Nick: Franti Oggetto: Sai (sapete)? Data: 13/3/2003 20.20.55 Visite: 31
Cazzo, da un bel po’ di tempo, sembra che per colpa mia o di qualcuno o di qualcosa, per chissà quale cazzo di incontro insomma, tutte le cose migliori sono diventate ex cose migliori. Mi hai (avete) spesso “catalogato” come qualcuno che si trova a suo agio a vagabondare in territori dai tratti sfuggenti, quasi sospeso tra realtà e sogno, tra età adulta e adolescenza, tra cinismo e tenerezza. Come qualcuno che rifiuti a priori tutte quelle parti che avrebbero potuto codificare e costringere il mio “personaggio” reale e no. Ma quale cazzo di personaggio, scusa (scusate)? Ma quale cazzo di codificazione, scusa (scusate)? Ma quali tratti sfuggenti dei miei ciglioni, scusa (scusate)? Ma quale cinismo, tenerezza, eccetera, scusa (scusate)? Ma è così strano sapere che si è banali banali? E’ così scandaloso? Che cazzo ci vuole a pensare, invece di codificare, che c’è qualcuno che sa come vuole essere? Certo, me ne rendo conto, so quanto possa parere difficile. Esserlo però, non pensarlo. Ma cazzo, credici (credeteci): il mio (Vostro) fare, il mio (Vostro) pensare, incoraggiava a realizzare me (Voi) stesso (stessi). Non a fare chissà che cosa, ma a raggiungere l’obiettivo fondamentale: essere soddisfatto di sé. E più banale di così che cazzo vuoi (volete) che ci sia? Ma perché non ti (vi) metti (mettete) seduto (seduti) e cantate a squarciagola Let it Beeeeee, Let it Beeeeeeee, Let it Beeeeeee, Let it Beeeeeeeee, che è così bella? E fa un sacco bene, sai (sapete)? E poi ti (vi) farà risparmiare i tediosi tentativi di catalogazione e di psicanalisi e di puttanate di questo genere. Sei strano, sai? Io? Ma vai, vai. Ma andate, andate. Certo un po’ strano lo sono. Ma lo sei anche tu. Lo siete pure voi. Ma è banale pure questa come cosa, no? Ad esempio adoro la musica. Quando avevo 10 anni mi divertivo a cantare dentro una galleria, in mezzo al traffico, con la testa che fuoriusciva dall’auto di mamma: era come avere intorno un’orchestra. Forse non sono molto allegro? Boh, credo il contrario, in verità. Ma ammesso pure che non sia molto allegro, hai (avete) bisogno di un altro venditore di felicità? Bah, contenti voi. Sei un ossesso? Osesso io? Ma quale ossessione. Non ho un’ossessione. Né, tanto meno, le scelgo lucidamente. Non decido coscientemente di vivere come uno psicopatico. Sono banale banale, cazzo. Non sono riducibile ad un cliché? E allora? Che cazzo significa? Nessuno è riducibile a un cliché. Lo si può fare con i personaggi, non con le persone. Le mosse, le parole sono prevedibili. Pure le tue, eh! Pure le vostre, eh! Non ti sbattere. Non vi sbattete. Ci siamo dentro tutti. Con coscienza o meno. Lavoro poco e scocciato. E quindi? Per il resto non faccio una cippa di cazzo. E quindi? Credi (credete) che sia da “originali”, questo? Io di una cosa son’ certo. Se fossi nato con gli occhi azzurri, la mia vita sarebbe stata completamente diversa. Sarei finito alla Bocconi, avrei messo su famiglia e adesso lavorerei in un’azienda di Belluno. Semmai come Product Manager. Che poi non so neppure cosa cazzo significhi, ma il suono di queste due paroline mi piace. Mi fa muovere gli ormoni, che mò cominciano a fare la Ola. Cazzo di frase è ” Un grande rimasto piccolo”, scusami (scusate), eh? Dai, vai vai e andate andate a fanculo per cortesia. Grosse difficoltà? Piccole difficoltà? Difficoltà normali? E allora? Mica mi nascondo dietro ad un dito. Lo so che quello che accade intorno è il frutto di quello che io stesso ho creato. Tranquillo (Tranquilli): non andrò mai in giro a cercare responsabili. Che bella la fortuna di vivere la “banalità” come un fuoco che arde dentro. Come dire, ecco, sì, è come un richiamo urgente che è sempre lì, pronto ad aiutarti. Credo siano le cose della vita ad alimentare questo fuoco. Anche se non mi troverò (non vi troverete) al centro dei riflettori, mi troverò (vi troverete), invece, sicuramente, al centro della mia (Vostra) banalita. Adesso? Nulla, sono fermo qui, in uno scorcio di inizio primavera o fine inverno tenero ed imbronciato a rovesci. Per quanto stropicciato da certi piccoli mali, che mi hanno scavato qualche ruga (in verità le mie rughe sulla fronte sono espressive) e fatto perdere i capell, non sono in cattiva forma: debole, questo si, per qualche colichetta renale, forse, ma lucido e con voce ferma. E non sono come dici tu (dite voi), con un’eccentricità stratosferica, il candore e l’entusiasmo di un bimbo, le intuizioni e la perspicacia di un genio Anzi, tutt’altro. Dicevi (dicevate) che la mia vita era (ed è) innestata su una serie di avventure sentimentali andate a male, il tutto per arrivare alla consapevolezza di essere un uomo pieno di un “male naturale”, insuperabile, ormai facente parte della sua persona. Ma chi te lo ha detto (ve lo ha detto), scusa? Io c’ho la capacità di ridere. Lo sai (sapete)? Te (Ve) ne sei (siete) mai accorto (accorti)? Rido di tutto. E’ poco? E non hai (avete) capito un cazzo. La risata non offende il dolore, semplicemente lo spaventa, lo sbaraglia, lo sorprende. Disilluso (Disillusi sei (siete) e disilluso (disillusi) resterai (resterete). Ma ti (vi) voglio bene uguale. Ecco, lo scrivo pure per esteso. TiViVoglioBeneLoStesso. Non so cosa dirti (dirvi), sai? Le persone dovrebbero capire di essere vive e che la vita gli appartiene. Non possono essere nient’altro da quello che sono. Ci sforziamo ogni giorno di cambiare noi stessi e di cambiare gli altri: non è assolutamente il caso. Ci sto provando. Dammi (datemi) tempo. Oppure, se sei (siete) impaziente (impazienti) vai (andate) via. Amore, odio, odio, amore, amore, odio e poi ancora odio e ancora amore. Che palle ‘sta cosa dell’amore, dell’odio. Ma ti rendi (vi rendete) conto che l’odio e l’amore finalizzati diventano inutili? Sia l’odio che l’amore dovrebbero essere dei concetti privi di scopo per essere vissuti intensamente. E tu (voi) che fai (fate)? Vai, rimandiamo tutto al cliché, alle aspettative. Ma vai (andate) a prendervi una Coca Cola, dai. Mi contraddico spesso? E’ vero, hai (avete) ragione. Specie quando penso che quando tornerò in questa vita, tornerò come l’uomo che ho sempre sognato di essere. Però sono una persona. Un essere umano, eh! E in fondo esiste in ognuno di noi, nella nostra testa, un’altra persona più serena e più felice di ciò che realmente siamo. Io non lo so cosa vuoi (volete) ma me, da te o da voi. Io so solo che sono vivo. Un po’ esaurito e senza un cazzo da fare. Sopravvivere credo si chiami. Lasciarsi scivolare senza aspettarsi niente. Tutto qui. E che c’è di male? Si fa del male a qualcuno, così? Ho da un po’ di tempo abbandonato questo lavoro di merda? E allora? Odio coloro che credono, con il lavoro, di “aver svoltato meglio”, difendendo le proprie scelte con una calvizie o una famiglia da incubo. Abbi (abbiate) pazienza, ma è impraticabile. Non sopporto l’attitudine al comando e l’atteggiamento arrivista: E questo, se permetti (permettete) è una inequivocabile constatazione. Sai (sapete) come si fa ad odiare certe cose? Sai (sapere) come si fa ad odiare i colleghi? Tutti che vivono nel terrore di quelli che gli stanno intorno, sanno qualche formuletta di settore e si fanno le scarpe sul lavoro. Con il walkman impastato ai timpani, le gambe saltellanti, il culo rigido, uno schiocco di dita, la bocca aperta e così via. Ma dai! E poi, sulla scrivania, al telefono, al computer. Si corre da un posto all’altro alla forsennata velocità di una fuga più lontano possibile dall’angoscia. Ci sono capitato pure io, sai (sapete)? Nei rari momenti di pausa mi mettevo le mani in faccia e la stropicciavo. Chiudevo gli occhi muovendo in senso circolare i palmi sulle orecchie, riproducendo uno strano rumore. Una chiamata, una busta, qualche cazzata del genere e venivo richiamato bruscamente al ligio dovere. Un po’ come quindici anni fa, quando cantavo in una piccola band del mio paesello. Un po’ di concerti, un nastro autoprodotto e niente. Po, dopo, solo paranoie. Soldi che bisognava tirare fuori per un disco mai uscito e per l’impianto voci, una specie di sala di registrazione per provare a fare qualche giro di chitarra ma subito dopo era scazzo, per l’amico stronzo che si scocciava o per la musica diventata “troppo vecchia”. Nessuno si preoccupava più del perché suonavano ancora insieme. Così piano piano, le prospettive avevano perduto ogni attrattiva. Così, siamo cresciuti e, una volta mollato il colpo, anche gli altri si sono messi a studiare di più, a laurearsi e a lavorare. Peggio dei cani. Convinti di fare un lavoro creativo, appreso proprio nei tempi passati, come nel gruppo. E adesso sono stanco. Stanco di essere richiamato allo stress. A casa la solita bolletta nella casella e zero telefonate in segreteria. Il telecomando, zapping assicurato per le prossime tre ore, quattro salti in padella Findus ed una bottiglia di vino. Vai (andate) a fare in culo. Con cortesia ve lo dico, ma vacci (andateci) lo stesso. Sulle donne poi. Cazzo quante ne ho sentite. Tutte balle. Una donna è interessante per te fino a quando ha fantasie erotiche, fin quando si mette in un letto o su un divano e non per russare. Finita la passione entri in una gabbia di tradimenti, di pazzia, di insulti, di incomprensioni. Così mi si diceva. Beh, vero, questa cosa mi è successa due o tre volte, come con A.: un’infinità di litigi, di botte, di lanci di bottiglie, di ricatti, di persecuzioni. Ma non è mica solo così, sai (sapete)? Altre volte i rapporti con il gentil sesso sono stati vissuti con lo spettro della sconfitta sulle spalle. Fissavo per ore una donna in un bar, ma me ne innamorava quando lei andava via. Oppure quando io dicevo “Ti amo”, lei scappava. E mi addossavo tutte le colpe, invece di costruire dalle fondamenta un rapporto mancato. O un qualcosa simile a un rapporto, ad una relazione insomma. Ma ho anche vissuto momenti bellissimi, sai (sapete)? Altro che sconfitte. Son’ stati trionfi. E che trionfi. Mi prendevi (prendevate) spesso in giro, accusandomi di essere egocentrico e di dire un casino di bugie. Io mi divertivo. Questo non mi è mai interessato. Egocentrico lo sono, è vero. In quanto alle bugie, beh se ci pensi (pensate) bene, in fondo in una buona bugia c’è sempre una dose di verità. Basti pensare a tutte quelle persone che costruiscono ed espandono fatti realmente accaduti alle loro vite: sono verità o bugie? Si costruiscono intere esistenze su fatti mai accaduti o, comunque, travisati. E poi, come già ti (vi) ho detto, adesso, col passar’ degli anni le cose sono più brutte. E’ innegabile, dai. O almeno così mi pare. Il funzionamento delle cose che sono immediatamente vita, pensandoci bene, mi sembra molto volgare, e allora a me va senz’altro bene la finzione assoluta. L’ho già detto e scritto. “I always wanted new surroundings…A room to rent while the lizards lay lying in the heat…trying to remember who to meet…” Questo disco mi parla di lucertole e stanze in affitto. Mi pare che siano i Doors. Io, dal canto mio, sento questa canzone e non riesco a farmi un’idea su quello che è successo in questi anni e in quest’ultimo periodo. Ma non è che me ne freghi un granchè. Voglio soltanto continuare ad ascoltare quella canzone, vedere se le lucertole riescono a tornare a casa. Che palle a volte, sai (sapete)? Su “questo” hai (avete) ragione. Vado a letto con il mio cruccio e la mattina lo ritrovo di nuovo lì, nel mio cervello. Come quelle notti in cui ci si sente su e quando arriva il mattino si comincia a sentire che ciò che ci ha tenuto su fino ad allora inizia a scendere. Allora tutto ciò che si vorrebbe è una persona amica che ci abbracci, e quelle poche volte che succede davvero, allora quello è un “mattino puro”. Cazzo, è da un po’ che non vivo una notte su e un mattino puro. Già, la mattina, a volte mi sveglio, mi alzo e le cose importanti non sono le stesse della sera prima. E’ da un bel po’ di tempo che la mattina mi sveglio prestissimo. Mi lavo, non posso pettinarmi purtroppo ( o per fortuna), mi faccio la barba, indosso una camicia bianca e mi guardo allo specchio. E c’è ancora, cazzarola. La mia faccia è ancora lì, liscia e bianca come un fantasma. E, come un fantasma, infesta lo specchio. Si nutre di luce e vive nel vetro. Non vuole andarsene. Per fortuna, dai. Sono contento. Gli specchi sono la sua casa e io lo so. Cosa so? So che una faccia del genere può andare in un sacco di posti. Mi torna sempre utile questa faccia. Che bella cosa. Vorrei che la mia donna fosse in dolce attesa. Di una femminuccia. Come l’avrei chiamata? Secondo molti dovrei chiamarla Monica. Monica. Un nome che mi porta veramente indietro. La mia prima fidanzatina si chiamava Monica. E poi, se ci pensate, un tempo, tutte le ragazze che valeva la pena di portarsi a letto si chiamavano Monica. Accendevi la televisione e c’era sempre qualche valletta che diceva di chiamarsi Monica. Perfino le ragazze che non si conoscevano, quelle che si incontravano nei corridoi dei supermercati avevano l’aria di chiamarsi Monica. Vent’anni prima, Monica era il nome giusto. Vent’anni prima, due genitori senza faccia si erano seduti intorno ad un tavolo, in una cucina di quella via ed avevano detto: “Come la chiameremo se sarà una femmina?”. “La chiameremo Monica”. Certo. Monica andava bene. Ma vent’anni prima. Adesso, forse, il nome giusto per una femminuccia era un altro. Quale? Mah, di certo un nome che cominciasse per M. Come il nome di Lei…. O per A.? O per F…. Già, proprio per F.! Francesca. Che bel' nome. Per molti sono scomparso a ventotto anni e la gente intorno a me si è già rassegnata. E ci sono cose che non posso calcolare perché ancora non le ho fatte. Non mi sono sposato, non ho avuto un figlio, e da sette anni e mezzo, da quando mi sono laureato, faccio più o meno le stesse cose e più o meno negli stessi posti. Non è poi molto importante ormai, quello che sono stato e quello che avrei potuto essere. Conta quello che sono: un campo di battaglia. E, insieme, i due eserciti che ci combattono sopra. Ma quando mai! Ma come cazzo fai (fate) a dire certe puttanate? Ma come sei (siete) presuntuoso (presuntuosi) a pensare te (voi) per me, per come sono io. Ma come cazzo fai (fate), oh? Però, quando mi disse così, una "qualcuna" diventò rossa. Già, qualcuna è diventata rossa. Ha socchiuso gli occhi, voleva chiedere scusa, lo so. Però non l’ha fatto. Peccato. Mi avrebbe fatto piacere uno "Scusa" appena pronunciato. È stata brava, in compenso. Ha allungato la mano verso il bicchiere che avevo di fronte e l’ha afferrato per porgermelo. Le sue dita si sono strette attorno al vetro e tutto, bicchiere e dita, si è avvicinato a me. Avrei voluto bere anche la sua mano insieme all’acqua. Ma mi rompevo le palle. Non ne valeva la pena. Ho bevuto solo l’acqua. Ho bevuto a piccoli sorsi, mentre i suoi occhi continuavano ad essere inquieti. Non riusciva a decidere se doveva essere allegra oppure triste. Mi spiace che sia così triste questo posto. Così ho detto. Lei ha sorriso, finalmente. Bah! Occorreva parlare di tristezza per un sorriso. Non ci capisco più nulla. Ma andate, andate, dai. Ecco. Caro amico, amica, amici insomma, tra poco brinderemo alle cose belle e niente sarà più lo stesso. Il tempo delle pagliacciate è finito, cari miei. È stato bello finché è durato e sono sicuro, caro Piero, che per un momento hai pensato che potesse durare in eterno. Ti sbagliavi. Prima o poi i nodi vengono al pettine. Prima o poi arriva sempre qualcuno con in mano una ricevuta che non ti ricordavi neppure di aver firmato. Entra in casa tua e rivuole indietro i soldi. Magari ci mette degli anni per arrivare, ma arriva. Sempre. E si riprende i soldi! E tu daglieli e fottitene. Ci saranno altri modi per rifarsi e per guadagnarne di altri. Se apro questo cassetto della scrivania e prendo questo vecchio astuccio, posso tirare fuori una foto che ritrae Piero, vecchia di quindici anni. È “in posa” chiaramente. Ha 18 anni e la sua vita sembra cominciare lì. Sembra guardare se stesso più vecchio di quindici anni, tra lo stranito e il pensoso, appoggiato ad un muro grezzo. La mano sinistra a metà nella tasca, la spalla destra che sorregge una giacca di velluto. Porta una maglione nero, a collo alto. Sulla sinistra un pino scuro fa da contrappeso al muro chiaro, come la faccia affilata e malinconica esce fuori sotto i capelli ricci che adesso han’ lasciato spazio alla pelata. È “in posa” chiaramente. Ha 18 anni e la sua vita sembra cominciare lì. Prendere sonno, pure stanotte, non sarà facile, caro (cari) mio (miei): prima o poi ci incontreremo e le cose che dovrò dirti (dirvi) o farti (farvi) mi rendono nervoso. Ora che ti (vi) ho visto “meglio” non mi sento più così triste. Forse dovrei lasciarti (lasciarvi) in pace. Lasciarti (lasciarvi) camminare, non tediarti (tediarvi) con questi cazzo di pensieri stani, lasciarti (lasciarvi) galleggiare. Lasciarti (lasciarvi) innamorare di qualcun altro, forse. In verità, lascia (lasciate) a me questa possibilità. Io non sono una persona cattiva, credimi (credetemi), mi piacciono le cose belle e tutto il resto. Presto mi addormenterò e sognerò un viso truccato che mi sorride. Ma ora, mentre sono ancora sveglio, sudato, quanto mi piace immaginarti (immaginarvi) solo (soli) e triste e disperato (disperato). Scusami (scusatemi). Del resto non so neppure se ci sei (siete) più. Le mie parole sono come sassii, precisi e aguzzi, pronti da scagliare. Cazzo, verissimo, sai (sapete)? Avevi (avevate) ragione, sai (sapete)? Scusami e scusatemi. Non l’ho fatto apposta. Davvero. Capita. Au revoir. Vittorio Emanuele P.S. – Non v’è alcun riferimento a persone. P.S.2 – Grazie al Collage, al Copia&Incolla, a “Il Diavolo Che Canta”, a Blackbird e a Let It Be dei Beatles, a John Coltrane, a Matteo, ai Diaframma, a Elaine Suicide e Abraham Yesterday, a Mary, a Ciro, a Neverland, a Caciucco, Andrea Luk4s, Sergio h. e i “mezzucci”, Marisa e F&V, Antonello, Marco, Vica e sua mamma, Martina, Rita, Flora, Ivano e Flavia, a Evi|Arma, a Graziano Biglia e Pietro Moroni, a Maura, a Pacifico e alle mia parole che sono come sassi, al mio cappello di lana grigia, al mio midollo da donare e alla ragazza di Cerignola. P.S.3 – N’at’ vot’ meglio dell’analisi. P.S.4 – Non considerate il P.S.3.
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