Nick: Viol4 Oggetto: detenuti-scrittori Data: 28/4/2003 21.18.3 Visite: 15
Su "Il Venerdì" di "la Repubblica" c'è un bell'articolo sui detenuti che iniziano a scrivere in carcere, ne ho preso alcuni brani: "Nazzareno "Neno" Zambotti.... rifiutato dal padre, ipocritamente affidato dalla amdre alla pelosa solidarietà di monache ed istitutrici, scala sin dalla più tenera infanzia il cursus honorum che rappresenta il percorso obbligato delle vite partite col piede sbagliato... ladro, ricettatore, autore di spettacolari bravate, eppure pervaso da un bruciante desiderio di amare ed essere amato... cerca faticosamente di rimettersi in carreggiata. E ce la farebbe, se un giorno non incontrasse Nina, una bellissima danzatrice inguaribilmente eroinomane. perdutamente innamorato, x lei diventerà spacciatore finendo risucchiato da qul mondo criminale al quale stava disperatamente cercando di sfuggire.... questa x grandi linee l'autobiografia del vero Nazzareno Zambotti ("Perchè non sono diventato un serial killer", Einaudi, Stilelibero). C'è una legge che incombe sulla Letteratura criminale e penitenziaria degli ultimi due secoli. La legge dell'autocommiserazione. "Ero nato con tutte le qualità che possono rendere un individuo felice e inserirlo a piano merito nella società. E'colpa mia se sono stato obbligato a rinunciarvi?", scriveva il giovane poeta e assassino Pierre Lacenaire nel 1835, pochi giorni prima di essere ghigliottinato per duplice omicidio. "Fui molto disgraziato, e il crudo destino non ebbe mai commmiserazione di me; mai si stancò di perseguitarmi, e dalla culla alla tomba mi fu e mi sarà un continuo maririo questa vita miserabile e triste", si lamentava il capomafia Antonino M:, falsario, assassino e fratricida, autore di quel "Romanzo di un delinquente nato" che rivelò alla società di fine '800 riti, miti e gerarchie dell'inesplorato mondo criminale. Edward Bunker rilancia: il bandito è un "angelo caduto", un eroe negativo costretto a difendersi da un sistema capace di infamie infinitamente superiori ai piccoli crimini che si affretta a sanzionare con astioso rigore. Intendiamoci: chi finisce ai margini ha quasi sempre più di una buona ragione per recriminare, visto che le Istituzioni, quando ci si mettono,riescono a toccare vertici di sublime stupidità. Che il carcere poi, per quanto ci si sforzi di renderlo umano e "democratico", sia lo strumento più adatto a favorire il reinserimento sociale del condannato, è tutto da dimostrare. In tempi, infine, in cui si blatera di "tolleranza zero" e c'è chi propone di importare dal sistema americano la barbarica "regola del tre" (al terzo delitto ergastolo), una voce "alternativa" come quella di Zambotti non può che provocare una sana riflessione. Ma individuare l'origine del crimine nel disagio affettivo e materiale e giustificare il delitto come una sorta di reazione obbligata all'oppressione sociale significa raccontare solo una parte della realtà. la costellazione antropologica dell'"uomo delinquente" è di gran lunga più complessa e profonda. Si nutre sì di percorsi obbligati, ma anche di amore per il rischio e la trasgressione: in altri termini, è una scelta di vita. Sbagliata, catastrofica, tragica fin che si vuole, ma pur sempre una scelta: e come tale non riservata esclusivamente a chi patì un'infanzia disagiata o la povertà, ma possibile per chiunque.... Zambotti ne è felicemente consapevole: non a caso le parti più convincenti coincidono con i momenti in cui l'autore getta la maschera, e ci fa toccare con mano la vita di un ragazzo che ha scelto orgogliosamente di "entrare nelle notti dopo albe faticosamente conquistate". Affiorano così la rivendicata indipendenza dalle regole, la gioiosa fratellanza della strada, con il suo acre senso dell'umorismo e i suoi riti iniziatici, la solidarietà e l'arcaico, solido senso dell'onore di una malavita ancora non globalizzata. Ci vengono restituiti umori persi nella feroce mutazione genetica che dalla metà degli anni '70 travolge i coatti di un tempo, e che Zambotti fotografa con lucida passione nella storia d'amore con la "tossica" Nina. E' l'Eroina la protagonista occulta di questa storia aspra e disperata, la Sorella Bianca che, come un'inesorabile livella democratica e interclassista, affratellerà borgate e quartieri residenziali, decimando un'intera generazione....... la forza di questo genere di narrazione sta proprio nell'ambiguo percorso che corre sul confine fra la necessità di giustificare il proprio passato e la sua orgogliosa rivendicazione, nel costante moto dalla periferia al centro, dalla libertà alle sbarre, e viceversa. Abbiamo sotto gli occhi il rovescio della medaglia, il lato oscuro delle nostre ordinate esistenze. E quella parte di noi che, nonostante tutto, avverte il fascino del Male è chiamata, piaccia o no, a fare i conti con questa materia tenera e brutale, avvincente e perturbante." G.de Cataldo
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