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Nick: Chapline
Oggetto: Chinaski77
Data: 19/7/2005 1.7.13
Visite: 177

L'inferno può attendere

Signor Bosnam, lei ha una brutta tosse.
Più o meno cominciò così, la mia discesa all'inferno. Il mio medico se ne stava perplesso a guardare le lastre in controluce.
"C'è qualcosa che non va, dottore?"
Proruppe in una risata.
"Qualcosa che non va? Stando a quanto vedo, lei dovrebbe essere già morto."
Poi mi sembrò di sentirlo borbottare divertito: "Eheh...qualcosa che non va...."
La situazione mi sembrava surreale. Possibile che quell'uomo fosse un tale mostro?
Cercai di litigare, ma lui si accese una sigaretta, mi sbuffò una nuvola di fumo negli occhi, e disse:
"Signor Bosnam, sa quanti pazienti ho?"
"Ehm...non saprei proprio."
"Tanti. Se dovessi prendere a cuore ciascuno di loro, la mia vita sarebbe un calvario..."
In fondo aveva una sua limpida logica.
Così, mi rassegnai all'idea di non avere un medico compassionevole. Questo momento me l'ero immaginato più volte, ma ora che mi ritrovavo a viverlo sul serio, c'era qualche sottile differenza. Gli chiesi che cosa dovessi fare.
"Fare? Oh, niente, suppongo." Fece una pausa teatrale, poi riprese grattandosi la fronte: "Forse aspettare, e risolvere le questioni in sospeso. Tutti abbiamo delle questioni in sospeso, signor Bosnam. Certo, potrebbe stramazzare al suolo in qualsiasi momento, per quanto ne so; ma lei deve andare avanti come niente fosse."
"Scusi?"
"Sì, insomma, lei è stato fortunato, in fin dei conti. Non sentirà alcun dolore."
Mi descrisse la mia morte.
In pratica, al momento buono, avrei perso i sensi, cadendo in un coma quasi irreversibile.
"Quasi?"
"Sì, quasi. In effetti, dovrebbe riprendere coscienza per via del soffocamento."
"Soffocamento?"
"Ehi, c'è per caso una forte eco nel mio studio? Soffocamento, signor Bosnam. Quando i suoi polmoni smetteranno di pompare aria. Lei si sveglierà giusto in tempo per il trapasso."
"Ma aveva detto che non sentirò alcun dolore..."
Alzo delicatamente un sopracciglio.
"Era tanto per dire."
Mi diede qualche pasticca e mi lasciò andare.
Avevo ventiquattro anni suonati, e stavo per morire. Secondo una stima molto sommaria, mi rimaneva qualche giorno, prima di andare al tappeto.
Una volta in strada, guardai il cielo terso.
Mi accesi una sigaretta e rimasi un momento perplesso. Mi sentii subito debole. Forse avevo anche meno di qualche giorno. Forse avevo qualche minuto.
Qualche?
Senza accorgermene, mi ritrovai steso a terra, lo sguardo fisso nel vuoto. Sentivo in lontananza delle voci, tra cui quella di una donna di cui non riuscivo a ricordare il nome. Passava di lì per caso, non lo so. Poi provai la stessa sensazione di quando si è nel dormiveglia, e alla fine, più niente.
Non mi svegliai per vedermi soffocare. Non mi svegliai più.
Ora vi chiederete come posso essere qui a scrivere queste parole. Non le sto scrivendo.
Dubiterete del fatto che io sia morto.
Va bene, lo capisco.
In ogni caso, ora devo ammetterlo, l'aldilà esiste, e assomiglia terribilmente ad un ospedale.
Mi ritrovai in un corridoio bianco e pieno di gente. Non avevo mai visto così tante persone tutte insieme, a parte quella volta in quell'autodromo, quando finalmente ci riuscì di vincere il titolo. Ma se allora mi sentivo in paradiso, adesso avevo un leggero sospetto. Mi alzai per farmi un giro.
Erano tutti molto tranquilli. Alcuni seduti su bianche sedie di plastica, altri per terra, altri semplicemente a zonzo, come il sottoscritto. Ma in ogni caso c'era un certo silenzio, e forse per il fatto che eravamo tutti morti, sapevamo di esserlo e in fondo, non potevamo lamentarci.
Quella fu una rivelazione. Fino a che sei vivo, ti porti dentro un'angoscia costante, latente, che ti accompagna nella buona e nella cattiva sorte. Perchè sai che un giorno arriverà quel giorno, quando tutti saranno vestiti di nero.
Ma poi quel giorno arriva, e non è niente di speciale. Io neanche me n'ero accorto. E ti ritrovi in un corridoio, in perfetta forma, e assoluta coscienza, ma finalmente tranquillo, perchè ormai te lo senti nelle vene, che niente potrà più andare storto. Fu davvero molto gradevole, essere morto.
In fondo al corridoio, c'era una porticina. Di tanto in tanto, usciva una graziosa ragazza, vestita come un'infermiera, che chiamava un nome ad alta voce. Al che, come potrete immaginare, il nome corrispondente spegneva la sigaretta, si dava una stirata, e scompariva per sempre dalla nostra vista. Non fui particolarmente preoccupato da quello che poteva succedere, una volta varcata quella soglia. In ogni caso, ero propenso ad immaginare che a ciascuno di noi venisse assegnata una branda, un gabinetto, e qualche libro per ammazzare il tempo. Era una specie d'intuizione.
Alla fine mi vennero a chiamare. Era sempre la stessa ragazza.
"Harry Bosnam?"
"Sì?"
"Venga, tocca a lei."
Le andai dietro senza fare domande. Gli altri mi guardavano distrattamente. Riconobbi il mio vecchio insegnante delle elementari. Curioso che ce ne fossimo andati lo stesso giorno. Lui fece finta di non vedermi, ma non gliene feci una colpa.
Mi portarono in un ufficio, dove c'era soltanto una scrivania, un portatile, e un uomo con un completo firmato. Stava parlando al cellulare.
Mi sedetti di fronte a lui, e ci lasciarono soli.
Parlava in una lingua straniera, forse francese, ma non mi interessava. Probabilmente era il diavolo in persona.
Quando ebbe finito, mi diede un'occhiata stanca, e poi si mise a scartabellare.
"Lei è il signor Harry Bosnam, giusto?"
"Sì."
"Lei è morto, lo sa?"
"L'avevo immaginato."
"Bene. Questo renderà tutto più facile."
Rimase a lungo in silenzio. Stava leggendo dei fogli che con tutta probabillità mi riguardavano.
Divenni curioso, e non potei fare a meno di domandargli:
"Lei è per caso..."
"No."
"Ah."
"Io sono il suo avvocato."
Scoppiai a ridere. Era una situazione molto buffa. Poi feci due più due, e arrivai alla conclusione che il fatto di avere un avvocato, non era una buona notizia come poteva sembrare. Qualcuno voleva farmi la pelle.
"Avvocato? Ci sarà un processo?"
"A suo carico."
"Per decidere se finirò all'inferno, oppure..."
"Lei è già all'inferno, signor Bosnam."
Mi passò la voglia di scherzare. Non mi sembrava di aver mai fatto nulla di male. Glielo feci notare.
"Stavo giusto dando un'occhiata al suo fascicolo, signor Bosnam. Ora, io consiglio di tentare la via del patteggiamento, ammetta le sue colpe e cerchi di limitare i danni..."
"Mi scusi, ho le idee un po' confuse."
Si lasciò andare sullo schienale della poltrona, e si accese un sigaro. Poi cercò di farmi capire.
"Lei è ateo, quindi è stato assegnato all'inferno, e all'inferno rimmarrà per il resto dei giorni che le rimangono da vivere. Questo deve accettarlo più in fretta che può, mi dia retta."
"Capisco. E a quanto ammontano i giorni che mi restano da vivere?"
"Non si muore due volte, signor Bosnam."
"Bene."
"Dunque, il processo è una breve formalità, solitamente. Serve per decidere le pene da infliggerle. Una volta scontate le sue pene, verrà condotto in una stanza, dove rimarrà a tempo indeterminato. Ogni tanto ci sono delle amnistie, ma io non ci conterei troppo, nel suo caso. Quello che noi dobbiamo fare, è cercare di ottenere un po' di clemenza. Di gente come lei qui se ne vede molta, come potrà immaginare."
"Che tipo di pene?"
"Lo scoprirà. Avrà tutte le assistenze mediche necessarie, in ogni caso."
L'angoscia ritornò di colpo. Preferivo essere vivo e aver paura di morire, che morire e aver paura d'essere vivo.
Spense il sigaro in un posacenere di marmo, e concluse.
"Noi ci rivedremo un paio di volte, per preparare il suo caso. Dopodichè, non ci rivedremo più."
"In che consiste il processo, mi scusi?"
"Ci sarà un tizio che le farà delle domande."
"Un tizio? Per caso si tratta del..."
"No."
"Ah."
Lo salutai e mi feci condurre al mio alloggio. Era un'altra stanza esattamente come quella in cui ero stato. Bianca e vuota. Solo che qui, al posto della scrivania c'era un letto a due piazze. Nessun gabinetto. Venni a sapere che non mi avrebbero dato da mangiare, nè da bere. In fondo c'erano alcuni vantaggi, nell'essere un'anima dannata.
Il mio avvocato non si fece più vedere, ma immaginai che avesse molto da fare. Pensai comunque di potermi difendere da solo, anche perchè, per quanto mi sforzassi, non mi veniva in mente d'aver commesso una sola cattiva azione. Ma potevo sbagliarmi.
Col passare del tempo, mi resi conto che il letto era inutile quanto il gabinetto che non c'era. Non mi venne mai nemmeno da sbadigliare. Mi portarono delle riviste, che tra l'altro avevano la data successiva alla mia morte. Mi chiesi dove le avessero prese. Chiesi anche a che serviva il letto, era una cosa che mi faceva impazzire.
Mi risposero che a volte la noia può diventare insopportabile.
Alla fine arrivò il giorno buono. Mi vennero a prendere e mi portarono in un'altra stanza assolutamente identica a tutte le altre. Dentro c'era un uomo vestito di nero.
Mi fecero sedere davanti a lui. La sedia su cui stavo, era tutto il mobilio presente.
Lui cominciò a passeggiarmi davanti, nervosamente, scartabellando, di nuovo.
"Allora, signor Bosnam, è nervoso?"
Forse voleva mettermi a mio agio, lo apprezzai molto.
"Sì, decisamente."
"Capisco. Allora, qui nessuno vuole fregarla, questo dev'essere chiaro. Lei avrà nè più nè meno ciò che le spetta. Ad ogni modo, ci sono questioni su cui vorrei sentire la sua opinione, per evitare di commettere errori."
"D'accordo. Mi sembra giusto."
Mi aspettavo che cominciasse con un elenco di tutte le mie cattive azioni, e invece cominciò con questioni di ordine etico e metafisico. Rimasi completamente spiazzato. Ma ero preparato. Voglio dire, negli anni in cui era stato iscritto all'università, avevo trovato il tempo di sostenere qualche esame, per cui sapevo come ribattere a certi argomenti.
Per quel che si capiva, la mia colpa peggiore era di essermi professato ateo. Potevo capirli. Decisi di fare qualche domanda anch'io.
"Mi scusi, ma lei vorrebbe dirmi che mi trovo nell'aldilà cristiano?"
La sua risata fu fragorosa. Poi tornò improvvisamente serio. Era un ottimo teatrante.
"Certo."
"Ma cristiano come?"
"Cristiano cattolico."
"E che fate ai protestanti?"
"Più o meno quello che faremo a lei."
"Ah."
Non è che avessi molte vie di fuga. Insomma, gli dissi che ero sempre stato ateo, e che soltanto dopo la morte mi ero reso conto del mio errore, ma questo non poteva bastare. Parve molto interessato alle mie posizioni etiche.
"Dunque lei ha spesso sostenuto che, cito testualmente- i valori morali sono invenzioni dell'uomo, pure convenzioni, etc, etc...-".
Testualmente. Ero fottuto.
"Sì, ma era più che altro per fare l'originale. In realtà ho sempre avuto una certa fibra..."
"Per favore..."
Più andavamo avanti, più mi era chiara una cosa. In realtà, quello non era un processo. Probabilmente avevano già deciso la pena da infliggermi. Quello era solo un modo per rammentarmi tutti gli errori commessi. Volevano che io ripensassi per l'eternità a quanto ero stato stupido. Mi sembrava eccessivamente crudele, anche per un posto come quello.
Gli feci presente che se io dovevo essere punito per la mia condotta e le mie idee, che cosa sarebbe capitato a gente come gli assassini, i tiranni, i ladri e i falsi preti? La sua risposta fu lapidaria.
"Più o meno quello che faremo a lei."
"Ma a che serve allora questo processo?"
"Serve a rammentarle per l'eternità quanto è stato stupido, e poi noi ci divertiamo un mondo, con quelli come lei. Avete fatto i gradassi finchè non vi avevamo a tiro, ma poi finite tutti quaggìù, e non immagina quanto sia gratificante, strapparvi la lingua a morsi."
"E' un modo di dire, spero..."
"No. In effetti è una delle prime cose che faremo. Le strapperemo la lingua a morsi."
"Ma io sono un'anima, come posso sentire dolore?"
Prima che finissi la frase, mi aveva messo un dito in un occhio. Era più di quanto potessi sopportare. Mi misi a urlare come un matto. Potevo ancora sentire la sensazione delle sue unghie dentro al cranio. Da quel momento, non ci furono più parole per descrivere il mio terrore.
Intanto il mio carnefice rideva di gusto. Mi ricordò il mio medico. Era la stessa identica risata.
Mi fece portare nel mio alloggio. Il dolore ci mise quasi mezz'ora, a passare. Era stato tutto uno scherzo crudele. Cominciai a disperare che vi fosse effetivamente una qualsiasi speranza, riguardo a qualsiasi cosa. Nessuno mi aveva comunicato quale fosse la mia pena, nè la sua durata. Oggettivamente, esisteva la possibilità che avessero intenzione di torturarmi in eterno.
Mi lasciarono in preda al panico e alla solitudine per qualche tempo. Io ripensai a quanto mi aveva detto il mio dottore, riguardo al coma e al risveglio. Forse stavo sognando. Forse quel posto orrendo era frutto della mia malattia, e del mio stato d'incoscienza. Mi sarei risvegliato, di sicuro mi sarei risvegliato per godermi il mio soffocamento, fino al sopraggiungere della morte. Niente mi sembrava più desiderabile.
Inutile dire che non fu così.
Ora, non so quanti anni sono passati, dal mio arrivo all'inferno. Con una cadenza maniacale vengono a prelevarmi, mi portano in una di queste solite stupide stanze, e si divertono ad infierire sulle mie carni fino a farmi impazzire. So per certo che non finirà. Vanno avanti per qualche ora, poi mi riportano qui, e mi lasciano recuperare un po' di forze. È qualcosa cui non ci si abitua. Ho richiesto più volte qualche libro, magari un videoregistratore e qualche cassetta. Mi hanno sputato addosso, chiedendomi se per caso non desiderassi anche un po' di vino. Mi sarei accontentato anche solo di qualche foglio e una penna, ma non c'è niente da fare, mi odiano, e sono decisi a farlo per il resto dei miei giorni, che sembrano essere davvero tanti. Troppi. Avevo intenzione di parlare ad alta voce, fingendo di scrivere, tanto per mantenere qualcosa a me caro, ma mi hanno strappato la lingua a morsi quasi subito, come promesso.
Penso spesso a dio.



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Chinaski77   19/7/2005 1.7.13 (176 visite)   Chapline
   re:Chinaski77   19/7/2005 1.9.25 (51 visite)   Chapline
   re:Chinaski77   19/7/2005 2.7.53 (69 visite)   pearl jam
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