Nick: VANIGLIA Oggetto: Gli anni di piombo... Data: 30/4/2003 12.25.17 Visite: 7
2 maggio 2003 - ore 17.00 Aula Magna Leopoldo Massimilla del Politecnico Facoltà di Ingegneria - P.le Tecchio - Furigrotta In occasione del 25° anniversario del rapimento e della morte dell'On.le Aldo Moro la Coop.Crasc in collaborazione con il Comune di Napoli - Consiglio Circoscrizionale di Fuorigrotta presenta un evento in memoria dell'uomo politico teso alla riflessione e al dibattito sulla situazione sociale e politica dei cosidetti "anni di piombo" Dopo lo spettacolo ci sarà una tavola rotonda introduce: CLELIA MODESI testimonianze: ROSA RUSSO IERVOLINO, ERSILIA SALVATO partecipano: GERARDO BIANCO, FULVIO TESSITORE modera: ERMANNO CORSI (Lo spettacolo è gratuito,e la tavola rotonda aperta a tutti ) QUESTA E' LA SCHEDA DELLO SPETTACOLO... La storia di “Noi due nella rabbia” si diparte dal rapimento di Aldo Moro. I protagonisti sono Libero e Francesca. Due facce della stessa medaglia: entrambi hanno partecipato al rapimento, ma all’analisi dell’accaduto assumono posizioni ideologiche diverse. Il primo, sostenendo la necessità delle morti causate dall’azione, insiste sull’urgenza e l’indispensabilità di una cruenta lotta armata che identifica il nemico nel “diverso da sé”. La seconda sceglie un percorso armato più selettivo, non escludendo un inserimento all’interno del “sistema” per cercare di rovesciarne i termini. Per il nuovo percorso che la colonna sta per intraprendere, quello cioè sostenuto da Francesca, Libero è probabilmente un ostacolo se non un pericolo vero e proprio. Francesca aspetta una telefonata della direzione della colonna per sapere se Libero deve essere eliminato. L’attrazione e forse l’amore che i due provano, lottando a volte contro se stessi per perseguire i propri ideali, è ulteriore elemento rafforzativo della differente posizione politica. In un’unica stanza, luogo di violenza e di dolcezza, trascorrono ore interminabili di parole, sguardi, minacce e poesia nell’attesa dello squillo del telefono che deciderà la sorte di Libero. Lo spettacolo si dipana contemporaneamente su tre livelli: la rappresentazione fatta dagli attori, la storia con i suoi personaggi, l’enunciato politico. Schiacciati dallo sfruttamento dei loro sogni e dal peso delle loro sconfitte (incombenti). Disillusi, pur se non senza speranza, i personaggi di questa storia, urlano il tragico quotidiano, provando ad uscire dal “labirinto” mediante improbabili vicinanze. Personaggi di uno scenario italiano nel quale vivono e si rincorrono “storie di Storia”: dagli anni di piombo a mani pulite e oltre… I personaggi si incontrano in un territorio e uno scenario dove vittime e carnefici sono ambedue chiusi in una prigione che li conduce inevitabilmente ad una sconfitta storica, morale, personale; scoprono sempre più di essere “Prigionieri di un labirinto” che probabilmente non ha uscite valide, salvo uscite che conducono in ulteriori labirinti. Comunque vada, qualunque sia l’epilogo di questa storia, della Storia, il senso di un’impossibilità di “uscire dal gioco” incombe. Alcune generazioni hanno il privilegio, talvolta macabro, di rappresentare un’epoca. La ragione di tale successo o in-successo (a seconda di come volge lo sguardo), oltre a circostanze geografiche-politiche-storiche, è da attribuire all’utilizzo di linguaggi che associano suggestioni e referenze del passato a nuovi scenari in grado di stimolare l’immaginario collettivo. Non mette conto giudicare, interpretare un’epoca, bisognerebbe essere in grado di viverla emozionalmente proiettati in un improbabile viaggio nel tempo. E’ forse il teatro il luogo in grado di fare questo “miracolo”? In grado di far rivivere le sensazioni di una generazione sia come spunto per un autoanalisi degli “scampati” a quel periodo (protagonisti attivi o passivi) che per comunicarle ad un’attuale realtà giovanile ignara di un passato che ha generato gran parte del loro essere attuale. Sogni, speranze, vittorie, sconfitte di oggi affondano radici in un passato prossimo che come un parente scomodo viene spesso relegato all’oblio o peggio a “citazioni” scollegate dal contesto che l’hanno generate. Resta valido il monito che ci comunica una scritta sui muri di Auschwitz “Chi ignora la storia sarà condannato a riviverla”. Non resta forse che fermarci e cercare di usare un sguardo critico, sicuramente non distruttivo nei confronti di un’epoca che pur partendo da grandi sogni e speranze ha generato prevalentemente morti e mostri, e aspirare alla riconquista di quei sogni e quelle speranze per proiettarle in positivo in un nuovo contesto. ”…se dovessimo incontrarci di nuovo e dove e quando non importa, prova a ridere… il riso allontana il buio, allontana l’idea della morte” A tal proposito mi ritorna in mente una frase di Nike Saint de Phalle: “Sparavo sui Generali, sulla Chiesa, sulla Famiglia, …Ora ho capito che nulla è più rivoluzionario della gioia”.
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