Nick: DanyMasca Oggetto: Ognuno onora ki vuole... Data: 20/7/2005 12.49.17 Visite: 146
Furono mesi terribili, quelli dell'estate 1992: il 19 luglio andò in onda la cronaca di una morte annunciata, ed il giudice Paolo Borsellino, predestinato dall'opinione pubblica ma anche da incaute affermazioni di uomini di governo che lo indicavano come l'erede di Falcone, venne ucciso davanti all'abitazione della madre in via d'Amelio a Palermo da un'autobomba, con i cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi. Seguì la scena tragica dei funerali degli agenti di scorta (la famiglia Borsellino rifiutò i funerali di Stato), dai quali incredibilmente si tentò di tenere lontani proprio i palermitani, per paura del ripetersi di quelle contestazioni alle autorità che si erano manifestate ai funerali di Falcone. Borsellino viveva braccato, convinto di correre contro il tempo, di essere vicino ad un pericolo . "L'erede di Falcone" ha lavorato per 57 giorni con le lacrime nel cuore, inflessibile, continuava ad ascoltare i pentiti e pentite a Caltanissetta, a Trapani. A cominciare dalla giovane Rita Atria, 18 anni, una giovane donna che prima degli uomini stava abbattendo il muro dell'omertà. La ragazza, fragile, non reggerà allo sconforto del massacro di via D'Amelio, si suiciderà una settimana dopo dal rifigio romano. Sembrava che Cosa Nostra avesse vinto: è tutto finito, aveva commentato piangendo in un momento di scoramento (subito dopo superato) l'anziano giudice Antonino Caponnetto, padre putativo di Falcone e Borsellino. Ma, in un soprassalto di attivismo, seguì lo sbarco in Sicilia dei soldati inviati a presidiare militarmente un territorio occupato dalla mafia, l'approvazione del programma di protezione dei collaboranti di giustizia, l'invio dei boss detenuti nelle carceri di massima sicurezza e la definizione di un regime carcerario particolare (art. 41 bis ordinamento penitenziario), la rimozione dei funzionari inetti (a dirigere la procura di Palermo fu mandato il magistrato torinese Giancarlo Caselli, mentre Gianni De Gennaro, già collaboratore di Falcone, andò a dirigere la DIA), la cattura dei primi latitanti, a dimostrazione che, se esiste una volontà politica, si presentano anche i successi dell'attività investigativa. Borsellino rimase colpito dell'articolo apparso sul "Corriere della Sera" del gennaio 87 in cui lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia che nei suoi romanzi aveva sempre denunciato la cultura mafiosa espresse delle valutazioni sulle speculazioni e sui pericoli di strumentalizzazione politica della lotta alla mafia. Le accuse erano rivolte a Leoluca Orlando ed a Paolo Borsellino, che secondo Sciascia utilizzavano la mafia come strumento per fare carriera. Solo successivamente, in un altro articolo, lo scrittore riconobbe l'errore di valutazione su due personaggi impegnati con coerenza nella lotta alla mafia ma prestò il fianco a strumentalizzazioni da parte dei "difensori della mafia. " Infine, ecco cosa rispose Borsellino al pentito che gli confessò di essere stato assoldato per ucciderlo sulla Palermo-Trapani: E Borsellino: . ONORE A TUTTI QUELLI CHE SONO MORTI PER LIBERAARE L'ITALIA DALLA CRIMINALITA''!!!! PS:TOTTINA E' FIORENTINA!!! E che te lo dico a fare! Il MIO MASSIMO IMPEGNO... .. + SAPONETTE PER TUTTE!!! |