Nick: ADP Oggetto: Jim Hall Data: 2/9/2003 10.19.5 Visite: 7
Cercherò di scrivere qualcosa di utile, e che parli d'arte. Le due cose non vanno a braccetto? Lo so. Ma sarà utile, nonché curioso, da parte di chi legge, scoprire di cose che non si possono trovare sui libri di storia del jazz. Acqua in bocca quindi, stiamo per spettegolare... Colloqui con Jim Hall Anni fa, per motivi di studio, mi trovai a frequentare un seminario del grande Jim Hall. Il "Grande vecchio", lo chiamo io, pietra miliare nella storia della musica afroamericana, nome di spicco in una scuola di pochi musicisti bianchi, che all'epoca, riuscirono a guadagnarsi a pieno titolo il rispetto dei fratelli di colore. Perché in quegli anni, erano loro a farla da padroni, e l'ambito musicale era forse l'unico "mondo" dove un nero poteva permettersi di deridere, di guardare dall'alto un bianco. Non a caso, personaggi come Miles, furono tra i maggiori esponenti della corrente "Black power", e lo stesso Miles, negli ultimi anni della sua carriera, pretendeva di essere portato in giro da un autista rigorosamente bianco. Non ci dimentichiamo che personaggi com Bud Powell hanno guadagnato la pazzia grazie ad una manganellata infertagli alla testa da un poliziotto bianco. Si può quindi facilmente comprendere quale fosse l'atteggiamento di un gruppo di musicisti neri che, oltre a vedersi sopraffatti su tutti i piani della vita sociale, si vedevano "scimmiottati" sul piano artistico, spesso con pessimi risultati. E non di rado, a loro era riservata un'entrata particolare (quella del retro) nei locali in cui andavano a suonare, mentre ai colleghi bianchi (molto meno validi) era concesso entrare da quella principale. Vien rabbia solo a pensarci... no? Dunque, lasciamo un attimo da parte le questioni razziali, che (almeno per oggi) non ci competono, ed andiamo ad approfondire la questioe Jim Hall. Già sapevo cosa aspettarmi da Jim, in effetti, chiunque abbia frequentato una buona dose di seminari, sa perfettamente che, più delle nozioni apprese (che spesso sono nulle, per chi già studia da anni) è importante guardare il personaggio. Io volevo guardare Jim dritto negli occhi, per riuscire a percepire la mole di storia, di musicisti conosciuti, che quell'uomo portava dentro. E' facile capire come queste persone non sappiano nulla in più di un comune professionista di buon livello, in termini di tecnica armonica e improvvisativa. Quello che fa la differenza, sta negli occhi. E nel modo di vedere la musica, di sentirla, di accoglierla dentro di sé. E' semplicemente spaventoso guardare un personaggio del genere dritto negli occhi, ti riempie di cose, immagini, velocemente, ad un ritmo che la tua testa non può seguire. E' il flusso della storia portato in un uomo, un vecchietto. Di quelli che potete vedere tutti i giorni in strada. Non ce la fai a contenerlo. Inizia il seminario, e Jim inizia a spiegare il suo punto di vista circa l'improvvisazione, che lui vede più di ogni altro musicista jazz come una composizione estemporanea, come un'altra partitura scritta con sapienza, in modo logico, pacato, un altro tema che si svolge dopo quello principale. La sua D'Acquisto caccia un suono che io, sinceramente, non so spiegare. Era come risentire 300 dischi tutti isieme... vedere davanti a sé quello che avevi soltanto immaginato, quando da piccolo,incantato davanti allo stereo, provavi a farti un'idea dei signori che stavano suonando. Più volte ha omaggiato il pubblico con delle perle musicali suonate sedutastante, in chord melody, con quelle mani vecchie e rugose, che si muovono impacciate, tremolanti. Ed ogni intermezzo, inutile dirlo, era degno del più sonoro degli applausi. Finisce il primo set. Usciamo dalla sala, io senza accorgermene prendo a spallate un tizio, per passare in un punto stretto, tra le sedie, mi giro, ed è Jim. Cacchio! ho pensato, stavo per fare un danno! Lui mi guarda, e con aria colpevole mi dice "oh, sorry", io di pietra. Una cosa del genere la fece anche quando, da bambino, andai a vedere un suo concerto in un teatro. Al termine, vedendo che tutti si facevano firmare i biglietti, mi lasciai convincere, e visto che di gente non ce n'era più, andai a chiederli una firma su un pezzo di manifesto che avevo stracciato, non avendo altra carta. Anche in quell'occasione, dopo avermi firmato il manifesto, mi disse "thank you very much, thank you". Un uomo che è il chitarrista bianco più famoso della storia del jazz, ti ringrazia "per la stima", per avergli chiesto un autografo... Fuori dalla sala, vedo Jim disorientato, che si guarda intorno. Il suo sguardo incrocia il mio, per caso, poi mi dice "dove posso caffè?", ed io gli indico il bar vicino. Pensieroso, mi guarda ancora, e mi chiede se voglio fargli compagnia. Mah... eheheh... ci devo pensare... E' lì che inizia a raccontarmi le cose più belle, quelle per cui è valsa la pena (tra le altre) di aver frequentato quella master class. Inizia a raccontarmi di Sonny, di come decise di andare a vivere sotto un ponte, di che grande uomo si trattasse. Mi raccontò che aveva più volte visto Sonny dimezzare la propria paga, per dare un adeguato compenso ai musicisti che chiamava a suonare (molto meno famosi di lui). L'opposto di come si fa a Napoli, qui, quando chiami un musicista (spesso più famso di te), meno lo paghi, e più sei dritto. Mi raccontò come, secondo lui, Sonny avesse più frecce al suo arco di John Coltrane, e mi spiegò il perché. Mi raccontò di come Bill Evans si vergognasse della sua tossicodipendenza, e di come, nonostante la sua malattia, si recasse sempre puntuale e ben vestito agli appuntamenti di lavoro. Della tristezza che c'era nei suoi occhi. Mi disse di non fumare, perchè la figlia di un suo collega (Paul Desomnd se non erro) stava morendo per un tumore ai polmoni, e che se volevo vivere più a lungo non dovevo fumare. Mi diede una pacca sulla spalla, e mi disse che era ora di ricominciare il seminario. Così rientrammo, e il seminario andò avanti. Ora, a distanza di anni, conservo una foto che facemmo insieme, per strada. Tutti si affollavano per fotografarsi con lui, io sono molto timido, preferì evitare. Ma fu lui a chiamarmi e a chiedere ad un ragazzo lì presente di scattare una foto. Conservo anche l'autografo per il quale mi ringraziò. La foto è appesa al muro, piccola, in una cornicetta. Di fronte le risponde un manifesto bello grosso, con il volto in primo piano, sorridente, di quel vecchietto che tanti anni fa, decise di fare il musicista per acchiappare più donne, seguendo l'esempio dello zio. Scusate se sono stato un po' prolisso. Dedicato all'amico Fake.
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