Nick: Bukowski7 Oggetto: Tra crimine ed arte Data: 9/9/2005 2.38.47 Visite: 114
Writing metropolitano tra arte e crimine. Tratto da Liberazione del 12 Agosto 2005, by Monia Cappuccini "Firmava i suoi pezzi Rizla, il writer di Milano morto lo scorso sabato a Civita Castellana, nella yard dove vengono depositati i treni della linea nord di Roma, una delle più frequentate dagli scrittori di graffiti. Per sfuggire ad un raid dei carabinieri ha scavalcato una recinzione, poi non si è più visto. I suoi amici lo hanno cercato per due giorni, nell'illusione che fosse riuscito a mettersi in salvo. E' stata invece la Forestale a ritrovarlo senza vita in fondo ad un burrone di 25 metri. Una storia raccapricciante. Fatalità: una settimana prima dell'incidente il New York Times ha pubblicato un articolo titolato "Il gioco del gatto e il topo, con la bomboletta spray" (segnalato da Repubblica. it), nel quale il giornalista Shaidi Rahimi illustrava le nuove politiche anti-graffiti adottate dal sindaco Bloomberg nella città di New York, soffermandosi sulla costituzione di una nuova Citywide Vandals Task Force per debellare il virus grafico dalle strade. Lungi dall'insinuare un nesso di causalità tra le due vicende, la coincidenza appare però inquietante, e la puntualità con cui questi due fatti si affacciano sulle cronache estive induce ad alcune riflessioni. La prima è che, ogni volta che ci scappa il morto, le culture giovanili è come se perdessero la propria innocenza, al punto che definire il writing un gioco può risultare di cattivo gusto. La seconda è che, a ben guardare, tra i due avvenimenti effettivamente il nesso esiste, se non altro per la capacità di riuscire a rendere in proporzione ciò che la guerra ai graffiti può provocare. E si, perchè di guerra si tratta. O meglio di una War on, una delle tante che vede impegnati gli Stati Uniti sul fronte interno, da più di trent'anni a suon di Vandal Squad sguinzagliate in ogni angolo (e insufficienti a contenere 5mila arresti e due morti nelle yard, nonchè 4milioni di dollari spesi in cleaning managment tra il 1971 e il 1975). Se facciamo un passo indietro la storia ci riporta alla culla, in una New York ultra-espressiva di primi anni '70 messa a ferro e fuoco dalla minaccia di una comunità nera sconfinata pericolosamente dal Bronx fin dentro le linee della metropolitana prima, e le gallerie d'arte del Lower East Side e di Soho dopo. Inizialmente erano il Nome ed un pennarello a punta larga. La leggenda narra di Taki 183, ragazzino di origine greca dell'Upper West Side di Manhattan, come del primo scrittore discendente dalle grotte di Lascaux. Era il 1971, nel giro di breve l'elaborazione delle lettere e l'introduzione della vernice spray inaugurarono sul subway l'era delle style wars, "guerre a colpi di stile" per il predominio sulle linee metropolitane, che hanno raffinato il writing così come oggi noi lo conosciamo. Nei primi scrittori non vi era la consapevolezza di porre un significato compiuto a ciò che stavano facendo; dipingere per loro era un modo di esserci e il subway e il Nome divennero il mezzo della loro emancipazione. Una spinta ad emergere che i writer chiamano "getting up", e che incarna ancora oggi il senso di sfida attorno a cui ruota il concetto di rispetto, misurato non sui valori economici ma sullo stile, concentrato di creatività , capacità e comportamento. Il Nome rappresenta ciò che Norman Mailer definì nel 1974 "the faith of graffiti": ogni writer mette in scena se stesso secondo l'identità a lui più congeniale, deputati al dialogo o al conflitto su muri e vagoni si consolidano o si compromettono ogni volta rapporti di solidarietà e/o di ostilità reciproca. C'è chi lo considera un'arte e chi un crimine. Ma il bello del writing è che, chi lo fa, non si riconosce nè in uno nè nell'altro, e se l'accusa di essere un vandalo è rispedita al mittente senza mezzi termini, difficilmente i writer stenteranno a negare "a tutti quei segni che si vedono per strada" un'accezione artistica, senza però per questo ritenersi necessariamente dei pittori. Dalla fine degli anni '80 anche le nostre città hanno conosciuto una crescita esponenziale di segni (sogni?). La competizione oggi è spinta verso forme di grafismo esasperato, che individuano nella presenza massiccia di firme l'unica chance per i nuovi arrivati di affermarsi sugli altri. Intanto le istituzioni corrono ai ripari (inasprendo leggi o concedendo muri legali nell'illusione di arginare le incursioni notturne), le fabbriche di bombolette (come la tedesca Belton) raccomandano l'uso "per arte e non per vandalismo" sui loro spray, le autorità non sanno che pesci prendere nel gestire una situazione fuori controllo (come quella tragica di sabato scorso a Civita Castellana). Con le buone o con le cattive sarà comunque difficile estirpare il writing dalle città . Per una cultura che si esprime sui vagoni della metropolitana mancano gli spazi, gli stessi che impediscono ad una metropoli come Roma di estendersi ben oltre le sue due sole linee metropolitane. Una volta superato quel gap, il writing cesserebbe però di essere considerato un crimine contro il decoro urbano. Segni cresciuti nella modernità, in fondo rimanerne senza significherebbe negare lo spazio ed il tempo che abitiamo. Dalle caverne in poi l'uomo ha scritto, e i segni hanno il dono di raccontarci cosa sta succedendo. Anche oggi. Nell'epoca dei cartelloni, giornali e televisioni in mano ai potenti, almeno i muri lasciamoli al libero esercizio delle mani e della mente." "Qui vige l'eguaglianza: non conta un cazzo nessuno!" "Noi/ generazione post BR figli della bomba/ voi/ generazione di PR figli della bamba... |