Nick: °Nessun0° Oggetto: Nessuno Data: 30/1/2005 18.35.54 Visite: 129
nome: Ulisse ma per i nemici NESSUNO eta': indefinita Citta'.: ITACA Descrizione: Itaca, mia terra, un giorno tornerò e ti riabbraccerò... Voci blande io drizzavagli: "Il mio nome Ciclope, vuoi? L'avrai: ma non frodarmi Tu del promesso a me dono ospitale. Nessuno è il nome; me la madre e il padre Chiaman Nessuno, e tutti gli altri amici". Ed ei con fiero cor: "L'ultimo ch'io Divorerò, sarà Nessuno. Questo Riceverai da me dono ospitale". Disse, diè indietro, e rovescion cascò. Giacea nell'antro con la gran cervice Ripiegata su l'omero: e dal sonno, Che tutti doma, vinto, e dalla molta Crapula oppresso, per la gola fuori Il negro vino e della carne i pezzi, Con sonanti mandava orrendi rutti. Immantinente dell'ulivo il palo Tra la cenere io spinsi; e in questo gli altri Rincorava, non forse alcun per tema M'abbandonasse nel miglior dell'opra. Come, verde quantunque, a prender fiamma Vicin mi parve, rosseggiante il trassi Dalle ceneri ardenti, e al mostro andai Con intorno i compagni: un dio per fermo D'insolito ardimento il cor ci armava. Quelli afferrâr l'acuto palo, e in mezzo Dell'occhio il conficcaro; ed io di sopra, Levandomi su i piè, movealo in giro. E come allor che tavola di nave Il trapano appuntato investe e fora, Che altri il regge con mano, altri tirando Va d'ambo i lati le corregge, e attorno L'instancabile trapano si volve: Sì nell'ampia lucerna il trave acceso Noi giravamo. Scaturiva il sangue, La pupilla bruciava, ed un focoso Vapor, che tutta la palpèbra e il ciglio Struggeva, uscìa della pupilla, e l'ime Crepitarne io sentìa rotte radici. Qual se fabbro talor nell'onda fredda Attuffò un'ascia o una stridente scure, E temprò il ferro, e gli diè forza; tale, L'occhio intorno al troncon cigola e frigge. Urlo il Ciclope sì tremendo mise, E tanto l'antro rimbombò, che noi Qua e là ci spargemmo impauriti. Ei fuor cavossi dall'occhiaia il trave, E da sé lo scagliò di sangue lordo, Furïando per doglia: indi i Ciclopi, Che non lontani le ventose cime Abitavan de' monti in cave grotte, Con voce alta chiamava. Ed i Ciclopi Quinci e quindi accorrean, la voce udita E soffermando alla spelonca il passo, Della cagione il richiedean del duolo: "Per quale offesa, o Polifemo, tanto Gridàstu mai? Perché così ci turbi La balsamica notte e i dolci sonni? Fùrati alcun la greggià? o uccider forse Con inganno ti vuole, o a forza aperta?" E Polifemo dal profondo speco: "Nessuno, amici, uccidemi, e ad inganno, Non già colla virtude". "Or se nessuno Ti nuoce", rispondeano, "e solo alberghi, Da Giove è il morbo, e non v'ha scampo. Al padre Puoi bene, a re Nettun, drizzare i prieghi". Dopo ciò, ritornâr su i lor vestigi: Ed a me il cor ridea, che sol d'un nome Tutta si fosse la mia frode ordita. Polifemo da duoli aspri crucciato, Sospirando altamente, e brancolando Con le mani il pietron di loco tolse. Poi, dove l'antro vaneggiava, assiso Stavasi con le braccia aperte e stese, Se alcun di noi, che tra le agnelle uscisse, Giungesse ad aggrappar: tanta ei credeo Semplicitade in me. Ma io gli amici E me studiava riscattar, correndo Per molte strade con la mente astuta: Ché la vita ne andava, e già pendea Su le teste il disastro. Al fine in questa, Dopo molto girar, fraude io m'arresto. Montoni di gran mole e pingui e belli, Di folta carchi porporina lana, Rinchiudea la caverna. Io tre per volta Prendeane, e in un gli unìa tacitamente Co' vinchi attorti, sovra cui solea Polifemo dormir: quel ch'era in mezzo, Portava sotto il ventre un de' compagni, Cui fean riparo i due ch'ivan da lato, E così un uomo conducean tre bruti. Indi afferrai pel tergo un arïete Maggior di tutti, e della greggia il fiore; Mi rivoltai sotto il lanoso ventre, E, le mani avolgendo entro ai gran velli, Con fermo cor mi v'attenea sospeso. Così, gemendo, aspettavam l'aurora. Obbedì Ulisse e s'allegrò nell'alma. Ma eterno poi tra le due parti accordo La figlia strinse dell'Egìoco Giove Che a Mentore nel corpo e nella voce Rassomigliava, la gran dea d'Atene.
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