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Nick: Peppos
Oggetto: Razzismo (1° puntata)
Data: 2/9/2005 16.53.36
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Razzismo, 1° puntata - Cos'è il Razzismo?

Serie di interviste ad Alessandro Dal Lago, dove le domande le fanno vari studenti italiani.
In questa puntata, il prof. Dal Lago viene intervistato dai ragazzi del Liceo "Mamiani" di Roma.

"Buongiorno, mi chiamo Alessandro Dal Lago e insegno Sociologia dei processi culturali all'Università di Genova, dove sono anche Preside della Facoltà di Scienze della formazione. Mi occupo di problemi legati all'immigrazione, tema su cui ho appena pubblicato un libro. La puntata di oggi è dedicata al razzismo, ma ad un razzismo di tipo nuovo, che definirei economico, riguardo al quale vedremo insieme una scheda filmata."

Anton Pavolv ha 43 anni e viene da Warma, in Bulgaria. E' arrivato in Italia nei primi mesi del 1996, con un regolare permesso di soggiorno. A condurlo in Italia era stato il lavoro di carpentiere specializzato nel cantiere navale della Fincantieri a Marghera. Per un anno Anton ha lavorato dodici ore al giorno, compresi il sabato e la domenica, alla costruzione di una gigantesca nave da crociera. Ma nonostante lavorasse il doppio dei suoi colleghi italiani, il suo stipendio era molto più basso, in teoria 1.400.000 lire al mese, in pratica appena 600.000, grazie ad alcune clausole capestro del contratto. Anton infatti era caduto nella micidiale trappola del subappalto, che funziona così: Fincantieri cede una parte del lavoro a una ditta veneziana, pagando l'equivalente di un salario italiano, poi la ditta veneziana gira l'appalto ad un'azienda bulgara, che porta i suoi operai in Italia, ma applica il contratto di lavoro bulgaro. La differenza naturalmente la intasca la ditta veneziana. Un bel giorno, senza preavviso, Anton viene licenziato. Niente lavoro, niente permesso di soggiorno. Così da quel momento, per la legge italiana, Anton diventa un clandestino. La vicenda è a lieto fine, perché, nella speranza di recuperare i soldi che gli spettano, Anton si rivolge al sindacato, che fa causa alla ditta veneziana e la costringe ad assumerlo e ad applicare il contratto italiano. Molti suoi colleghi però non sono stati altrettanto fortunati. Arrivati in Italia sono stati sfruttati, sottopagati e poi rispediti in patria senza tanti complimenti. Questa storia è realmente accaduta.



STUDENTE: Stiamo assistendo alla progressiva ridefinizione dell'identità nazionale e culturale, per cui viene a mancare un fondamento per il razzismo come cultura. Ma il razzismo avrà un senso nel domani? Oppure viene sempre più caratterizzato come intolleranza, che un po' tutti, nel momento in cui si definiscono come gruppo, provano per chi viene dall'esterno?



DAL LAGO: Il filmato ci mostra qualcosa di molto ovvio, ma al tempo stesso abbastanza difficile da interpretare oggi: il fatto che possano esistere persone che, in quanto clandestine, sono soggette - nel lavoro, nella vita quotidiana - a una discriminazione reale. Questa è una realtà molto più ampia di quanto non si possa desumere dalla scheda. Il razzismo teorico, quello dell'inferiorità razziale, secondo me è ormai meno importante. È sostenuto dai naziskin che per fortuna sono pochi, ma la cosa essenziale è questa discriminazione, questa gerarchia che c'è tra esseri umani. La storia che abbiamo visto è a lieto fine, perché interviene il sindacato. Ma ce ne sono altre decine di migliaia che non sono assolutamente a lieto fine. Vi farccio un esempio di questa discriminazione - che poi è potente anche nella vita quotidiana - nella stampa. Quando alcuni Albanesi furono rispediti indietro nell'autunno del '97, in un grande giornale nazionale un cronista osservò: "Si divincolano, non vogliono andarsene - come se la cosa, aggiungo io, fosse incomprensibile - e molti di loro hanno perfino un telefonino e non se ne vergognano neanche. A chi telefoneranno?". Non so se rendo l'idea. Una cosa che per noi è banalissima - chiunque di noi può avere un telefonino - viene considerata, nel caso di questa gente, come un segno quasi di abiezione e di delinquenza. Questo è il panorama, secondo me, di alcuni aspetti del razzismo contemporaneo, che è cosa molto diversa dal razzismo teorico tradizionale Vi ho proposto un'interpretazione probabilmente diversa da quella che va per la maggiore. Cioè esiste anche il razzismo biologico, ma, secondo me, quello che oggi si può chiamare razzismo sta assumendo caratteristiche totalmente diverse.



STUDENTE: Dal filmato sembrava che queste società che assumono lavoratori extracomunitari facciano leva sul fatto che sono pochi e sperduti in un paese che non conoscono per sfruttarli. Tuttavia, quando si organizzano, abbiamo visto che riescono a fare valere le loro ragioni. Però sembra che a ogni società faccia comodo la loro disorganizzazione, o forse vengono considerati intellettualmente inferiori, cioè facili da dominare e quindi, alla fine, da sottopagare.



DAL LAGO: La questione non si esaurisce soltanto in quello che si chiama lavoro nero. Parliamoci chiaro: il lavoro al nero è un esempio che esiste anche per gli italiani. Sono venute fuori cronache su ragazze che lavoravano dodici ore al giorno a trecentomila lire al mese, nel sud come nel nord. Dunque è un fenomeno che non riguarda solo gli stranieri. Il problema però è più ampio. Tenete conto che, prima della crisi albanese di un anno fa ci fu la trasmissione di Gad Lerner, Pinocchio, che ha fatto epoca, perché in quella trasmissione sono venuti fuori i prezzi che le ditte italiane - per esempio di calzature, in Puglia - pagavano agli operai albanesi. Grosso modo, se un lavoratore o una lavoratrice italiana costava circa due milioni e mezzo lordi al mese, completi di tutto, in Albania costava un ventesimo, qualcosa come novanta dollari. Voi capite qual è l'interesse pazzesco che hanno queste ditte di andare a cercarsi il lavoro dove la mano d'opera costa meno, e soprattutto dove il lavoro è meno regolamentato e non esistono diritti per i lavoratori. Questo spiega anche perché molti di coloro che vengono da queste zone preferiscono guadagnare un milione e quattro da noi, che guadagnare cento o centocinquanta dollari nel loro paese d'origine. Lei diceva prima: il protagonista del filmato è riuscito a far valere i propri diritti. E' un caso, secondo me. Persone che non hanno la cittadinanza e quindi possono essere espulsi in qualunque momento, evidentemente non possono far valere i propri diritti. È una specie di circolo vizioso. Credo quindi che oggi l'inferiorizzazione degli altri assuma cadenze nuove, non sia più come un tempo.



STUDENTE: Lei dice che il razzismo si definisce sempre più come un razzismo "economico". Non crede, tuttavia, che il vecchio tipo di razzismo sia ancora radicato? Per esempio, se si pensa alla discussione sulle leggi per l'immigrazione, vediamo dei veri e propri razzisti che si mascherano dicendo: "Meglio che rimangano nella loro patria, perché qui starebbero male". Non pensa che ci sia anche una questione ideologica nascosta più profonda?



DAL LAGO: Mi trovo totalmente d'accordo. Fondamentalmente, la questione ideologica - che è molto difficile da sciogliere - riguarda l'appartenenza nazionale, in che cosa consiste una nazione - se una nazione debba avere a che fare con un territorio, e se una società debba esserne la padrona. Si suppone che sia così, ma nessuno l'ha mai dimostrato. Da anni è cresciuto questa specie di panico: l'albanese è inevitabilmente un delinquente, il rumeno uno stupratore. Io non ho detto che tutto si limita al razzismo economico. Dico che questa gerarchizzazione delle società, questo uso degli altri - che ci riporta alla memoria l'inizio della società industriale - è un aspetto nuovo di questa discriminazione che ha anche aspetti culturali.



STUDENTE: In realtà, lo sfruttamento economico dell'immigrazione potrebbe essere considerato una caratteristica strutturale propria del capitalismo occidentale, che appare fin dalla sua nascita. Per esempio, stavo leggendo un breve saggio di Engels sulla classe operaia in Inghilterra, dove già esistevano l'immigrazione e lo sfruttamento.



DAL LAGO: La differenza é che le immigrazioni allora, nei due secoli che precedono il grande sviluppo capitalistico, erano interne, cioè di popolazione delle campagne. Qui stiamo parlando di una cosa molto diversa e molto più critica, perché non si tratta più soltanto di concittadini poveri o di agricoltori che vanno in città. Gli immigrati oggi sono stranieri, questo è il problema. Quindici anni fa non avremmo mai pensato che l'Italia sarebbe potuta diventare un paese razzista, perché non c'erano stranieri. Si dice: "vengono a rubarci il lavoro". Ma chi si occupa del mercato del lavoro, sa da molto tempo che questo non è vero, perché quasi sempre questi tipi di immigranti o creano del lavoro che l'italiano non farebbe - pensate ai senegalesi che vendono le borse sulla riviera romagnola -, oppure fanno lavori che nessun italiano accetterebbe. Un esempio secondo me eccellente è proprio quello del rumeno. Chi di voi accetterebbe un lavoro in subappalto, quale quello che è stato descritto prima? Nessuno. Ma molto spesso quando vediamo il nero, lo straniero - il venditore di sigarette piuttosto che quello che mi lava i vetri - immediatamente diciamo: "ma allora è questa l'immigrazione!" No. L'immigrazione, in gran parte, è quella del lavoro sottopagato. Quindi, ripeto, non volevo ridurre tutto a razzismo economico. Dico che probabilmente il nocciolo duro di questa realtà è esattamente quello di cui si parlava prima.



STUDENTESSA: Quindi, nonostante non sia aumentato il numero degli immigrati negli ultimi anni, si sono moltiplicati i casi di intolleranza all'interno del nostro territorio?



DAL LAGO: Nel '97 il Ministero dell'Interno ha parlato di cento casi circa. È successa una cosa molto divertente. All'Università di Roma è stata presentata una ricerca sui casi di aggressione contro gli stranieri. Non contro americani o neozelandesi, ma contro immigranti poveri, chiamiamoli così. Allora i ricercatori hanno parlato di settantotto, ottanta uccisi in episodi pubblici - non sto parlando di casi privati, quindi casi di intolleranza proprio razzista. Il Ministro Napolitano è intervenuto dicendo, invece, che i morti erano più di cento. È un dato impressionante non solo per il numero, ma per il fatto che, mentre l'anno scorso si parlava tanto della delinquenza degli Albanesi, pochi erano consapevoli di questa realtà che fa dell'Italia, nonostante il suo pluralismo, uno dei paesi in questo momento, secondo me, non dico ostili, ma più aspri per un immigrante. Quindi la risposta alla sua domanda é sì. Non userei neanche la parola "intolleranza", riferita a uno che uccide uno straniero. Mi sembra che la parola sia un po' troppo dolciastra. Io parlerei certo di razzismo, però mi sembra che la realtà più consistente, dal punto di vista dell'analisi sociale, sia quella che è partita con la scheda, cioè una realtà economica di nuova discriminazione.



STUDENTE: Il razzismo economico può diventare una scusa per giustificare il vero e proprio razzismo razziale? Lei adesso sta parlando di razzismo economico come di una nuova forma di razzismoM; però in fondo penso che, specialmente in Italia, sia ancora ben radicato il razzismo nei confronti di quelli che sono diversi da noi.



DAL LAGO: Questa è una tesi che sostengono molti, anche i miei insigni e stimati colleghi, ma io ho qualche dubbio. Innanzi tutto perché i dati che noi abbiamo non sono poi così esaurienti. Poi è difficile sapere cosa pensa la famosa "ggente", quella con due "gg"; cioè possiamo avere qualche campionamento, ma poco di più. Quello che si può vedere, invece, è un certo tipo di tendenza a definire questi problemi in modo discriminante, più che intollerante. Per esempio, si prenda il caso della stampa di destra - ma non solo: anche sulla stampa democratica (e questo è l'elemento che fa impressione). Vi ricordate l'anno scorso il caso di quel pastore che uccise le due turiste venete? Allora il titolo di un giornale che non voglio citare era più o meno: "Confessa l'uomo lupo macedone". Sotto c'era un articolo di un grande giornalista italiano, che diceva: "L'invasione extracomunitaria continua". Mettete insieme i due termini: si è preso un caso atroce, un delitto, e poi si è attribuito tutto ciò che di negativo questo delitto ha comportato agli extracomunitari che avrebbero invaso l'Italia. In realtà non è vero che non ne sono arrivati più. Arrivano sempre, ma ne arrivano infinitamente meno di quanto si pensi. Se erano cinquecentomila o qualcosa del genere nel 1988, oggi gli stranieri in cerca di lavoro - regolari eirregolari, clandestini e non - saranno un milione e sei, un milione e sette. È difficile anche saperlo. Sono pochissimi. Pensate che ci sono paesi come la Germania in cui ci sono tre milioni di curdi, per esempio, che sono solo una vera e propria nazione.



STUDENTESSA: Umberto Eco, in un articolo, dice che l'intolleranza è un fenomeno innato, che però può essere cambiato tramite la cultura e l'educazione. Lei cosa pensa?



DAL LAGO: Sposterei la questione da un altro punto di vista. Un insigne studioso di genetica, Cavalli Sforza, ha distrutto il mito dell'inferiorità razziale, mostrando come il patrimonio genetico di tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro aspetto, fondamentalmente sia più o meno identico. Quindi, una volta smontato questo mito, oggi si tenderà a dire: "Ecco la differenza: quelli là - cioè gli stranieri, i disgraziati, i rumeni, gli albanesi, brutti, sporchi e cattivi, eccetera - ovviamente sono uguali a noi, però non sono preparati a vivere nella nostra società, perché sono un po' buzzurri; vedono le nostre donne e gli saltano addosso, o ci portano via il lavoro". Questo è un altro modo di rendere leggendaria la realtà, questa volta non più appoggiandosi alla mitologia biologica, ma alla mitologia dell'impreparazione. E questo fu detto dei marocchini, è stato detto dei rumeni -, se dopodomani arrivassero, non so, tutti gli abitanti della Cornovaglia, oppure di un qualunque altro paese, si dirà che anche loro non sono preparati. Si tratta dunque di una sopraffazione di tipo culturale.



STUDENTESSA: Quindi si cerca di annientare le altre culture, le altre persone o gli altri soggetti, con una forma di etnocentrismo?



DAL LAGO: Perfettamente. Sull'etnocentrismo però è meglio che ci si chiarisca. Nella scheda si parlava di cose molto concrete: lavoro, lavoro sottopagato, eccetera. Oggi esiste una teoria che invece interpreta tutti questi problemi come se fosse uno scontro tra religioni, tra civiltà. Non a caso uno degli oggetti presenti in questa puntata è un libro, che ritengo, come dire, il massimo della falsificazione di questa realtà. Un altro modo di discriminare questi problemi è quindi di spostare l'attenzione dalle questioni sociali, economiche, eccetera, e trapiantarle in supposti conflitti tra religione e civiltà.



STUDENTESSA: Mi chiedo se gli immigranti conoscano le condizioni in cui si troveranno nel paese in cui vanno - ad esempio in un paese come l'Italia, che mostra una tale ostilità nei loro confronti. Non capisco se le condizioni nel loro paese siano così tragiche da spingerli ad emigrare oppure se si aspettano un futuro più roseo, che poi nella realtà assolutamente non esiste.



DAL LAGO: Non vorrei che si credesse che l'Italia sia una specie di cappa che si abbatte su emigranti. Esistono anche qui molte associazioni, laiche, cattoliche, ed anche una vasta opinione pubblica, pronti ad aiutarli. Se gli stranieri se lo immaginano? Ritengo di no. Però teniamo conto che le migrazioni a noi sembrano fenomeni collettivi, "un'invasione". In realtà sono la somma di centinaia di migliaia di decisioni individuali, che poi noi filtriamo come se fossero collettive. E molto spesso l'immagine è illusoria. Per esempio, è indubbio che gli Albanesi che sono venuti da noi - non solo nel '97, ma nel '91, e anche successivamente - avessero un'immagine dell'Italia come il paese del Bengodi. Molto spesso purtroppo la realtà poi gli dà un dura e sonora lezione. Stiamo parlando proprio di questo.



STUDENTE: Studiando la storia, in questi anni, mi è sembrato che una delle radici del razzismo sia, diciamo, il nazionalismo, un senso di appartenenza che ci accomuna. Ad esempio, io mi sento italiano e perciò una persona che viene dall'estero o comunque da un altro paese, lontano dalla mia cultura, in un certo senso non sono portato a rispettarla. In questo senso la nascita dell'Europa, che magari ci accomuna ai paesi vicini a noi, può portare ad un'ulteriore razzismo economico nei confronti degli altri continenti, come l'Africa o l'Asia?



DAL LAGO: Sì, penso che sia molto probabile che questo avvenga. Leggetevi tutti i fondi sui giornali, sull'Europa delle frontiere, l'Italia come "limes" meridionale d'Europa, la fortezza Europa. Sì, ci sono questi pericoli.



STUDENTE: Riguardo all'intolleranza come fenomeno biologico, penso che sia interessante forse vederlo come un riscontro nel mondo umano di una caratteristica animale. Non so, come il fenomeno del branco che, coeso, si difende dal nemico, a prescindere da quale esso sia, che tende quindi a essere unito in contrapposizione a un'identità che non è la propria. Può anche essere una tendenza del gruppo l'avere bisogno di una contro immagine con cui mettersi in opposizione, su cui magari proiettare le proprie parti negative, per poi dirsi: "Io sono bravo e quello lì è stupido".



DAL LAGO: Prima ho visto alcuni di voi che giocavano nel cortile. Ora - tra virgolette, tanto per scherzare - anche quello è un "branco". Se c'è un fallo, uno s'arrabbia. Ma questi sono fenomeni diffusissimi. Però l'Italia non è un branco. Io non credo che una società sia un branco, anche se contiene degli elementi che inevitabilmente chiameremmo etologici. Una società è fondamentalmente una priorità di gruppi, di persone, di ceti, di strutture. Non deve essere interpretata come se fosse qualcosa di unitario. Il fatto di essere nati italiani o turchi o tedeschi o cileni, è fondamentalmente è un caso. Le persone a cui Lei si riferiva, assumono che il proprio documento d'identità sia rappresentativo della propria identità. E' un'idea agghiacciante, secondo me. Siamo molto di più del documento che casualmente descrive la traiettoria che ci ha portati a nascere, siamo infinitamente di più. Il pericolo, in tutto questo, è la riduzione della pluralità sociale, culturale, esistenziale, a etichette. Questo è, secondo me, l'orrore del nazionalismo.


STUDENTE: Ma come si supera il razzismo? Esso sembra essere radicato, a prescindere dal fatto se noi siamo branco o meno, cioè se siamo un gruppo oppure se siamo individui.


DAL LAGO: Ma io non credo che il razzismo sia radicato. Credo che quello che noi chiamiamo razzismo, nelle sue forme vecchie e nuove, sia il prodotto di circostanze storico-economiche precise, che vanno ricostruite e conosciute, e che la conoscenza di queste circostanze permette anche di combattere o di ostacolare quello che noi chiamiamo razzismo - per esempio riconoscendo i diritti dei lavoratori emigranti, combattendo l'idea che questi siano necessariamente delinquenti, criticando la stampa o gli intellettuali che prendono per vere queste leggende, e così via. Quindi si tratta di fenomeni circostanziati e specifici che vanno conosciuti.



STUDENTESSA: È giusto parlare di diritti universali e considerarli tali, oppure essi sono solo un fenomeno ristretto al mondo occidentale?



DAL LAGO: Sì, è giusto. Innanzi tutto perché la nostra cultura politica in Europa, dopo la Seconda Guerra Mondiale - indipendentemente dalle dichiarazioni storiche, come quelle della Rivoluzione Francese - si basa esattamente su questo. Per esempio la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, che era stata fatta anche tenendo conto della terrificante esperienza dello sterminio degli ebrei, stabiliva, tra l'altro,il diritto per ognuno di abbandonare il proprio governo e di emigrare. Questa è rimasta in parte lettera morta, tenendo conto che le dichiarazioni sono parole, cioè i diritti sono riconosciuti, ma solo in termini verbali. Io penso che uno dei problemi dell'inizio del nuovo secolo sarà esattamente dare realtà a tutto questo. Per esempio uno statuto dei diritti della persona è qualcosa che di fatto non esiste, ma che è previsto da queste dichiarazioni solenni, e deve essere realizzato. E' esattamente questo il problema.


STUDENTESSA: Noi abbiamo parlato fino adesso di razzismo, però senza dare una definizione del termine - che comunque è difficile da dare, con un fenomeno così ampio. In questo sito internet si dà la definizione di Albert Memmì, che dice:



"Il razzismo è la valorizzazione, generalizzata e definitiva, di differenze, reali ed immaginarie, a vantaggio dell'accusatore ed ai danni della vittima, al fine di giustificare un'aggressione ed un privilegio".



Questa potrebbe essere una definizione di questo fenomeno. E qui c'è un altro sito, dove si parla di un nuovo razzismo, quello differenzialista.Volevo sapere se Lei per razzismo economico intendeva più o meno la stessa cosa che si intende con razzismo differenzialista o culturale.



DAL LAGO: Sì. Innanzi tutto condivido pienamente la definizione di Memmì, che è uno dei più grandi studiosi di questi fenomeni, perché effettivamente il razzismo è la valorizzazione negativa della differenza. Quindi non è soltanto una questione legata ai fenomeni immigratori, ma investe tanti campi della nostra vita. In origine si poteva dire: è giusto anche riconoscere le specificità culturali, le differenze, la differenza dei linguaggi. Però, di fatto, negli ultimi dieci anni, questo discorso, che in origine poteva anche essere legittimo, è diventato una giustificazione. Per esempio, una delle caratteristiche della destra razzista più intelligente è quella di dire: "Ma noi non abbiamo nulla contro gli stranieri, ma che vivano nella loro cultura a casa loro".



STUDENTE: Tutto sommato il razzismo c'è sempre stato nella nostra cultura. Basti pensare ai Greci che considerazione avevano dei barbari, che venivano da fuori. Barbari erano tutti coloro che non erano abitanti greci.



DAL LAGO: Sì, ma la razza non c'entrava però, perché le differenze erano basate soprattutto nella società tra liberi, schiavi, eccetera. Ma i barbari - quelli che borbottavano, che balbettavano - esprimevano una differenza culturale, se si può usare questa espressione. Qualunque società tende ad escludere le altre società. E' banale ed è vero. Il problema reale è il conferimento dei diritti, come si diceva prima. Quindi, ripeto: la razza esiste, ma il concetto di razza è un concetto moderno. È stato teorizzato da Gobineau e da altri autori centotrenta anni fa, al di là, voglio dire, del razzismo storico - gli schiavi, i neri, eccetera. Così come il concetto di nazione, che oggi tende - lo dico con molta cautela - ad essere invocato, per esempio, contro gli stranieri, è un concetto recentissimo, che non ha più di due secoli, considerando la Francia. Noi tendiamo ad attribuire alle origini arcaiche della nostra cultura fenomeni che sono modernissimi.



STUDENTESSA: E' possibile scindere intolleranza e razzismo o vengono a coincidere sempre e comunque?



DAL LAGO: Ritengo la nozione di intolleranza talmente generica che la scinderei. Mi sembra che i concetti troppo generici sono inutili. Questo è il problema. L'intolleranza è anche quella della mamma che a un certo punto maltratta il bambino perché le sta chiedendo qualcosa. Concetti di questo tipo, sì, possono essere utili nel discorso, ma la questione del razzismo è molto più importante. I discorsi che sto facendo si riferiscono a quella che si chiama oggi la teoria del razzismo senza razza, e che si basa cioè sull'inferiorizzazione e la valorizzazione negativa. Anche la parola razzismo rischia di essere un gettone troppo usato. l'importante è riportare sempre questi discorsi a esempi concreti, e capire come i concetti mutano col mutare della realtà. Questo è l'aspetto essenziale per orientarsi in questo mondo, che è un mondo strano, perché molto spesso la realtà viene costruita, cioè non è una realtà naturale, ma la elaboriamo noi con i nostri concetti.



STUDENTESSA: Nel caso dell'Italia invece, la Lega Nord - che chiede l'indipendenza e la separazione, anche dal punto di vista economico - può essere considerata un movimento politico razzista?



DAL LAGO: In base ai documenti ha anche delle espressioni razziste, però credo che la questione della Lega sia più complicata per riportarla solo a questo. Dai documenti diffusi tende a rappresentare l'istanza più dura nei confronti degli stranieri, degli immigranti, eccetera. Però sarebbe una semplificazione eccessiva riportare il problema del Nord-Est e della Lega soltanto a una sua presunta espressione politica razzista.


STUDENTESSA: Ma il fenomeno della Lega non è, secondo Lei, strettamente economico, appunto? Parlavamo di razzismo economico.


DAL LAGO: È economico, ma in larga parte è anche legato a un immaginario, nel senso che c'è tutta una realtà economica, di cui voi sentirete parlare, e di autorappresentazione di questa realtà economica. C'è il problema del decentramento, che è anche il risultato di errori storici del nostro paese, cioè dell'incapacità, per esempio, di gestire anche le differenze tra le varie aree economiche. Ma è anche un fenomeno autorappresentato. La Padania non esiste come realtà culturale. Se voi prendete uno di Sondrio e uno di Pavia, non si capiscono. Ecco, io vengo da quelle parti, per cui questa cosa credo di saperla. La Padania si sta, come dire, ricostruendo, si sta reinterpretando come nazione. Vi ricordate Bossi e i Celti? La cosa molto interessante però, che vi segnalo, è che questo processo in realtà è esattamente il processo, con tutte le differenze, che è alla base di qualunque interpretazione di sé come nazione. È un dato di fatto storico, voglio dire. Non è che l'Italia fosse una nazione. Cosa vuol dire nazione? Unità di popolo, lingua, cucina - non so, qualcosa come: tutti usano il peperoncino? Non è che l'Italia fosse qualcosa del genere, quando si è costituita. So che qui dico cose che il mio stimatissimo collega Della Loggia mi rimprovererà per tutta la vita, immagino, ma non ci credo. Mi sembra che ci siano troppi elementi di costituzione leggendaria in questo. Dopo di che però è anche vero che, quando questa leggenda si istituzionalizza, cioè viene creduta da tutti, costituisce una realtà. Io non sto dicendo che la nazione non esiste. Sto dicendo che è fatta esistere nel discorso pubblico e dopo di che poi la gente si regola come se esistesse.



STUDENTE: Il capitalismo può essere una delle cause del razzismo economico?



DAL LAGO: Sì, però mi sembra una relazione un po' troppo generica. Diciamo che molto spesso il razzismo può diventare, per esempio, una sorta di funzione del mantenimento di lavoratori senza diritti nei posti più bassi della gerarchia. Però a questo punto direi che il capitalismo può diventare uno slogan. Bisogna però reinterpretare questi fenomeni nella chiave dei nuovi sviluppi mondiali, questo sì, certo.


STUDENTE: Secondo Lei la politica di uguaglianza di uno Stato, può creare ulteriori conflitti?


DAL LAGO: Sì.


STUDENTE: Vorrei farLe l'esempio dell'America, dove i neri sono agevolati nell'ambito scolastico e vengono penalizzati i bianchi. Questa secondo me è una discriminazione, anche se positiva, verso i neri.


DAL LAGO: Questa però, mi scusi, è una leggenda metropolitana. Ho insegnato in una università americana e mi ricordo che esisteva una piccola percentuale di studenti, - nelle università americane le iscrizioni costano venticinquemila dollari - di qualche minoranza, non necessariamente neri, e debbo dire però che avvertivo un certo disprezzo da parte, per esempio, degli studenti che non disponevano di una borsa di studio. Il fenomeno è molto più complicato di questo. Se Lei va a vedere le statistiche sulle uscite scolastiche e la situazione familiare dei neri, vede che questa è un po' una leggenda. Sono, voglio dire, favori molto, molto limitati.


STUDENTE: Comunque può creare conflitto, accentuarlo?


DAL LAGO: Certo, ma per esempio - pochi lo sanno - i conflitti nei campus oggi riguardano molto di più gli studenti che vengono dall'Estremo Oriente, che hanno una riuscita scolastica molto superiore a quella - anche di nuova immigrazione - degli americani. La questione è molto più complicata. 


Fine prima puntata.

Prossimamente: Razzismo, 2° puntata - Che cos'è il multiculturalismo?





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