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Oggetto: SPINELLI COMPRACI DAL BOSCO
Data: 25/1/2005 12.10.25
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Il pugno amaranto che ha steso il Milan

(da Il Manifesto) - Festa grande a Livorno per la vittoria sui campioni d'Italia. L'ironia degli striscioni, i cori contro il Cavaliere, un successo dedicato agli operai della città. E un nuovo eroe della pedata che ha giocato anche in Russia: Dario Passoni



TOMMASO TINTORI
LIVORNO - Livorno, il suo scudetto, l'ha già vinto. Ha battuto il Milan nel suo fortino umiliandolo sul piano tattico, della grinta e pure delle occasioni da rete. E ha fatto il secondo favore alla Juventus in meno di una settimana: prima la marchetta sul caso-Mutu, tesserato da Spinelli in attesa che Moggi si liberi di almeno un giocatore extracomunitario; poi aiutando i bianconeri a spiccare la prima vera fuga di questo torneo. Chi si aspettava dai livornesi coreografie in grande stile è rimasto deluso. Del resto il livornese non è mai stato troppo avvezzo alle coreografie preorganizzate. Ha altre peculiarità quali la fantasia, l'ironia tagliente e il senso dell'umorismo. Oltre ad un'innumerevole serie di striscioni raffiguranti treppiedi dalle forme più varie e improbabili, gli oscar della simpatia vanno a uno «Spinelli compraci Dal Bosco», «Curva `dé' berlusconizzata», «Silvio porgici l'altra guancia», «Un impegno concreto: più treppiedi per tutti», «Siamo tutti fotografi» e un fine «Terrore, miseria, morte... olé!» che ha parafrasato una recente dichiarazione di Berlusconi sul comunismo. Nella gara dei decibel, l'ormai storico «Mille euro di multa perché no? Berlusconi pezzo di merda!» (che resta pur sempre una hit dell'Armando Picchi), ieri è stato superato da una cantilena assordante al grido di «Silviooo... merdaaa...» durata quattordici minuti che ha finito per coinvolgere tutto lo stadio. Ma mai un coro contro il Milan. «Ce l'abbiamo con i due pelati - spiegava ieri un capo-ultrà - non con i tifosi rossoneri». I livornesi hanno praticamente ignorato la presenza di Galliani in tribuna, tanto che lo stesso presidente milanista ha affermato di aver trovato proprio a Livorno la tribuna più civile dall'inizio del torneo. Una doppia sconfitta per lui, che già due settimane fa aveva provato a gettare benzina sul fuoco, sbandierando ai media di essere preoccupato per come sarebbe stato accolto. Un bravo collega ha detto che la maggiore soddisfazione dei più deboli sta nell'osservare la sofferenza dei potenti. Una massima che domenica si è materializzata al 90', quando centinaia di sorrisetti maliziosi hanno incrociato il volto triste di Galliani. Un trionfo nel trionfo, e come in tutte le imprese che si rispettino si è reso omaggio agli eroi. Ma dato che a Livorno lo stadio, la curva Nord e i giocatori, sono un tutt'uno, l'omaggio è stato reciproco: la curva ha inneggiato alla squadra alzando al vento le bandiere (quelle rosse ormai sovrastano numericamente quelle amaranto) e i vari Lucarelli 1, Lucarelli 2, Protti, Doga, Balleri, Grauso ecc. sono andati a festeggiare proprio sotto la curva (alcuni a pugno chiuso, con i Che tatuati in bella vista). A Livorno questa partita sarà ricordata come la partita. Anzi, il capolavoro. Annichilire il Milan, visto come il simbolo dei potenti e dei padroni, inorgoglisce un'intera città alle prese con non pochi problemi, primo fra tutti quello occupazionale. E' in casi come questi che i confini dello sport non sono più sufficienti a racchiudere un evento. «E' un segnaccio», sostiene qualcuno a Livorno. Verissimo, ma è così. Alla curva Nord hanno bussato (per poi essere accolti a braccia aperte) prima i marsigliesi, poi gli ateniesi dell'Aek. Tifoserie storiche di squadre ben più blasonate di quella amaranto. Livorno, con la sua rossa curva che più rossa non si può, sta alimentando un mito internazionale e della sua stessa miticizzazione si nutre e si compiace. «Livorno Stalingrado d'Italia», c'è scritto su un muro in città. In parte è vero, in parte no, fatto sta che per vedere Lucarelli e compagni, ormai, vengono da tutta Italia e non solo. Compagni, ultrà, semplici sportivi che in questa maglia, in chi la indossa e in chi la sostiene, sentono di avere trovato un valore, una dimensione umana, un modo diverso di vivere il calcio. Stiamo comunque parlando di un pallone che rotola in un sistema miliardario e malato, ci mancherebbe altro, ma il fenomeno-Livorno esiste eccome.

Della curva e dei tifosi si è già detto molto, dei calciatori amaranto, invece, no. Oltre alla storia tutta rossa-amaranto dei fratelli Lucarelli, di Balleri, Protti e Doga, ne esistono tante altre. Quella di Vargas, eccezionale difensore volutamente sottostimato dai media per avere respinto i servigi della Gea, quella del redivivo Galante, considerato da tutti ormai più un acchiappaveline che un giocatore di calcio, quella di Dario Passoni, costretto ad emigrare nella Russia più profonda per trovare un ingaggio (lauto) che in patria non gli garantiva più nessuno. Poi il ritorno in Italia nel gennaio dello scorso anno, al Livorno appunto, giusto in tempo per regalare all'ex-allenatore amaranto Mazzarri quel qualcosa in più che ha poi ha garantito la promozione. «Al Chievo avevo fatto molto bene - commenta lo stesso Passoni - ma nell'ultimo anno ho avuto la sfortuna di avere davanti due mostri sacri quali Corini e Perrotta. E sono finito nel dimenticatoio. Dall'Italia non ricevevo offerte mentre l'Uralan mi ha lusingato con un ingaggio che non si poteva rifiutare. Il vero segreto di questa squadra? Lo spogliatoio - risponde senza esitazioni - un gruppo granitico, compatto. Battendo il Milan abbiamo scritto una pagina di storia sportiva». Se Passoni glissa sulle questioni politiche, il presidente Spinelli le affronta in punta di fioretto: «Per il popolo livornese, vincere col Milan è stata la più grande soddisfazione forse della storia di Livorno calcistica. Mi immagino quegli operai che sudano una settimana e poi provano gioie come questa». Che sia diventato più comunista Spinelli di Cossutta?




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