Nick: IoOdio Oggetto: Capitolo 9 - Donne per caso Data: 29/11/2003 17.34.6 Visite: 538
Un attimo di pausa, adesso. Così, semplicemente, per fare mente locale. Per fare il punto della situazione. Che ca##o stava succedendo? Quell’imbecille prima l’aveva fatta aspettare per un’ora, costringendola a cercare scuse e giustificazioni assurde, poi era finalmente arrivato a bordo di una vespa, per Diana, non su una stupidissima automobile come avrebbe fatto una qualsiasi persona normale; e infine, e questa era fra tutte la cosa più incomprensibile, le aveva detto che no, quel matrimonio non s’aveva da fare, lui che fino al giorno prima aveva ostentato sicurezza, lui che giurava che le sarebbe stato vicino per tutta la vita. “Beh, Sara… vedi il lato positivo… adesso potremo uscire allo scoperto, non avremo più nulla da nascondere… non trovi?” E sì, come se non bastasse, ora ci si metteva pure quest’altro, con la sua insistenza e la sua richiesta di continue attenzioni, lui che senz’altro le piaceva, lui che la faceva divertire come nessuno, con quelle sue manie e quelle bizzarre utopie da scienziato pazzo – Sara amava pazzamente Pierluigi, come no, si era rivelato un delizioso passatempo per tutte quelle volte che litigava con Vittorio, per tutte quelle sere trascorse da sola, senza una parola dolce o una carezza, con la gelida compagnia di un televisore o di un sacco di ricordi, promesse non mantenute e sogni andati in frantumi. E adesso che fare? Sara si trovava in mezzo a un mucchio di persone, ma si riscopriva tremendamente sola, con un sacerdote che la guardava sbalordito e addosso un vestito da sposa che le esaltava il sedere, oltre agli sguardi insistenti e morbosamente curiosi dei suoi parenti, dei suoi conoscenti, di uomini insipidi che sbadigliavano e di vecchie incartapecorite, che la guardavano con severità o indifferenza e bisbigliavano, senza che lei sapesse cosa fare; quando il mormorio divenne insopportabile, amplificato com’era dalla tensione e dalla stizza, Sara sentiva di stare per esplodere, e all’improvviso urlò: “Ma che CAZZO avete da DIRE? Ma che CAZZO avete da GUARDARE? Vi odio, VI ODIO TUTTI!” L’intera platea si ammutolì. Qualche colpo di tosse qua e là e infine, dopo qualche secondo di silenzio, una voce si levò stentorea dal fondo: “Ma questo significa che i regali ce li possiamo riportare?” “Credimi, è stato terribile… all’improvviso sono entrati in casa, non so come abbiano fatto, forse qualche porta era aperta… mi sento tremendamente in colpa, ma non ho potuto farci niente, mi hanno minacciata con un coltello, dicevano che mi avrebbero uccisa… avevo paura, ero terrorizzata… dopo non ricordo più niente perché sono svenuta, chissà che mi avevano fatto bere…” Dopo aver detto questo, Monica scoppiò in lacrime. Era confusa, disorientata, sconcertata per quanto era successo, e seriamente preoccupata per quello che di lì a poco sarebbe potuto accadere; si sentiva in colpa, come se fosse in un certo qual modo responsabile del rapimento, ma d’altronde era consapevole che, sola e indifesa, non avrebbe potuto fare gran che per evitarlo. “Non è colpa tua, come devo fartelo capire?”, le disse Antonio sorridendo; subito dopo l’abbracciò, asciugandole con una carezza le lacrime. “Vedrai che tutto si risolverà nel migliore dei modi, oggi pomeriggio ho parlato con Vittorio e mi ha detto che al bambino non hanno fatto nulla di male… non preoccuparti, Monica, poche ore e tutto sarà risolto!”, anche se Antonio sapeva fin troppo bene che non era così. “Sai cosa è successo oggi, in Chiesa?”, riprese a raccontare Antonio, allo scopo di regalarle un sorriso; “Dopo che Sara se ne è uscita con quella sparata – tu la sai Sara com’è, no? te ne ho parlato tante di quelle volte! – dopo che se ne è uscita con quella sparata, stavo dicendo, tutti sono rimasti allibiti, erano sconvolti… sembravano delle mummie! Allora a me è venuto spontaneo chiedere ad alta voce se i regali ce li potevamo riportare indietro… non si sa mai, magari il mio lo posso riciclare!” “Ma facevi sul serio?” “Ehm, diciamo di sì… e poi volevo stemperare la tensione che si era venuta a creare, ma lo sai pure tu quelli come sono… mi hanno guardato con una faccia!” “Non ci credo!”, disse Monica, finalmente sorridente. Chiara, intanto, era stata accompagnata a casa di Vittorio. A un certo punto, dopo che tutti se erano andati, lei era rimasta sola, in un’abitazione che era stata progettata dal suo uomo, dal suo amore di sempre, ma non certo per lei; era come se Chiara potesse riconoscerlo, Vittorio, nel suo modo di arredare la casa, di organizzare ed abbellire il suo spazio, ma nel contempo le appariva chiaro che quell’ambiente recava diverse tracce, tracce che di sicuro non potevano appartenere a Vittorio. Attraverso le immagini e gli oggetti sparsi per la casa, Chiara poteva ricostruire un percorso – un percorso che, fino ad un certo punto, era stato anche il suo. Quella solitudine, per lei, era opprimente, difficile da sopportare, perché la costringeva a riflettere sul passato, e sull’imperdonabile errore che aveva commesso; la stava portando ad immaginare come sarebbe stata la sua vita, se avesse parlato chiaramente a Vittorio del bambino che portava in grembo, invece di scappare e illudersi di poterlo dimenticare; a volte pensava di avere sbagliato proprio tutto, nella vita, altre che bisognava soltanto guardare avanti, adesso – pensare al passato avrebbe potuto distruggerla, ma a cosa poteva mai pensare, in quel frangente? Il suo equilibrio così precario, fino ad allora, si era retto sulla frenesia della vita quotidiana, che le impediva di fermarsi a riflettere; ma adesso che era tutta sola in quella casa così grande, una casa che non avrebbe mai potuto sentire come sua, come avrebbe fatto? A un certo punto, si accorse di alcune pasticche che Vittorio, presumibilmente, aveva lasciato sul tavolo della cucina; erano di colore rosa e ricordavano, sembravano, anzi erano, quelle stesse pasticche che le avevano dato sotto banco, quelle dal nome così strano che non ricordava mai. Quelle pasticche, in poche parole, che le permettevano di sognare il passato ed il futuro come se fossero un film, un’avventura magica. Ma cosa era successo davvero e cosa era stato solo sognato, allora? Dove poteva essere collocata, quindi, la linea di demarcazione fra sogno, incubo e realtà? Per lei tutto era cominciato con quella notizia al telegiornale… ma poteva essere sicura che fosse vera? Certamente no, dal momento che ad essere rapito è stato Andrea, e non Pierluigi; e doveva aveva lasciato Andrea, dalla madre o dalla baby sitter? Le sembrava di averlo portato da sua madre, ma evidentemente aveva sognato tutto; come al solito, il bambino era stato affidato alle cure della dolce baby sitter. E perché si era trovata lì? Per il rapimento di Pierluigi? No, quello lo aveva solo sognato, come aveva solo sognato l’incontro con lui – e chissà se quei sogni non fossero stati condivisi da qualcun altro, come se facessero parte di una realtà altra; l’unica certezza, per lei, era la volontà di rivedere Vittorio, solo quello. Era riuscita a ricongiungersi con lui, come per miracolo; ma poteva esserne realmente sicura? Nel dubbio, Chiara ingurgitò altre di quelle pasticche rosa; poi un rumore, una luce che si accese all’improvviso, dei passi su per le scale, ed una paura intensa. Chi poteva essere? Ovviamente Vittorio, distrutto e sconvolto, e con l’aria greve di chi ha qualcosa di importante da rivelare. Le sembrava evidente che la situazione era tutto fuorché migliorata. Almeno che non stesse sognando.
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