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Oggetto: URSS
Data: 12/2/2005 9.55.31
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Propriamente Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, in sigla URSS (russo Sojuz Sovetskih Socialisticeskih Respublik, sigla SSSR), Stato federale sorto nel 1922 sui territori dell'Impero russo zarista in seguito alla Rivoluzione russa del 1917 e sciolto nel 1991. L'URSS si estendeva su tutta l'Europa orientale e sull'Asia settentrionale, con una superficie di 22.275.700 km2 (di cui 5.444.000 nel settore europeo), e una popolazione di 286.717.000 ab. Confinava a nord-ovest con Norvegia e Finlandia; a ovest con Polonia, Cecoslovaccia, Ungheria e Romania; a sud con Turchia, Iran, Afghanistan, Cina, Mongolia e Corea del Nord; si affacciava a ovest sul Mare Baltico, a nord sul Mare Glaciale Artico, a est sull'Oceano Pacifico, a sud sul Mare Nero. Capitale era Mosca e unità monetaria il rublo. L'URSS era uno Stato socialista a struttura federale, formato da 15 Repubbliche, ciascuna con propri organi legislativi ed esecutivi; alcune delle Repubbliche federative erano a loro volta articolate in Repubbliche autonome, Province autonome, Territori e Circondari autonomi. Supremo organo statale era il Soviet (italiano Consiglio) Supremo, composto dal Soviet dell'Unione e dal Soviet delle Nazionalità, che esercitava la funzione legislativa, formava il governo ed eleggeva al suo interno il Presidium, il cui presidente aveva funzione di capo dello Stato. Il potere reale era detenuto dal Partito comunista dell'URSS, partito unico a cui la Costituzione riconosceva ruolo dirigente nella società e nelle istituzioni. Nel 1988 il Soviet Supremo fu sostituito da un Congresso dei deputati del popolo, eletto a suffragio universale nel 1989 con pluralità di partiti.



█ Economia. Nell'URSS lo Stato esercitava il controllo assoluto in tutti i settori dell'economia; esso era proprietario del suolo e del sottosuolo, di tutti i mezzi di produzione, dei trasporti, di larga parte della rete commerciale (anche al dettaglio), degli istituti finanziari, nonché della maggior parte delle abitazioni. Lo Stato era anche unico imprenditore (mediante le diverse Repubbliche e gli altri enti periferici) nel settore industriale, in gran parte dei servizi e su circa 1/5 della superficie agricola. Infatti, mentre i settori minerari, industriali e dei servizi erano gestiti direttamente da organi dello Stato, nel settore agricolo, i 4/5 della superficie produttiva erano affidati alle aziende cooperative, cioè ai kolchoz. Il restante 1/5 era invece in gestione ad aziende agricole statali, i sovchoz, dove i dipendenti venivano rimunerati con un salario fisso in moneta. Quella statale e quella cooperativa erano i due modi della sola forma di proprietà praticamente possibile nell'URSS, almeno relativamente ai mezzi di produzione: la proprietà socialista. La proprietà privata, in genere trasmissibile per eredità, era limitata alle case di abitazione, alle piccole aziende individuali artigiane e commerciali infine era tollerata la proprietà di piccoli appezzamenti individuali da parte dei contadini dei kolchoz. Una certa apertura verso l'economia di mercato, il decentramento, la proprietà individuale (con la conseguente diminuzione dei sussidi pubblici) si ebbe con l'avvento della perestrojka, il processo di rinnovamento (non solo del settore economico) voluto da M. Gorbaciov a partire dal 1987. Strumento di direzione caratteristico ed essenziale del colossale apparato economico sovietico era la pianificazione centralizzata. Attraverso la pianificazione lo Stato articolava nello spazio e proporzionava nel tempo, stabilendo una scala di priorità, lo sviluppo dei vari settori, privilegiando determinate produzioni, ritenute decisive ai fini dello sviluppo futuro (più specificatamente l'industria dei mezzi di produzione e quella minerario-energetica, oltre all'industria collegata alle esigenze militari). Per rendere possibile l'accumulazione di capitali, indispensabile ad assicurare gli investimenti necessari ai settori ritenuti preminenti, venivano compressi, indipendentemente dalle richieste del mercato, i settori dei beni di immediato consumo e semidurevoli specialmente il settore agricolo, il più arretrato dell'economia sovietica con rese per addetto e unità di superficie drammaticamente più basse delle moderne agricolture dei Paesi occidentali. Emanazione delle scelte politiche e strategiche dell'oligarchia comunista, la pianificazione sovietica conservò sempre (il primo piano quinquennale venne varato nel 1927) un carattere fortemente accentrato. E ciò anche se negli ultimi anni, di fronte alle sempre più evidenti sfasature tra le decisioni centrali e le effettive possibilità settoriali e locali, ci si sforzò di rielaborare i criteri di pianificazione, concedendo un più largo margine di autonomia alle singole imprese. Tutto quanto concerneva la pianificazione, criteri di scelta e obiettivi quantitativi, continuò tuttavia sempre a essere competenza dell'organo centrale, il Gosplan. Le coltivazioni più diffuse, anche se poco soddisfacenti dal punto di vista della produttività, erano nell'URSS quelle cerealicole, con il frumento in primo piano. Si era manifestata tuttavia la tendenza a spostare la coltura dei cereali dalla tradizionale fascia meridionale delle terre nere verso il Nord, lasciando il posto a più redditizie coltivazioni industriali, quali la barbabietola da zucchero, le piante oleose e il cotone. Nel complesso l'agricoltura non era in grado di garantire l'autosufficienza alimentare al Paese, largamente tributario all'estero soprattutto per i cereali. Assai redditizia era la pesca, sia marittima sia lacustre sia fluviale. La prima aveva le sue maggiori basi a Murmansk (nel Mare Glaciale Artico), Nikolajevsk e Petropavlovsk-Kamčatski (Oceano Pacifico) e Riga (Mare Baltico), specializzate nella pesca dei merluzzi, delle acciughe, aringhe e balene, mentre ad Astrahan e nel basso Volga si accentrava la pesca dello storione, da cui si trae il caviale. Lo sviluppo più spettacolare era stato registrato dal settore dell'industria pesante e siderurgica e da quello minerario. I ca. 160 milioni di t di acciaio prodotti alla fine degli anni '80 ponevano l'URSS al primo posto mondiale ed erano stati resi possibili grazie all'abbondanza di minerale di ferro e di carbon fossile. I centri minerari più ricchi erano ubicati, per il ferro, in Ucraina, negli Urali e nel bacino di Kuzneck (Kuzbass); nelle stesse aree si trovavano anche giacimenti di carbone, sì che i maggiori centri siderurgici si concentravano in Ucraina (Doneck odierna Juzovka, Dnepropetrovsk odierna Jekaterinoslav, Mariupol ecc.) e negli Urali (Magnitogorsk, Čeljabinsk). Accanto al ferro, di cui era il massimo produttore, l'URSS era al primo o ai primi posti per mercurio, piombo, manganese, cromo, zinco, bauxite, stagno, magnesite, fosfati, nichel, tungsteno, diamanti, oro e argento. Tra le fonti di energia, accanto al carbone, primaria importanza rivestiva il petrolio, di cui l'URSS era il maggior produttore mondiale. Ai vecchi giacimenti di Baku, sul Mar Caspio, si erano aggiunti nel secondo dopoguerra quelli, ricchissimi, della seconda e della terza Baku, quelli caspici dell'Emba, quelli ucraini e quelli del settentrione. Notevoli quantità di petrolio si estraevano anche nel Caucaso, nell'isola di Sahalin e nei pressi degli Urali settentrionali. Nelle stesse aree erano inoltre sfruttate anche le enormi riserve di gas naturale. Le grandi disponibilità di carbone e di petrolio avevano consentito l'impianto di un notevole potenziale elettrico nelle aree industrializzate. Molto sviluppata anche l'energia elettrica prodotta da centrali nucleari, di tipo vecchio però e con margini di sicurezza non sempre sufficienti. La caratteristica prima dell'industria sovietica era data dall'assoluta preminenza del settore meccanico, particolarmente del comparto pesante. I maggiori complessi dell'industria pesante erano situati a Jekaterinburg, a Mosca, nella zona degli Urali e in Ucraina; il settore elettromeccanico era invece rappresentato soprattutto dai grandi impianti di Leningrado. Nel settore meccanico venivano quindi la produzione di mezzi di trasporto (materiale ferroviario a Harkov, Irkutsk, Mosca), di macchinario agricolo (Rostov), di automezzi (a Nižni Novgorod, Togliatti e Mosca), mentre la navalmeccanica aveva i più importanti cantieri a Leningrado, Riga, Odessa e Vladivostok. Solo dopo la seconda guerra mondiale era sorto il comparto chimico (fertilizzanti, gomma sintetica) mentre attivo si era sempre mantenuto il tessile (soprattutto cotone, lana e fibre artificiali), concentrato in alcune zone della parte europea. Largamente insufficiente rispetto alla domanda potenziale la produzione di altri beni di consumo, quali gli elettrodomestici e il mobilio. Al di là delle cifre assolute della produzione e dei gigantismi di molte concentrazioni industriali, tuttavia, l'industria era caratterizzata da una profonda arretratezza tecnologica e organizzativa e da un'assai bassa produttività, che se potevano essere in qualche modo occultate in un sistema chiuso come quello sovietico e nei rapporti economici con gli altri Paesi del Comecon, ne minavano ogni competitività in campo internazionale e nel confronto con i Paesi dell'Occidente industrializzato. Il settore della distribuzione commerciale e del trasporto delle merci era contrassegnato da enormi inefficienze, che non solo causavano perdite e sprechi eccessivi all'intero sistema economico, ma spesso erano all'origine di gravi difficoltà di approvvigionamento.


STORIA
[Per la storia sino alla prima guerra mondiale e allo scoppio della Rivoluzione russa, si veda la voce Russia e quelle delle singole Repubbliche che hanno formato l'URSS]. L'istituzione da parte del congresso panrusso dei Soviet della Repubblica socialista federativa sovietica e l'adozione della nuova Costituzione che poneva l'esecutivo alle dipendenze del Politburo del Partito comunista (10 luglio 1918) avvenne mentre l'autorità del nuovo governo bolscevico (difeso dall'Armata Rossa guidata da L. Trotzkij) era soggetta agli attacchi delle formazioni controrivoluzionarie 'bianche' sostenute dalle potenze occidentali, susseguitisi sino a quando (novembre 1920) la resistenza dei generali Kolchak, Denikin, Judenich e Vrangel' venne infine vinta e il potere sovietico assunse il controllo di gran parte del territorio nazionale; con la pace di Riga (18 marzo 1921) aveva termine anche il conflitto seguito all'invasione polacca dell'Ucraina (aprile 1920), perduta dai Sovietici assieme alla Bielorussia. Alle difficoltà portate dall'isolamento diplomatico si aggiunsero nell'inverno del 1921 gli effetti di una carestia che provocò milioni di morti e spinse Lenin a permettere un parziale ritorno all'economia di mercato (nuova politica economica, NEP). Il processo di consolidamento del nuovo Stato sovietico (che il 30 dicembre 1922 assunse la denominazione definitiva di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) ebbe una svolta decisiva quando alla morte di Lenin (1924) si affermò la leadership di Josif V. Stalin: fatta prevalere la propria tesi favorevole alla realizzazione del socialismo 'in un solo Paese' sulla prospettiva della 'rivoluzione permanente' sostenuta da Trotzkij (espulso dal partito e dall'URSS nel 1927, poi fatto assassinare a Città di Messico nel 1940), nel 1928 Stalin dapprima estromise i fautori di una linea più morbida della gestione dello Stato (Bucharin, Rykov, Tomskij), quindi, abrogata la NEP, avviò la collettivizzazione forzata dell'agricoltura (eliminazione dei kulaki, i contadini agiati) e il processo di industrializzazione accelerata della nazione (primo piano quinquennale, che dava assoluta preminenza all'industria pesante). Per sostenere lo sforzo di modernizzazione - che andava trasformando radicalmente la struttura sociale del Paese - venne stretta una serie di patti di amicizia e non aggressione con le potenze occidentali, rompendo l'isolamento internazionale (processo culminato con l'adesione alla Società delle Nazioni, 1934), mentre all'interno si accentuava il carattere personale e repressivo del sistema di potere stalinista: tra il 1936 e il 1939 ogni forma di opposizione e dissenso - reale o potenziale - venne cancellata assieme a tutta la vecchia classe dirigente bolscevica ('purghe staliniane'). Nell'agosto 1939 l'accordo Ribbentrop-Molotov permetteva la spartizione fra Tedeschi e Sovietici della Polonia e la successiva guerra con la Finlandia (1939-1940); nel 1940 l'annessione delle Repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania si unì ad un gravissimo indebolimento dell'esercito sovietico a causa delle purghe tra i quadri militari, reso evidente dalla successiva invasione tedesca (22 giugno 1941). La vittoriosa difesa di Stalingrado (gennaio 1943) segnò l'inizio della controffensiva sovietica, che liberò il territorio nazionale portando poi le truppe sovietiche in Bulgaria, Romania, Polonia e Ungheria (1944), quindi in Cecoslovacchia e Germania sino a Berlino (1945), ponendo le premesse per la costituzione di una sfera di influenza in Europa orientale ratificata di fatto dagli accordi di Jalta. Nel dopoguerra l'URSS si trovò a condividere con gli USA la supremazia mondiale, presto avviatasi sui binari di una competizione tra blocco occidentale e blocco comunista costituito al di là della 'cortina di ferro' (creazione di regimi stalinisti satelliti tra il 1946 e il 1948; blocco di Berlino, 1948; istituzione del Comecon, 1949, e del patto di Varsavia, 1955; non mancarono peraltro le prime tensioni entro il mondo comunista, con la rottura tra Stalin e Tito nel 1948 e i difficili rapporti con la Cina di Mao). La morte di Stalin (1953) permise di attenuare i rigori parossistici della dittatura, avviando un lento miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, particolarmente nelle campagne, e di smussare i punti più aspri di conflitto con l'Occidente attraverso la politica di 'coesistenza pacifica'. La svolta, conosciuta con il nome di 'disgelo', ebbe il suo leader in N.S. Chruščëv, segretario del PCUS dal 1953, che nel 1956 avviò la la destalinizzazione, denunciando al XX Congresso del PCUS il 'culto della personalità' e i crimini di Stalin. La destalinizzazione provocò gravi contraccolpi nel blocco comunista, e i Sovietici dovettero intervenire per domare le rivolte scoppiate nel 1956 in Polonia e, soprattutto, in Ungheria, mentre si apriva un sempre più aspro contrasto con la Cina che accusava l'URSS di revisionismo. Il tentativo, infine, di Chruščëv di riformare il monolitismo del PCUS e di operare un riavvicinamento con gli USA, portò nel 1964 alla sua destituzione da parte dell'oligarchia di partito e alla nomina a segretario del partito di L. Brežnev. Venne posta così fine alle timide aperture del disgelo, mentre riprendeva il culto dell'ortodossia e la persecuzione dei dissidenti. In campo internazionale la distensione veniva messa in crisi dall'inasprimento del confronto con Washington, scandito da una continua rincorsa agli armamenti e interventi a favore della costituzione di regimi marxisti nel mondo, culminati nell'invasione dell'Afghanistan (1979). Nel 1982, alla morte di Brežnev, l'URSS si trovava in una situazione di stagnazione politica e morale, mentre l'economia era stremata dal peso delle spese militari; l'intero blocco orientale era percorso da fermenti che l'intervento militare in Cecoslovacchia contro la 'primavera di Praga' nel 1968, in nome della teoria brezneviana della 'sovranità limitata' dei Paesi satelliti, non era valso a sedare. Nel 1985 M. Gorbaciov, eletto segretario del PCUS dopo i brevi interregni di Andropov (1982-1984) e Černenko (1984-1985), impose una radicale svolta alla situazione. Cardini della politica di Gorbaciov erano la perestrojka (riforma), che dall'economia (con l'obiettivo di renderla più efficiente dando autonomia alle imprese e al mercato) si estese progressivamente alla politica (per affermare il primato delle istituzioni elettive sul partito), e la glasnost (trasparenza), che aprì la via alla libertà di stampa. In politica estera l'adesione incondizionata alla distensione e al disarmo (trattato per l'eliminazione degli euromissili, 1987; ritiro dall'Afghanistan, 1989; firma del trattato START, 1991) determinava uno spettacolare riavvicinamento all'Europa e agli USA. La politica di non intervento permetteva contemporaneamente ai Paesi dell'Est europeo di scegliere il proprio destino e ciò portava nel 1989 al crollo in serie dei regimi comunisti. La situazione interna, invece, andava facendosi sempre più difficile: le incertezze delle riforme economiche e le resistenze burocratiche precipitavano il Paese in una disastrosa crisi economica, riacutizzando le spinte indipendentistiche e i conflitti etnici fino allora repressi. Stretto tra le resistenze conservatrici e le spinte dei radicali, Gorbaciov da un lato operò per eliminare il monopolio politico-sociale del PCUS e la sua direzione sull'economia (riforme costituzionali del 1988 e del 1990; elezione a parziale suffragio diretto e multipartitico del Congresso dei Deputati del Popolo, 1989; elezione dello stesso Gorbaciov a presidente dell'URSS con ampi poteri, 1990), dall'altro si impegnò a negoziare con le Repubbliche un nuovo trattato dell'Unione che facesse dell'URSS una confederazione di Stati sovrani, così da impedirne la disgregazione, come preannunciavano le secessioni delle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), della Georgia e della Moldavia. Fu proprio alla vigilia della firma del nuovo trattato dell'Unione che il 19 agosto 1991 scattò un colpo di Stato conservatore, guidato dai vertici del PCUS e del governo. La resistenza popolare animata dal presidente della Repubblica Russa, il radicale B. Eltsin, il rifiuto dei militari di sparare sui civili, l'opposizione di Gorbaciov (sequestrato dai golpisti in Crimea), fecero rapidamente fallire il colpo, determinando il crollo del regime comunista e della stessa URSS: il PCUS venne sciolto e Gorbaciov dovette dimettersi dopo il fallimento del progetto di Unione degli Stati Sovrani da lui proposto in sostituzione dell'URSS. Sovrane rimanevano le singole Repubbliche, che nel dicembre 1991 decidevano anche formalmente la soppressione dell'URSS, alleandosi nella Comunità di Stati Indipendenti.



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