Nick: Mach Oggetto: Per capire la Cecenia Data: 9/3/2005 16.1.39 Visite: 45
Ho trovato questo blog http://ceceniasos.ilcannocchiale.it/ che parla della cecenia e vi riporto il riassunto di quello che è accaduto negli ultimi anni.
Aslan Aliyevich Maskhadov, padre di due figli, un maschio e una femmina, Maskhadov era nato nel 1951 nel Kazakhstan, dove Stalin aveva fatto deportare i ceceni e altre piccole etnie con il falso pretesto di collaborazionismo con i nazisti (Hitler non era neppure arrivato in Cecenia). Con la sua famiglia torna in patria nel 1957, quando Nikita Khrusciov denuncia i crimini di Stalin. Dopo le scuole inizia la carriera militare. Diplomato a Tbilisi nel collegio d'Artiglieria nel 1972 e in seguito all'Accademia militare di Leningrado, presta poi servizio nell'estremo oriente russo e anche nel contingente sovietico in Ungheria, fino a diventare tenente colonnello. Per anni - sino alla dissoluzione dell'Urss - aveva servito da ufficiale nella vecchia Armata Rossa, con tanto di giuramento al governo di Mosca. Nel 1991 e' infatti con l'Armata rossa a Vilnius mentre Mikhail Gorbaciov cerca di impedire vanamente la secessione delle repubbliche baltiche dall'Urss. Ma è il suo ultimo incarico nell'esercito sovietico. Nello stesso 1991 scoppia una rivolta anche in Cecenia, regione autonoma interna alla Federazione russa di cui l'ex generale dell'aviazione strategica dell'Urss Dzhokhar Dudaiev proclama l'indipendenza. Maskhadov si schiera con lui. Dal 1992 al 1996 lavora alla costituzione delle 'Forze armate dell'Ichkeria' (come i ribelli hanno ribattezzato la Cecenia) e ne e' nominato capo di stato maggiore dal 1993. Dopo l'uccisione di Dudaiev, centrato nel '96 da un missile russo, diventa una delle figure centrali dei negoziati che concludono la prima guerra contro le forze federali e le sue milizie. Il 6 agosto del 1996, 1500 soldati ceceni sotto i comandi di Maskhadov, riuscirono a liberare Grozny che era pattugliata da 12.000 militari russi. I russi non accettano lo smacco e ritornano alla carica con la tradizionale brutalità. Si riprendono Grozny, ma a costi altissimi e intollerabili: 2.000 civili e oltre 600 militari russi perdono la vita, mentre una incontrollabile marea di 220.000 profughi sfugge alla carneficina. Eltsin, doveva fare però i conti con dei media ancora relativamente liberi. Il mondo vede il tutto quasi in diretta. Incluso i cittadini russi, a differenza di quanto possono fare oggi. Era la classica "goccia che fece traboccare il vaso". Eltsin dovette accettare la realtà di una sconfitta e si decide finalmente di dare al generale Aleksandr Lebed i pieni poteri per le trattative con Maskahdov. Si giunge così ai famosi accordi di Khasaviurt del 31 agosto 1996. Dopo il ritiro dei federali dalla regione pian piano in Cecenia ritorna la pace, le truppe russe si ritirano e infine lo status d'indipendenza della repubblica caucasica, ora chiamata la repubblica di Ichkeria, viene formalmente riconosciuta e a Mosca ci sarà perfino una ambasciata cecena.
Ma i fatti mostreranno che si trattò esclusivamente di un riconoscimento momentaneo assolutamente insincero. Le forze russe dovevano riprendersi e riorganizzarsi per rispondere all'umilinate sconfitta che subirono e che non seppero e vollero accettare. Il secondo tentativo di conquista della Cecenia dopo il crollo sovietico verrà passato di mano al capo dei servizi segreti in persona: Vladimir Putin.
Ma la vera pace era ancora lontana. I Ceceni dovevano fare i conti innanzitutto con se stessi e tentare di isolare l'abbondante quantità di frange estremiste, terroriste, mafiose e criminali che si instaurarono nel tessuto sociale anche grazie agli eventi bellici. Malgrado sia stata firmata la pace e la popolazione cecena abbia trovato una nuova libertà, quelle bande criminali e mafiose, che tutto indica che furono anche finanziate e armate sottobanco dai russi con lo scopo di destabilizzare gli equilibri nella repubblica, erano ancora in circolazione. Nel frattempo Shamil Basayev che, almeno in apparenza, voleva ritornare ad una vita civile riprendendo la sua carriera di venditore di computer. Basayev era diventato una sorta di Garibaldi ceceno per una parte della popolazione e riuscì impossibile metterlo da parte. Si presenta, assieme a Maskhadov ed altri alle elezioni presidenziali del gennaio 1997.
Le elezioni presidenziali in Cecenia del 1997 sono un momento estremamente importante per capire il conflitto in corso. Tali elezioni infatti furono monitorate dagli osservatori internazionali (p.es. l'OSCE) e la cui validità fu unanimemente riconosciuta. La popolazione cecena era chiamata non solo ad eleggere un proprio legittimo presidente ma anche nel fare una scelta precisa. Da una parte scegliere se promuovere una linea politica moderata come si proponeva Maskhadov, o dall'altra parte optare per la linea dura ed islamista del suo avversario di sempre, cioè Basayev.
La risposta fu inequivocabile: Maskhadov vince di gran lunga con il 60 per cento dei voti lasciando Basayev al 23 per cento e un 10 per cento a Iandarbiev il presidente allora ad interim (e che verrà eliminato sette anni dopo con un "omicidio mirato" da parte dei servizi segreti russi a Doha, nel Qatar). Pertanto, nel gennaio del 1997, Aslan Maskhadov diventò il legittimo presidente della repubblica cecena.
Ufficialmente il risultato venne riconosciuto da Basayev, Iandarbiev e anche dai russi stessi. Ma purtroppo, dietro ai proclami ufficiali, si stava già tramando per distruggere la nuova repubblica. Non solo la società russa ma evidentemente anche la coscienza collettiva cecena non era ancora pronta nel concepire forme di opposizione politica civile. Le frange più estremiste guidate da Basayev ed altre "teste calde" come Arbi Barayev che organizzò svariati rapimenti tra cui anche quello di personale straniero (e che era lo zio dei Mosvar Barayev il capo del gruppo d'assalto al teatro di Mosca), infatti stavano già accumulando armi e soldi per organizzare violente azioni terroristiche e criminali.
Mosca, che non vedeva l'ora di riscattare la pesante sconfitta subita nella prima guerra, non esitò un istante e non si fece scappare l'occasione: riesumò l'usuale politica di destabilizzazione di stile sovietico già adottata da Eltsin. Di nuovo il rubinetto delle finanze per la ricostruzione della Cecenia venne chiuso, e ci sono buoni motivi per pensare che si aprirono quelli per fare fluire ingenti quantità di denaro e armi nelle casse delle organizzazioni estremiste o mafiose e criminali. L'opposizione politica a Maskhadov venne organizzata a colpi di finanziamenti e mazzette distribuite agli esponenti politici del suo stesso governo e si susseguono un'infinita serie di provocazioni molto probabilmente organizzate dietro alle quinte dai servizi segreti russi (in particolare si rumoreggia del lavoro occulto compiuto dall'oligarca russo Boris Berezovsky, oggi in esilio a Londra).
Che si trattasse di una politica ben mirata alla destabilizzazione politica, economica e sociale e orchestrata da forze occulte si deduce da vari elementi. Ne citiamo solo alcuni. P.es. inspiegabile è l'improvvisa disponibilità dell'opposizione di ingenti quantità di denaro per finanziarsi campagne denigratorie del governo al potere tramite TV, giornali e tutti i media. Stranissima è la coincidenza che nei rapimenti venivano presi di mira non più militari russi, ma ormai quasi esclusivamente i dipendenti, anche stranieri, che lavoravano agli impianti petroliferi, ovvero l'unica grande risorsa finanziaria su cui si sarebbe potuto ricostruire una repubblica economicamente autosufficiente. Incredibile è il silenzio del Cremlino sulle dichiarazioni scandalose di Iandarbiev che fa l'apologia delle azioni criminali di Raduev, mentre lancia invettive spietate e furibonde contro un Maskhadov che ha sempre preso le distanza da qualsiasi atto di terrorismo. Misteriosa è la decisione di Putin di liberare l'ex sindaco di Grozny, Bislan Gantemirov, che fu colto con le mani nel sacco nel rubare ingenti somme adibite alla ricostruzione della città e per finanziare l'opposizione di Maskhadov. E ancora più inspiegabile è l'atteggiamento di Mosca che, quando Maskhadov manda un suo rappresentante, Turpal Atgeriyev, per chiedere aiuto nel combattere una criminalità dilagante, non solo rifiuta ma perfino fa arrestare lo stesso Atgeriyev (il quale morirà poi in un carcere in Daghestan in circostanze "misteriose"). E di aneddoti di questo genere se ne potrebbe fare una lunga lista. L'azione destabilizzante raggiunge l'effetto sperato.
Comunque sia, in questo clima politico del "divide et impera" che amplificò oltre ogni misura le attività criminali, il moderato e democratico Maskhadov perde evidentemente il controllo e si butta in una politica di compromessi e di "appeasement" assai dubbia che lo inducono in una serie di errori imperdonabili, trascinandolo infine in una spirale senza uscita. Maskhadov e la società cecena intera dimostreranno di non essere stati all'altezza nel resistere alle provocazioni e nel mantenere fermo il timone di un vascello nel pieno di una tempesta creata e alimentata appositamente per distruggere lui e il suo governo.
Infatti, nella vana speranza di riuscire a riportare sotto controllo le frange più estremiste e convincerle ad azioni più moderate, Maskhadov li accontenta accettando di fare entrare nel suo governo sia Iandarbiev che Basayev e altri personaggi di dubbia moralità. Ma come noto, dare il contentino al diavolo è rischioso. La mossa di Maskhadov si rivelerà un boomerang. Basayev chiede ben presto che venga dichiarata la legge islamica della sharia in tutta la repubblica, e che di fatto riduce il potere del presidente, minacciando altrimenti una crisi di governo. Di nuovo Maskhadov cede alle pressioni e si autodegrada nella speranza che questo possa calmare gli animi. Una vana chimera: proprio grazie a questa concessione di Maskhadov, Basayev forma un corpo di governo alternativo, la shura - un consiglio islamico - che chiede le dimissioni del presidente e del suo parlamento ed una nuova costituzione. Siamo nel marzo del 1999 e la Cecenia è nel caos, in mano alle bande terroristiche e criminali. Proprio come speravano a Mosca. Il ministro degli interni Serghei Stepashin incomincia a parlare della necessità di "prendere misure estremamente rigorose per riportare la legge, l'ordine e la sicurezza" ed accusa, non Basayev o Iandarbiev, ma cinicamente Maskhadov di essere il responsabile delle attività criminali della regione. Per i russi non e' piu' un interlocutore, ma "una marionetta nelle mani dei capi militari della guerriglia". Maskhadov ne viene travolto.
Come noto il Daghestan, la Cecenia e l'Inguscezia sono il risultato di separazioni che sono avvenute via via nel recente processo storico e non rappresentano nella psiche collettiva una reale divisione. Specialmente per islamisti wahhabi (ala islamica estremista di origini saudite) e ultranazionalisti come Basayev, il Daghestan e la Cecenia sono un tutt'uno e l'unità persa deve essere ristabilita a tutti i costi in uno stato islamico. Basayev, è ormai completamente fuori dal controllo di Maskhadov (inutile sarà ormai il suo tentativo di esonerarlo), e ritorna alle sue usuali attività belliche e terroristiche. Basayev è il classico "signore della guerra" a cui in realtà gli ideali, o l'indipendenza o il bene della propria nazione non interessano realmente. Non è nemmeno un sentimento anti-russo che lo muove. Basti ricordare infatti come partecipò nella guerra in Abkhazia assieme alle truppe dell'esercito dell'ex armata rossa. In circostanze diverse, Basayev oggi potrebbe essere al posto di un Akhamd Kadyrov o di un Alu Alkhanov (i successivi "presidenti marionetta" che il Cremlino appunterà nella regione). Anche in questa occasione sembra fare quasi più il gioco di Mosca, piuttosto che quello di un movimento d'indipendenza ceceno. Infatti assieme al suo commilitone di origini saudite, Katthab, e un nutrito gruppo di 1200 uomini che li affiancheranno, organizzano una clamorosa quanto inaspettata azione militare, nell'agosto del 1999, contro la vicina repubblica del Daghestan. Questo naturalmente non poteva non diventare che un ottimo pretesto per la controparte per dare inizio al secondo conflitto ceceno.
In retrospettiva diventa però del tutto evidente che in realtà l'attacco al Daghestan, che in quanto tale meritava certamente una energica risposta da parte russa, si rivelerà invece essere l'inizio di una invasione in grande stile di tutta la Cecenia. Una invasione premeditata per rivalersi della sconfitta della guerra precedente. Infatti Sergei Stephasin, uno dei più stretti collaboratori di Eltsin, ma licenziato dallo stesso per dissidi interni e che, a quanto pare volle vendicarsi del torto subito, rivelò che l'attacco contro la Cecenia era stato deciso già cinque mesi prima dello sconfinamento in Daghestan, ovvero nel marzo del 1999.
Se l'attacco al Daghestan fosse una mossa pianificata deliberatamente dai russi (e se così fosse certamente Putin in quanto a capo dei servizi segreti ne sarebbe l'autore) forse non lo sapremo mai, ma certo è che con la scusa di difendersi da uno sconfinamento di 1200 uomini, nei successivi quattro anni, le forze federali russe rispondono con l'invasione dell'intera Cecenia, l'uccisione di altri 80.000 - 100.000 civili, la rinnovata sparizione nelle fosse comuni di migliaia di innocenti, la riapertura dei campi di concentramento e trasformano nuovamente la repubblica in un inferno Staliniano.
Così, la guerra in Cecenia diventa il trampolino di lancio dell'ex capo dei servizi segreti e il ristabilimento di quello che lui chiama "ordine" e "legge" in Cecenia è uno dei temi elettorali su cui punterà più di ogni altra cosa. Ma i sondaggi indicavano chiaramente che il popolo russo era assai restio nel continuare questa guerra. Solo degli eventi drammatici avrebbero potuto convincerli del contrario. E gli eventi che aiuteranno Putin a fare leva sui più bassi istinti xenofobi contro la comunità cecena anche all'interno della Russia, e dargli un nuovo slancio per continuare nello sforzo bellico, arrivarono puntuali.
Nel settembre del 1999 si verificano tre esplosioni in palazzi civili. Due a Mosca ed uno a Volgodonsk, nella regione di Rostov. Totale: 300 morti. Gli attentati non furono mai rivendicati ma le autorità russe, senza evidenze convincenti non esitarono nel dichiararne la matrice cecena. Poco dopo un colpo di scena incredibile. Due agenti del FSB, l'organizzazione dove Putin era ancora capo pienamente in carica, vengono scoperti in flagrante, su segnalazione di cittadini che avvertono la polizia locale, nel posizionare ingenti quantitativi di esplosivo (l'hexogen) in un grande complesso abitativo a Ryazan. Una imbarazzata FSB si giustifica affermando che si trattava di "esercitazioni". Da quel momento gli attentati si fermano ma rimangono avvolti nel mistero fino ad oggi. Questo fatto ha dato il via ad una interminabile sequenza di teorie del complotto.
Comunque stiano veramente le cose, il fatto è che questo non impedì a Putin di usare le stragi negli appartamenti per fare leva sull'odio xenofobo contro i ceceni e che ne risultò ampiamente amplificato. Si propone come l'uomo forte, il nuovo presidente che avrebbe risolto il problema ceceno in pochi mesi. A pochi importava che nel frattempo le proprie forze armate stavano perpetrando crimini di guerra uccidendo migliaia di civili. Uno degli ultimi massacri ancora abbastanza bene documentati prima che si avviasse la censura generalizzata in Russia era quello del 21 ottobre del 1999 in cui un missile colpisce il mercato di Grozny e uccide almeno un centinaio di persone. E ancora meno interessava che ci fossero già 120.000 profughi ceceni disperati che cercavano di mettersi in salvo.
Ma la comunità internazionale continua a considerare Putin il "garante della stabilità e della democrazia" in Russia. Il silenzio dell'occidente sui crimini contro l'umanità compiuti in Cecenia è assordante e anzi viene accompagnato dall'annullamento del debito russo di 4.5 miliardi di dollari da parte dei G8 nel giugno 1999 e che senza dubbio aiutò a rendere il massacro in Cecenia economicamente molto più facile da attuare.
Quando Putin, sull'onda dell'emotività popolare viene rieletto presidente in nome della "lotta al terrorismo", una delle prime cose che si premura di fare è quello di non ripetere gli errori commessi dal suo predecessore. Prima di tutto fa chiudere le frontiere della Cecenia agli osservatori o giornalisti indipendenti, ufficialmente per ragioni di "sicurezza". In realtà affinchè nessuno documenti le atrocità commesse nella piccola repubblica secessionista. La censura è pressoché totale e il mondo rimane all'oscuro di che cosa sta succedendo veramente. La copertura dei mass media, sia da parte di quelli occidentali che di quelli russi ancora parzialmente liberi, era infatti una delle cause principali della sconfitta che dovette subire Eltsin.
Poi Putin incomincia a fare una fortissima pressione sui media interni perché adottino una sorta di auto-censura nei riguardi della guerra. Chi non si adegua subisce pesanti minaccie o viene spesso eliminato fisicamente. Durante la dirigenza di Putin gli omicidi di politici e giornalisti sono aumentati vertiginosamente. Le persone critiche della sua dirigenza per misteriose coincidenze cadono con aerei da turismo, annegano nei fiumi, vengono uccise da "banditi", muoiono per improvvisi infarti oppure si suicidano senza nessuna ragione apparente. Sotto la presidenza Putin i grandi media e network televisivi vengono fatti chiudere con vari pretesti legali o costretti a cambiare tono. Attualmente tutti i network TV di estensione nazionale sono saldamente in mano al governo. Rimangono solo piccole reti locali che mostrano ancora di avere il coraggio di fare una reale opposizione. Ma si tratta comunque di forze d'oppinione limitate che non riescono ad influire veramente. Probabilmente è solo una questione di tempo che anche queste subiranno prima o poi la stessa sorte.
I russi che durante la guerra di Eltsin avevano un certo accesso alla verità sulla tragedia cecena ora sono tenuti all'oscuro di tutto quello che possa essere compromettente per la strategia del Cremlino. Al popolo russo non è più concesso di conoscere le reali dimensioni della guerra ed i costi che sta sopportando. P.es. pochi di loro sanno che tra i 20.000 e 25.000 soldati russi sono ormai morti in Cecenia, portando i costi in vite umane alle dimensioni uguali o anche peggiori di quelli della guerra russo-afghana. Non sanno, o forse non vogliono nemmeno saperlo per un processo di rimozione collettiva, delle disumane violazioni dei diritti umani che stanno perpetrando le proprie truppe. Non gli è concesso di sapere che ancora oggi, dopo anni di battaglie, le truppe russe continuano a subire pesanti perdite e umilianti sconfitte da parte dei gruppi guerriglieri (ogni settimana vengono uccise una dozzina di militari russi in attacchi di guerriglia). L'unica cosa su cui sono informati sono gli attentati dei terroristi ceceni, perché questo naturalmente favorisce ad aumentare l'odio contro le comunità caucasiche e quindi fornisce l'alibi per ulteriori brutali azioni di repressione.
Putin giunge alla presidenza quando la riconquista tecnica, in senso militare, della Cecenia è cosa ormai quasi fatta ed avviene attorno all'aprile del 2000. Ma sarà solo l'inizio di pesantissime perdite anche per i russi. La guerra regolare tra eserciti è finita, ma una intensa ed interminabile attività di combattimento tra forze speciali e guerriglieri guidati da Maskhadov continua senza tregua fino ai giorni nostri. Il presidente russo lascia infatti tutto in mano ai suoi fedelessimi dei servizi segreti, che per ovvie ragioni, conosce meglio di qualsiasi altra struttura governativa. In particolare l'FSB si occupa, sotto la direzione di Putin, della conduzione di una guerra "sporca" fatta di rastrellamenti indiscriminati nei villaggi ceceni dei presunti guerriglieri, di raid degli squadroni della morte che si moltiplicano e derubano e terrorizzano la popolazione civile e della pratica della tortura dei prigionieri e la loro "sparizione" che risulta sempre più la regola piuttosto che l'eccezione. La costante di queste atrocità è all'ordine del giorno, tanto che è impossibile pensare che possano avvenire senza il beneplacido presidenziale. I campi di filtraggio, ovvero dei veri e propri campi di concentramento degni di essere messi alla pari dei gulag sovietici, e che furono pesantemente criticati dalle organizzazioni umanitarie per i diritti umani, per continuare ad esistere in modo meno evidente (le centinaia di migliaia di rifugiati in Inguscezia riuscirono a darne notizie dettagliate, malgrado tutto) vengono allora trasformati nei cosiddetti "punti di filtraggio". Si tratta di luoghi che vengono istituiti temporaneamente e dove le vittime vengono interrogate, torturate e spesso eliminate senza che lascino traccia. Una volta che si sono "filtrati" i guerriglieri dalla popolazione civile (che invece spesso e volentieri invece "sparisce" assieme ad essi) il punto di filtraggio viene smantellato per essere ricreato nei luoghi delle successive operazioni di "pulizia", le cosidette "zakitzka". Questa situazione rimane invariata sostanzialmente fino ad oggi.
Non meno selvagge si mostrano come risposta le azioni terroristiche cecene. Rapimenti, attentati e un escalation del terrorismo di frange sempre più radicalizzate si mostra in tutta la sua ferocia. Accusato dal Cremlino di fare ormai fronte comune con i fondamentalisti e di aver aperto le porte del Caucaso persino ad Al Qaida, il presidente degli indipendentisti nega con forza. In seguito prendera' le distanze dalle numerose azioni terroristiche rivendicate da Basaiev (come il sequestro del teatro Dubrovka o il tragico assalto nella scuola di Beslan), ma senza rinunciare ad apparire al fianco del leader del "Battaglione dei martiri".
Si giunge all'undici settembre. L'evento forni a questo punto alla dirigenza di Mosca un ottimo alibi. Ora la guerra in Cecenia, che fino ad allora fu condotta in nome del "ristabilimento dell'ordine e della legge", viene condotta d'ora in poi in nome della "lotta globale al terorismo". Putin riduce la questione cecena al solo problema del fondamentalismo islamico. L'origine della tragedia cecena si lascerebbe tutta ricondurre al terrorismo finanziato da Al Qaeda o a organizzazioni estremiste arabe. Una formula facile e semplice che una buona parte dell'occidente, traumatizzato dal crollo delle torri gemelle, accetterà quasi acriticamente.
A Maskhadov non fu permesso di partecipare alle elezioni presidenziali del 2003 in cui venne eletto l'uomo imposto da Mosca, Akhmad Kadyrov, ucciso poco dopo in un attentato, e nelle elezioni del 2004, che hanno messo un'altro fedele di Mosca, Alu Alkhanov. Maskhadov continua a rimanere il comandante in capo della guerriglia separtista (da cui, almeno in termini ufficiali, estromise Basayev).
Assieme ad Ilyas Akhamdov, il suo ministro degli esteri in esilio e che ha ottenuto asilo politico negli USA, Maskhadov sviluppa una proposta di pace che chiede il disarmo dei guerriglieri ceceni, il ritiro delle truppe russe ed una amministrazione provvisoria della Cecenia sotto l'egida dell'ONU, come è avvenuto per il Kossovo e Timor Est, e che possa finalmente condurla alla pace e infine all'indipendenza o almeno ad un'ampia autonomia. Rimarrà un semplice esercizio di filosofia politca dato che il Cremlino da parte sua ha invece sempre ignorato qualsiasi soluzione politica.
Continua così una spaventosa escalation del terrorismo ceceno. Dal famoso assalto al teatro di Mosca, il 23 ottobre 2002, e agli attentati suicidi sia in Cecenia che a Mosca e che tutti conoscono, gli aerei che esplodono e, il più mostruoso di tutti, quello della scuola di Beslan. Anche questa volta Maskhadov ne prende le distanze da Basayev: "quando ritorenrà la pace dovrà essere giudicato in un tribunale per i crimini di guerra", dirà. Una presa di distanza inutile. Il Cremlino, senza fornire prove, lo accusa di essere dietro agli attentati terroristici e mette sulla sua testa una taglia di 10 milioni di dollari. Non solo, ma per fare pressione su di lui nella speranza di farlo venire allo scoperto rapisce e/o fa "sparire" una quarantina dei suoi parenti. Stranamente però questa "politica" dei rapimenti non viene attuata per i parenti di Basayev.
Si arriva alle ultime settimane. Maskhadov lancia l'ultima precaria offerta di tregua con un cessate il fuoco ed una ennesima offerta di trattaiva. Maskhadov tentò di riavviare il dialogo con la Russia di Vladimir Putin, al quale, proprio agli inizi del mese scorso, aveva proposto invano un riavvicinamento con una tregua unilaterale da parte cecena imposta per il mese di febbraio a tutta la guerriglia separatista. Lo stop agli attacchi voleva essere il segno di una disponibilità a trattare, pena un nuovo bagno di sangue. "Se i nostri avversari al Cremlino mostrano un approccio ragionevole, possiamo finire la guerra al tavolo negoziale" - aveva detto l'ex presidente. Ma Mosca non rispose. Anche il Consiglio d'Europa lo ignora organizzando invece una cosiddetta "tavola rotonda" per il 21 marzo prossimo alla quale potranno prendere parte russi e Kadyroviti ma non i suoi rappresentanti.
Davanti a questa situazione di violenza, umiliazione e totale abbandono da parte della comunità internazionale che parla di "democrazia" ma si allea con gli squadroni della morte di Kadyrov e del FSB, un popolo si sente ridotto alla totale disperazione. E purtroppo parte di esso si sta sempre più convincendo, probabilmente imparando bene la lezione dal terrorismo mediorientale, che l'unica carta da giocare rimasta sia quella del terrorismo kamikaze.
L'epilogo arrivò ieri. Maskhadov e' stato ucciso, l'8 marzo 2005, durante un'operazione speciale nel villaggio di Tolstoi Iurt, durante la quale sarebbero stati catturati anche alcuni suoi collaboratori. Maskhadov e' stato ucciso nel corso di combattimenti mentre si trovava in un bunker sotto un edificio del villaggio. Secondo altre versioni in realtà è stato scoperto e ucciso dagli uomini di Kadyrov, i quali per paura di rappresaglie da parte della popolazione cecena non vogliono prendersi però la responsabilità, ed hanno lasciato alle forze federali russe il "merito". "Merito" che hanno accettato ben volentieri.
Comunque sia, con Maskhadov si chiude un capitolo. In campo ora rimangono i terroristi di Basyev che non esiteranno nel tentare di prendere il comando. Se ci riusciranno è improbabile che possa poi imporsi nuovamente una figura moderata e aperta al dialogo come fu Maskhadov. Una situazione che ha portato in un vicolo cieco a cui ha contribuito non poco la realpolitik dell'appeasement occidentale. Con lui se ne è andata forse l'ultima possibilità di dialogo e risoluzione pacifica della crisi. |