerra.
E su tutto ciò che riguardava Sarajevo.
Non so perché.

Ma Miriam non era bosniaca.
Era italiana.
Me ne resi conto poco dopo.
Io l’avevo vista come una bosniaca fuggita per l’Italia.
Ecco.
Avevo visto Miriam come una bosniaca fuggita per l’Italia solo per via dei suoi capelli biondi e per il suo piumino a tre quarti, color del cielo del mattino precedente.
Che era bruttissimo, tranne che per il colore, e fuori moda.
Avevo visto Miriam come una bosniaca fuggita per l’Italia, così come un occidentale vede una ragazza bosniaca fuggita per l’Italia, per via di un piumino brutto e demodé e altri sciocchi particolari legati al suo abbigliamento e al suo aspetto esteriore.
E me ne vergognai.
Quando scoprii che era italiana.

Io ero lì perché avevo finito il pane.
Avevo finito le sigarette.
Avevo finito le pile del telecomando.
Avevo, insomma, un paio e forse più di buone ragioni per uscire e per trovarmi là dove vidi Miriam.
Ma non c’era nessuno in giro.
Il tabaccaio era chiuso.
La salumeria era chiusa.
Il minimarket era chiuso.
E quindi niente sigarette.
Niente pile del telecomando.
Niente pane.
Però c’era Miriam.

Fissai Miriam con insistenza, senza toglierle gli occhi di dosso.
Lei mi guardò con la stessa aria annoiata con cui guardava gli altri uomini passare.
Poi fece scorrere lo sguardo altrove.

Ora o mai più, pensai.
Decisi di non tergiversare con lo sguardo e mi avvicinai a lei e cercai di farla parlare con la più classica delle domande del cazzo.
Le chiesi:

"Scusa, ho finito le sigarette, non è che me ne offriresti una?"

E lei:

"No, mi dispiace, non ne ho"

E io:

"Va bene, grazie uguale. Avresti mica un po’ di pane da prestarmi per cena che l’ho finito e non trovo una salumeria aperta? Pure il minimarket è chiuso, cazzarola".

Lei mi guardò stranita.

Io incalzai:

"Va bene, niente sigarette e niente pane. Non è che avresti un paio di pile per il telecomando così stasera vedo un po’ di televisione?".

Miriam sorrise.
Poi rise.
Anche io.
Prima sorrisi.
Non mi venne da ridere.
Sorridevo soltanto.
Uno a zero per me.
Avevo fatto il simpatico e m’era venuto abbastanza bene.
Insomma ero risultato simpatico.
E anche un po’ coglione.
Almeno credo.

Così le chiesi il suo nome e lei mi disse che si chiamava Miriam.
Io le dissi che mi chiamavo Piero e che mi ricordava Miriam la Vampira del film "Miriam si sveglia a Mezzanotte" con Catherine Deneuve e David Bowie con la colonna sonora dei Bauhaus e lei mi rispose che lei, la Miriam in carne ed ossa, quella delle scuse sulle sigarette, sul pane e sulle pile del telecomando, insomma, non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte lei, normalmente, era ancora sveglia.
Io annuiii e dissi soltanto:

"Vabbè ho detto una stronzata, me ne rendo conto, scusami. Io non sembra ma sono timido e reagisco così, da cazzone. E poi tu sei molto più bella di Catherine Deneuve".

Lei sorrise chiudendo quasi totalmente gli occhi.
Stavo svenendo.
Mi squagliai al cospetto di quegli occhi socchiusi.
Dieci a uno per Miriam.
Per un solo battito di palpebre.

Miriam era una studente fuorisede.
Era di Cosenza e studiava Ingegneria a Napoli, ove viveva, in un appartamento decadente, a Fuorigrotta, insieme ad altre due studentesse.
Era una Calabrese bionda.
E dagli occhi piccoli piccoli.
Bellissima.
Aveva venticinque anni.
Io uno o quasi due in più.
Ed ero a Napoli non perché ero uno studente fuorisede, così come Miriam.
Anche perché m’ero laureato tempo prima.
Ero a Napoli per lavoro.
Lavoravo a Napoli, insomma.

Lei, Miriam, single.
Lei, Miriam, senza un fidanzato, un compagno o una storia in corso.
Io fidanzatissimo con Anna da anni ormai.
Anna che era arrivata che era bellissima quanto Miriam ma era andata via e poi ritornata dopo con un bagaglio di rimbrotti, smagliature e perfino crisi isteriche.
Eppure prima di allora l’idea di tradire Anna con un’altra che si chiamava Miriam che non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia, non m’aveva neanche sfiorato.
E quella sera sì.
Mi sfiorò.
Anzi mi tocco.
L’idea di tradire Anna con lei che si chiamava Miriam, che non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia.

Con Miriam quella sera non ci andai a letto.
Bevemmo qualcosa insieme, parlammo per un’oretta, ci salutammo e stop.
Ma Miriam mi invitò a cena a casa sua, per la sera successiva.
Dieci a due per Miriam.
Avevo conquistato un altro punticino.
Le dissi:

"Sì, va bene, sei gentile ad invitarmi. Cosa porto e a che ora passo da te?".

Miriam rispose:

"Porta del Gin e della una bottiglia di Lemonsoda. A che ora? Facciamo Mezzanotte?".

Io risposi, con un’ironia che non c’entrava un cazzo:

"Mezzanotte? Ma ti svegli a quell’ora?".

Lei sorrise e disse:

"Certo che a fare il simpatico ci riesci una volta sì e due no, eh. Ti ho detto che a mezzanotte non mi sveglio perché a mezzanotte normalmente sono ancora sveglia".

Io sorrisi, le dissi, va bene scusa, e la risalutai.

La sera successiva andai a casa di Miriam.
A mezzanotte meno un quarto.
Sono un tipo preciso e pignolo, tengo alla puntualità e se ho un appuntamento cerco di arrivare sempre in anticipo.
E così arrivai a casa di Miriam a mezzanotte meno un quarto.

Cenammo.
Cucinò lei.
Bucatini all’amatriciana.
Senza pecorino però.
Ero e sono allergico ai latticini.
In verità non ero e non sono allergico ai latticini, ma mi fanno solo schifo.
I latticini.
Anche l’odore dei latticini mi fa schifo.
Mi fa schifo il latte.
Mi fa schifo anche la panna sulle torte.
Ma mi scoccio di spiegare come e perché mi fanno schifo i latticini e cerco di tagliare corto dicendo che sono allergico ai latticini.

Lei cucinava bucatini all’amatriciana e io ero intento a preparare Gin Lemon in bicchieri di plastica di colore rosso.
Mangiavamo e bevevamo.
Mangiavamo bucatini all’amatriciana e bevevamo Gin Lemon.
Un vero schifo d’abbinamento culinario, me ne rendo conto adesso.
Allora no.
Nel senso che allora non me ne rendevo conto.
Che era uno schifo mangiare bucatini all’amatriciana e bere Gin Lemon.
Da vomito.
Ma allora io non vomitai.
E neppure Miriam vomitò.

Dopo un’ora finimmo sul letto, distesi e ciucchi.
Miriam accese la televisione e dallo schermo spuntò il faccione di Red Ronnie in un suo programma.
Era una replica.
Caratteristica primaria del programma era l’imbarazzo: quello degli ospiti, sottoposti ad interviste stronze ed indotti a comportamenti altrettanto stronzi, tipo discutere di sesso con dei preti.
Volavano domande a bruciapelo, stonzissime, del tipo:

"Ma tu lo usi il preservativo?".

Come se il povero ospite potesse mai rispondergli:

"Siamo in TV, che cazzo vuoi che ti dica? Peccato che non lo usassero i tuoi genitori. E tu, coglione, lo usi?".

In quel momento capii che era passato un sacco di tempo e che ero diventato grande per davvero.
Quello schifo di programma aveva colonizzato la notte.
Arrivava dritto quasi fino all’alba, laddove, fino a pochi anni prima, c’erano soltanto certe repliche di partite di calcio dei Campionati Mondiali, Alfredino Rampi che moriva lentamente nel pozzo artesiano e i film porno delle emittenti private.

Miriam spense la televisione, aprì un cassetto di un comodino vecchissimo e malandatoe tirò fuori un grammino di coca e mi chiese, con un accento calabrese fatto di vocali aperte:

"Ti va? Dai, l’ho presa appositamente per questa sera’".

Io avevo tirato della coca solo due volte prima di allora.
Una volta a diciotto anni e una seconda volta poi che di anni ne avevo ventuno.
E, seppure m’era piaciuta l’effetto della coca, sia la prima che la seconda volta, ero tentato a dire di no perché avevo paura di sentirmi male, visto che ero quasi completamente ciucco.
Ma dissi:

"Sì, va bene, figurati".

In verità mi venne una specie di paranoia.
Nel senso che fondamentalmente ero e sono un ipocondriaco.
E avevo paura di pippare coca, soprattutto perché avevo bevuto tanto.
E anche perché l’avevo fatto solo due volte in vita mia.
E avevo paura di ripetere l’esperienza in quel contesto, in quell’occasione.
Ma ormai avevo detto "Sì, va bene, figurati".

Miriam tagliò la coca e la divise in piccole strisce, poggiandola su uno specchietto.
Faceva molto "Scarface" quella scena.
Tirò prima lei.
Poi io.
Boom.
Bellissimo.
Intingemmo l’indice sulla pochissima polvere rimasta.
Prima Miriam.
Poi io.
E passammo l’indice intinto di coca sulle gengive.
Prima Miriam.
Poi Io.

Miriam fece finta di nulla e iniziò a parlare.
Parlava, parlava, parlava.
E parlava, parlava, parlava.
Non so neppure di cosa parlasse.
Io ascoltavo solo.
Anzi, facevo finta di ascoltare.
Ma, dopo un po’ Gin tonic in bicchieri di carta di colore rosso, parole che sembravano troppe e gengive ghiacciate mi avevano stufato.
Mi avvicinai a Miriam e la baciai in bocca, con la lingua.
Miriam si avvinghio a me e io cominciai a tastarle le tette prima, e l’interno delle cosce.
Le spostai le mutande e tastai la sua figa.
Non le sfiorai il clitoride, come spesso facevo e faccio, ma le infilai due dita dentro la figa, delicatamente.
Non so perché, ma in quel momento, volevo accertarmi che Miriam non fosse vergine.
Sarà stata colpa del Gin Lemon.
O della coca.
O forse dei bucatini all’amatriciana che mi si erano fermati sul piloro.
Non lo so.
Ma lo feci.
Le infilai due dita nella figa.
Delicatamente.
E non era vergine.
Lei mi spostò, si sfilò le mutande, si alzò la gonna e io le salii sopra.
Scopammo.
Ma quella scopata non durò più di una canzone dei Ramones.
La più famosa canzone dei Ramones è "Blitzkrieg Bop" e dura, compresa di "One, Two, Three, Four" al massimo due minuti e trentacinque secondi.

"One, Two, Thre, Four!!!!
Hey Ho! Lets Go!
Hey Ho! Lets Go!
You're fallin' in a straight line.
You're going through a tight wind.
The kids are losing their minds.
The Blitzkrieg Bop!
We're piling in the back seat.
We're generating steam heat.
Pulsing to the backbeat.
Blitzkrieg Bop!
Hey ho, lets go.
Shoot'em in the back now.
What they want, I don't know.
They're all reved up and ready to go.
They're forming in a straight line.
They're going through a tight wind.
The kids are losing their minds.
The Blitzkrieg Bop!
One, Two, Three, Four!!!"

Ecco.
Questa è "Blietzkrieg Bop" dei Ramones.
Due minuti e trentacinque secondi di Rock’n’Roll Punk forsennato e giocoso.
E quella trombata era durata quanto i due minuti e trentacinque secondi di "Blitzkrieg Bop" dei Ramones, compresa di "One, Two, Three, Four".
Anche meno.
Arrivai in due minuti e dodici secondi al massimo.
E le arrivai dentro.
Dissi:

"Cazzo, scusa sono arrivato. Scusami, sarà stata la coca o l’alcool, non so. Scusa. Oh, ma sono arrivato dentro di te…".

Miriam, con la faccia rilassata mi rispose:

"Tranquillo, uso la pillola..E non ti preoccupare se sei arrivato, dai…C’è tempo"

Avevo tradito Anna.
Per la prima volta.
Anna che era arrivata che era bellissima quanto Miriam ma era andata via e poi ritornata dopo con un bagaglio di rimbrotti, smagliature e perfino crisi isteriche.
Eppure prima di allora l’idea di tradire Anna con un’altra che si chiamava Miriam che non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia, non m’aveva neanche sfiorato.
E quella sera sì.
Mi sfiorò.
Anzi mi tocco.
L’idea di tradire Anna con lei che si chiamava Miriam, che non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia.
Già.
Avevo tradito Anna con lei che si chiamava Miriam, che non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia.
Anna, che dopo un anno mi avrebbe mollato per sempre, non seppe mai di Miriam che non si svegliava a mezzanotte, perché a mezzanotte Miriam normalmente era ancora sveglia.

Il pensiero di Anna mi colpì per qualche secondo.
Poi andò via.
Sparì.

Colpito nel mio orgoglio di maschio mi spostai, dissi "Scusa Miriam, vado in bagno", mi alzai dal letto, e con il cazzo penzolante e mezzo ubriaco ed umiliato per la mia sborrata veloce, me ne andai in bagno e feci una doccia.
Indossai un’accapatoio rosso.
Non era di Miriam, ma di una sua amica coinquilina.
Me lo confermò Miriam, quando ritornai in stanza con quell’accappatoio addosso e una sigaretta tra le labbra.
Trovai Miriam nuda, distesa, sul letto.
Senza lenzuola addosso, chiaramente.
Cominciai quasi a tremare, sorrisi come uno stupido, balbettai qualcosa senza togliermi la sigaretta di bocca e rimasi con lo sguardo fisso sul suo fisico.
Bellissimo.
Aveva un odore acre e sensuale.
Miriam non usava profumi o deodoranti per nascondere la sua essenza naturale.
Mi guardò come mi guardava Anna qualche anno prima e poi come una puttana.
Si alzò dal letto, mi si avvicinò e slacciò l’accappatoio.
Prese il cazzo e comincio a masturbarlo e poi lo ingoiò.
La spostai dopo un po’ e ci sdraiammo sul letto.
La baciai dappertutto.
Lei spinse la mia testa tra le sue gambe.
Miriam non parlava.
Io neppure, intento a baciare e leccare.
Tutt’e due in silenzio.
Neppure un gemito.

Le persone con cui si riesce a stare in silenzio, sono poche.
Stare insieme non vuol dire, spesso, parlare.
In certi casi le parole non servono.
Sono superflue.
Anzi, sono dannose.
In quella circostanza, come quella in cui mi trovavo allora io con Miriam, le parole diventano panico, imbarazzo e i vuoti sono momenti da riempire.
Stare in silenzio invece è pienezza, condividere l’essenziale.

Le misi dopo un po’ il cazzo nella figa ed entrambi ci muovevamo.
Sempre in silenzio.
Si sentivano soltanto gli schiocchi della sua figa bagnata che si apriva e si chiudeva, lo scricchiolio delle ossa, la pelle che sfregava contro la pelle o contro la stoffa delle lenzuola.
E i baci in bocca.
I baci si sentivano.
E io la baciavo continuamente.
E lei baciava me.
In bocca.
Quell’amplesso bellissimo non durò quanto i due minuti e trentacinque secondi di "Blitzkrieg Bop" dei Ramones, compresa di "One, Two, Three, Four".
Quell’amplesso bellissimo durò quanto "Child In Time" dei Deep Purple, nella sua versione live, che dura tantissimi minuti.
Le arrivai di nuovo dentro.

Fumammo una sigaretta.

Ci accarezzammo per un po’, poi ci alzammo e andammo in cucina.
Lei preparò un caffè.
Bevemmo il caffè e fumammo un’altra sigaretta.
Prendendoci in giro e ridendo.

Ritornammo sul letto e cominciammo con la terza scopata.
Io cominciai a penetrare Miriam senza baciarla, così come avevo fatto prima, cambiando spesso posizione, illudendomi di essere originale, un grande amante.
Miriam non diceva nulla.
Mugolava e si muoveva.
Alla fine estrassi il cazzo, mi sollevai un poco e le arrivai sui capezzoli.

Poi ci addormentammo.
O meglio, lei si addormentò verso le quattro.
Io no.
Ero sveglio.
E lucido.
Pensavo al mattino dopo e non riuscivo a farmi un’idea su quello che era successo.
Volevo soltanto continuare ad ascoltare, in sottofondo, "Child In Time" dei Deep Purple, nella sua versione live, che dura tantissimi minuti.

"Sweet child in time you'll see the line
The line that's drawn between the good and the bad
See the blind man shooting at the world
Bullets flying taking toll
If you've been bad, Lord I bet you have
And you've been hit by flying lead
You'd better close your eyes and bow your head
And wait for the ricochet".

Con Miriam ci frequentammo per tre mesi.
Con Miriam ci coccolavamo per tre mesi.
Con Miriam facemmo all’amore per tre mesi.
Con Miriam cenai, quasi tutte le sere, verso mezzanotte, per tre mesi.
Come due persone che si amano.
Anna sparì per tre mesi.

Una sera, dopo tre mesi di frequentazione, coccole, scopate, cene, confidenze, appunto, verso le undici ero a casa di Miriam.
Nella sua camera.
Dopo averla baciata, Miriam mi guardò e mi parlò.
Mi disse:

"Ti aspettavo da tanto. Sapevo che una notte saresti entrato qui. Ero sconvolta per l’abbandono da parte del mio uomo e disperata per questo. Ora lui è tornato. Non so se lo amo, sono sincera, ma sento che devo andare da lui che è tornato. Ho sbagliato a cercarti, forse, Piero.

Continuò poi con tono sommesso, alzando le spalle:

"Ho tentato di sostituirlo. Ci ho creduto,. Ho creduto di essermi innamorata di te. Ho fallito. Sono stata disonesta forse, anzi sicuramente. Ho fallito. Ma mi hai dato tanto. E ti ho dato tanto. Credimi. Una cosa che tu non capirai mai, forse.".

Poi aggiunse, piangendo:

"Scusa Piero, io sono esausta. Provo a dormire. Se vuoi dormire qua puoi poggiarti sul letto, vicino a me".

Mi bacio sulla guancia e si sdraiò.

Il colloquio era terminato.
Io le accarezzai il dorso della mano, quasi a mo’ di scusa per non so cosa.
Nel senso che non sapevo per quale motivo dovevo scusarmi.
Ma l’accarezzai ugualmente.
Sapevo che era stata sincera, anche se quele parole m’aveva fatto male.

Quella sera Miriam si addormentò alle ventitré e cinquantacinque.
Cinque minuti prima della mezzanotte.
Miriam si era addormentata a mezzanotte.

Io rimasi seduto, con i gomiti puntati sulla scrivania e le mani appoggiate al volto.
Non pensavo a niente.

Volevo accendere lo stereo e ascoltare "Child In Time" dei Deep Purple, nella sua versione live, che dura tantissimi minuti.

Avevo capito che io e Miriam non avevamo più argomenti di cui discutere.
Il nostro universo era finito lì.
Con "Child In Time" dei Deep Purple, nella sua versione live, che dura tantissimi minuti.
Non ero molto allegro, ma non avevo bisogno di felicità in quel momento.

Non so se Miriam m’avesse mai amato.
Io sì.
Avevo amato Miriam.
O almeno m’ero illuso di amare Miriam.
Ma Miriam non lo sapevo e non lo so.
Mi sa che a Miriam non interessava l’Amore o il Disamore.
O meglio, forse non ci credeva.
All’Amore e al Disamore.
Forse, eh.
Ogni cosa ha due facce. Ogni medaglia.
Non è possibile separarle.
Potrà sembrare un’ovvietà, ma non lo è.
Non lo è se si pensa alle conseguenze finali che questo comporta.

Fatto sta, però, che Miriam, pur se sincera e leale, era stata capace di succhiarmi via tutto.
Sangue, anima e cuore.
Anche solo per tre mesi, Miriam m’aveva succhiato tutto.
Tutto, tutto, tutto.
M’aveva prosciugato.
Così come un vampiro succhia il sangue alla propria vittima, prosciugandola.
Come Catherine Deneuve in "Miriam si sveglia a mezzanotte".
Ma Miriam rimaneva più bella di Catherine Deneuve.

Mezzanotte era passata da un po’ e io andai via.
Sarà stata l’una di notte.
L’avevo osservata Miriam, mentre dormiva.
Miriam si era addormentata a mezzanotte.
O meglio, alle ventitre e cinquantacinque minuti.
Quasi mezzanotte.

Da quella notte non frequentai più Miriam.
L’ho vista spesso, però
E ci siamo anche salutati spesso.
Solo che non l’ho mai più incontrata da sola.
E mai più a mezzanotte.

Con Miriam devo ammettere di essere stato felice.
Cherchez la femme, dicono.
Io l’avevo cercata ed ero stato fortunato a trovarla.
Anche se avevo scoperto che era una vampira, Miriam rimaneva più bella di Catherine Deneuve.
E che Miriam, più bella di Catherine Deneuve , non si svegliava mai a mezzanotte.
Perché a mezzanotte Miriam normalmente continuava a stare sveglia.

Ah, dimenticavo.
Tra me e David Bowie passa la stessa differenza che c’è tra un ciuco e Ribot.
"Bela Lugosi Is Dead" dei Bauhaus qualche volta l'ascolto.
Pure se la detesto, con quel motivo ossessivo.


Vittorio Emanuele



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