Nick: Viol4 Oggetto: Alvaro Mutis Data: 22/2/2003 20.16.21 Visite: 58
Alvaro Mutis è uno scrittore colombiano che amo molto, tra le tante cose ha scritto la trilogia del Gabbiere, cioè: “La neve dell’ammiraglio”, “Ilona arriva con la pioggia” e “Un bel morir”, oltre alla raccolta di poesie “Summa di Maqroll il Gabbiere”. Da “Ilona arriva con la pioggia” fu tratto un film che era una mezza botta, xò ricordo che c’era sui titoli di coda De Andrè che cantava i versi di Mutis; purtroppo ancora non sono riuscita a trovare quel disco, che era bellissimo... Qui sotto ho riportato il momento della morte del Gabbiere, una delle infinite morti possibili, visto che poi il personaggio tornerà in altri romanzi. E’ tratto da “Un bel morir”, titolo preso da un verso di Petrarca: “Un bel morir tutta una vita onora"... Fu allora, quando riuscì a isolare, nel delirio lucido di una fame implacabile, i più familiari e ricorrenti segni che avevano alimentato la sostanza di certe ore della sua vita. Ecco alcuni di quei momenti, evocati da Maqroll il Gabbiere, mentre si addentrava, senza rotta, negli estuari della foce: Una moneta che sfuggì dalle sue mani e rotolò in una strada del porto di Anversa fino a perdersi nel canale di scolo delle fogne. Il canto di una ragazza che stendeva panni sulla coperta della chiatta ferma in attesa che si aprissero le chiuse. Il sole che dorava le assi del letto dove aveva dormito con una donna di cui non era riuscito a comprendere la lingua. Il dialogo in una taverna di Turko-Limanon con il venditore di ciondoli miracolosi. Il corso del torrente il cui fragore spegneva la voce di quella donna delle piantagioni di caffè che sempre giungeva quando si era prosciugata ogni speranza. Il fuoco, sì, le fiamme che lambivano con sollecitudine immutabile le alte pareti di un castello in Moravia. L’urto dei bicchieri in un sordido bar dello Strand, dove seppe di quell’altro volto del male che si libera, lento e senza sorprese, di fronte all’indifferenza dei presenti. Il finto gemere di due vecchie meretrici che, nude e abbracciate, imitavano il logoro rito del desiderio in una stanzuccia di Istanbul le cui finestre davano sul Bosforo. gli occhi delle comparse guardavano verso le pareti macchiate mentre il khol scorreva sulle guance senza età. Un immaginario e lungo dialogo con il Principe di Viana e i piani del Gabbiere per un’azione in Provenza destinata a riscattare un’improbabile eredità dello sfortunato erede della casa di Aragona. Un certo scorrere delle parti di un’arma da fuoco quando è stata appena oliata dopo una minuziosa pulizia. Quella notte in cui il treno si fermò nell’ ardente avvallamento. Lo scandalo delle acque che colpivano le grandi pietre, appena intravviste alla lattea luce degli astri. Un pianto tra i bananeti. La solitudine che corrode come un ossido. L’esalazione vegetale che proveniva dalle tenebre. Tutte le storie e le frottole sul suo passato, accumulate fino a formare un altro essere, sempre presente e, naturalmente più mirabile della sua personale, pallida e vana esistenza fatta di nausee e di sogni. Uno scricchiolio del legno, che lo risvegliò nell’umido hotel di Rue du Rempart e, in piena notte, lo lasciò su quella sponda dove solo Dio rende conto dei nostri simili. Le palpebre che vibravano con l’autonoma prontezza di chi si sa ormai nelle mani della morte. Le palpebre dell’uomo che dovette uccidere, con ripugnanza e senza rancore, per conservare una femmina che ormai gli era insopportabile. Tutte le attese. Tutto il vuoto di quel tempo senza nome speso nella vacuità di azioni, incombenze, viaggi, giorni vuoti, itinerari sbagliati. Tutta quella vita a cui chiede ora, nell’ombra ferita da cui scivola verso la morte, un poco della sua non goduta materia, a cui crede di avere diritto.
|