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Nick: Ulisse
Oggetto: da "il mattino"
Data: 23/8/2005 13.54.16
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Seppur del 18 c.m., credo sia una lettera sempre attuale che trova continui e quotidiani riscontri nella vita cittadina di tutti i giorni.
Si può amare napoli incondizionatamente e io la amo ma non si può negare la realtà dei fatti.
Leggete se avete voglia.
18/08/2005
lettere al direttore:
In ospedale con una pistola puntata al viso
Rifletto. E non trovo risposte utili. Che succede in questa città? Dove arriveremo? Alcune mattine fa, verso mezzogiorno, all'interno del Policlinico di via Pansini, davanti agli occhi di tutti, un uomo entra nell’auto di una mia collega e le punta una pistola. Le intima di scendere, si mette alla guida, inverte la marcia, esce dall'ingresso principale. Bottino: un’auto, un computer portatile, un trattato di tecnica chirurgica non ancora finito di pagare, un vestito da sera, un telefonino. Valore nullo se paragonato a una vita che poteva essere spezzata se la mia collega non avesse avuto la lucidità di lasciare tutto e scendere. Cosa resta: sgomento. Un medico va a lavorare, con tanta buona volontà di aiutare il prossimo. E nel tuo posto di lavoro, controllato da guardie giurate, dove esiste una stazione dei carabinieri, è possibile che entri un individuo armato, tra il bar aziendale e la segreteria studenti, il tratto più trafficato del Policlinico. A parte il danno economico, perché dover vedersi sottrarre un computer pieno di dati importanti di pazienti, perché essere violentati? Perché un giovane chirurgo costretto a fare le rate per acquistare un trattato deve vederselo rubare da qualcuno che lo butterà o lo lascerà con la macchina al ricettatore? Perché assumersi la responsabilità della salute della gente quando lo Stato non tutela la nostra sicurezza? Certo, i problemi sono grossi. Qualcuno dirà che questo evento è nulla rispetto a ciò che si vede. Ma è appunto questo il problema: ciò che si vede tutti i giorni a Napoli. Cosa sta accadendo, qualcuno ce lo potrebbe spiegare? Andavo a lavoro, le sette e un quarto. Al semaforo un energumeno dietro di me suona il clacson per passare con il rosso; mi sposto, che tristezza. Mi giro e vedo il solito motorino sul marciapiede per non aspettare il semaforo. Dove è finita la civiltà? Vivo al centro di Napoli, assisto a scene grottesche e assurde, a maleducazione, indifferenza gratuita, aggressività. Nei vicoli del mio quartiere non sei nulla, le moto e gli scooter la fanno da padrone. La città è invivibile. E quando vai fuori Napoli e vedi come si vive, ti sorprendi. Perché capisci che qui non si vive. Lo Stato è assente nelle strade. Assente, sebbene presente in dosi massicce. Le forze dell'ordine non possono far tutto da sole. È il cittadino che manca, le persone perbene restano a casa, stufe delle angherie. Sono un giovane medico, vivo molto la città. Amo uscire. Non so quanti schiaffi da ragazzi in moto ho preso al centro storico, quanti sputi ho schivato. Non ultimo il tentativo di schiaffo di due ragazze su un motorino, in due e senza casco sul marciapiede di via Caracciolo. E dopo di me colpivano altri, per 500 metri. Perché vivere in una città in cui il cittadino non vale nulla? Perché mettere amore nella professione quando la città ti ricambia con gli schiaffi? Per favore, qualcuno me lo spieghi. Magari il nostro sindaco o il prefetto. E ancora. Settimane fa mi accorgo che un truffatore sta cercando di vendere, nei pressi della Galleria Umberto, una telecamera-pacco a una bella e malcapitata turista. Non posso lasciar correre. E prima di fare l'eroe, decido di rivolgermi alle forze dell'ordine. Giungo a Palazzo San Giacomo, c’è una camionetta dei carabinieri. Un insofferente uomo in divisa mi dice «Aspetti un attimo, sto parlando al cellulare». Ma è importante. «Allora chieda al mio collega». Il collega: «Ah, capisco. Ma non possiamo allontanarci. Vada a vedere se sono ancora lì, e se è così ritorni e provvediamo». Io ho salvato quella turista, ma faccio il medico, non il poliziotto. In fondo mi sento ancora un cittadino. Voglio andare via. E non sarà una fuga di cervello, col cervello se ne andranno la mia pelle e la mia anima che vive rinchiusa nella paura di guardare nella canna di una pistola. Che fare? Chiedere il porto d’armi come l’ortopedico che ha sparato al suo aggressore? No, non voglio vivere nel Far West. Ma ci stiamo avvicinando inesorabilmente. Si salvi chi può. Vittorio Bellotti - NAPOLI Mi spiace, dottor Bellotti, ma almeno io non posso aiutarla a decifrare che cosa sta succedendo, perché non capisco. All'inizio ho tentato di opporre il positivo al negativo, per non cadere nel catastrofismo. Non ho cambiato idea sul tanto buono che pur c'è, ma ora dopo mesi di stillicido, penso che sia il caso di mettere da parte le analisi e di concentrarsi sul da fare. Non solo la violenza metropolitana non si attenua, ma la protesta e la paura crescono e si trasformano in voglia di misure eccezionali. Resto convinto che bisogna garantire subito la certezza delle pene e applicare col massimo rigore le norme esistenti. Ci sarà tempo per ragionare sui secolari mali della città, sulle pessime eredità raccolte. Ma ora conta registrare che il presidio del territorio è del tutto insufficiente. È qui che urge intervenire.
Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam.
