Nick: velvet Oggetto: Capitolo 12 - Luci e riflessi Data: 10/12/2003 13.41.58 Visite: 647
Come poteva dormire, sognare, in un momento del genere? Eppure doveva farlo, per avere le sue risposte, trovare Andrea. Tentava di rilassarsi, di respirare col ventre, rilasciava i muscoli: prima le gambe, pesanti ..così.. poi le cosce, le mani ..piombo.. le braccia, la testa.. .. Una stanza semivuota, al centro un tavolo. Nell’angolo a destra del tavolo un martello. Prova a sollevarlo, vorrebbe vibrarlo per spaccare qualcosa: il tavolo, la porta, se stessa. Ma l’arnese è pesante, i suoi movimenti risultano lenti, impediti, come se si trovasse in acqua. Prova a rovesciare il tavolo con violenza, ma l’aria stessa è densa, materica: il tavolo si capovolge lentamente, tocca il suolo con un rumore sordo, ovattato. Il tavolo si scioglie, a formare una pozzanghera di liquido scuro, acqua torbida. Chiara si specchia, ma l’acqua le rimanda l’immagine di suo figlio, poi Vittorio, poi Andrea di nuovo. Un grido le si soffoca in gola, vorrebbe urlare, ma tutto quello che riesce ad emettere è un lungo sibilo, un soffio, un lamento, prima di scoppiare in un afono pianto dirotto. Poi una luce, tante luci, accecanti, dal basso. E la sensazione di avere molti sguardi addosso. È su un palcoscenico. Accanto a lei c’è un tavolo, in marmo. Sul tavolo c’è Vittorio - o Andrea? –o è lei stessa? Può sentire il freddo del marmo sotto la schiena nuda… ..Si guardò intorno, fuori dalla finestra ancora il buio. Le coperte a terra, al lato del letto: doveva essersi agitata nel sonno. Ancora nel dormiveglia, provò a riflettere su quanto aveva sognato; le risposte che aveva sperato di trovare sembravano non esserci: leggeva nel sogno solo la trasposizione onirica di quel senso d’impotenza che s’era impossessato di lei non appena aveva saputo della scomparsa di Andrea. Si sollevò a sedere, per raggiungere il blocchetto e la penna che la sera prima aveva poggiato sul comodino. Nella penombra scrisse quanto ricordava del sogno. L’indomani, forse, sarebbe stata più lucida, avrebbe potuto leggervi dell’altro. Ora era tempo di dormire, ancora, e sognare, cercare. “Non mi sembra il momento. Siediti piuttosto”. “Ma scusa, mi era sembrato che fosse tutto a posto, sembravi tranquillo”. “Ora ti spiego: mi hanno contattato”. “Chi?” “Piano. Ti spiego, ho detto. Le persone che hanno preso Andrea, mi hanno chiamato.” “Che c’entri tu? E che ne sai di Andrea?” “Me l’hanno detto loro, che hai un figlio.. e che l’hanno preso. Vogliono una cosa da me, Vittorio. Tu non c’entri. Lavoravo per queste persone un po’ di tempo fa. Hanno finanziato alcune mie ricerche.. E’ una cosa tra me e loro. Andrea non c’entra. Tu non c’entri. Risolverò questo problema, da solo”. “Come sarebbe a dire che Andrea non c’entra? Perché rapire proprio lui allora? E che cazzo, Piggi.. rispondimi! Perché i dodici hanno preso mio figlio?” “Che ne sai, tu, dei dodici?” “Li ho sognati. Ho sognato che ti rapivano.” “Ci sei andato vicino, come al solito. Ma, scusa.. e l’Ipnocil? L’hai smesso?” “No, non so come sia potuto accadere.. Ma non cambiare argomento, ora”. “I dodici.. Vittò, è difficile. Mi odierai per questo. Ma tanto, prima o poi. Quello che ho fatto aveva un senso, almeno per me. Non volevo metterti in questo casino. Ho tradito la tua fiducia”. “Parli di te e Sara?” “Me e Sara? Hai sognato anche questo”. “Si.” “Eh.. ma quella è un’altra storia”. “Allora cos’altro mi hai fatto? Parla. Tanto ormai..” “Ci conosciamo da molto, Vittorio. Da quando ero ancora studente a medicina. Ero un idealista. La fine che aveva fatto mio padre, a causa delle sue frustrazioni, le emicranie fortissime che ne derivavano.. ricordi? Volevo trovare un farmaco che facesse scomparire l’emicrania in modo permanente..” “Credevo fossero solo progetti, come tutto il resto. E poi, che cazzo c’entra questo con me? Con Andrea?” “C’entra. Non sono quello che credi. Le mie ricerche non erano il farneticare di un illuso. Ho trovato dei finanziatori, persone che hanno creduto in me, per la prima volta. I dodici, appunto. Hanno investito molto sulle mie ricerche. Messo a punto il farmaco, dovevo sperimentarlo. I sogni che fai, quelli che ti fanno intravedere le cose che accadranno. Ti ho sempre detto che non c’era una spiegazione scientifica per quei sogni. Sono un effetto collaterale del mio farmaco contro l’emicrania.” “Piggi, ma che cazzo..?” “L’ho sperimentato su di te. Avevi sempre quel mal di testa.. Ho sostituito il farmaco che prendevi abitualmente con il mio. Era anche facile per me osservare gli effetti del mio preparato, stando sempre a stretto contatto. Ma quando mi sono accorto di ciò che ti stava accadendo, dei sogni, delle premonizioni, ho smesso di somministrartelo e mi sono tirato fuori dal programma di finanziamento ed ho iniziato a lavorare all’Ipnocil: dovevo riparare, in qualche modo. Questo è tutto, Vittorio. So che adesso mi odi. Ma ti chiedo di fidarti di me per un’ultima volta.. per riprendere Andrea. Voglio risolvere questa cosa da solo. Non devi entrarci. Riavrai tuo figlio. Fidati.” “Ma ci sono già dentro, porca puttana! E non solo io: ad Andrea ci pensi? Mio figlio.. Per quale motivo dovrei ancora fidarmi? No, Pierluigi, non voglio niente da te. Levati dalle palle. Andrea me lo riprendo da solo”. “No, Vittorio. Risiediti, aspetta. Vogliono me, i risultati delle mie ricerche. Pretendono che io continui a lavorare per loro. Hanno rapito Andrea per un unico motivo: se io avessi rifiutato di collaborare avrebbero ricattato te. Ti avrebbero catturato per esaminare le mutazioni permanenti provocate dal farmaco nel tuo corpo. Ti prego, lascia fare a me. O almeno prenditi un po’ di tempo, pensaci. È la tua vita. te l’ho resa un inferno: permettimi di riparare”. Una stanza vuota. Un tavolo, al centro. Andrea era seduto a terra, in un angolo; lo sguardo, carico di timori ed aspettative, fisso sulla porta. In qualsiasi momento sarebbe potuto entrare quell’omone rude e sbrigativo che gli portava da mangiare. Lo stesso che gli aveva detto di non frignare, che suo padre sarebbe venuto a riprenderselo. Il suo papà.. sarebbe potuto entrare lui da quella porta. L’uomo che ormai era una delle tante figure fantastiche con le quali giocava la sua immaginazione. Abituato alla solitudine, cresciuto praticamente da solo, senza fratelli, senza un padre, una madre quasi sempre assente, sempre a lavoro, passava le ore a giocare da solo, con la sua mente, perdendosi in luoghi inventati, tra persone che non aveva mai conosciuto. La sua attenzione si era gradualmente spostata sull’unica lampada: arricciando il naso e aggrottando la fronte stringeva gli occhi, fino a farli diventare due sottilissime fessure. La lampada diveniva allora una croce luminosa, e Andrea inclinava la testa prima da un lato, poi dall’altro; la luce giocava con lui: ruotando si trasformava in una stella. “Tieni. Mangia”. Era tornato quel signore, ancora più grosso e scuro, poiché si era piazzato davanti alla lampada, distogliendo Andrea dal suo gioco, tendendogli delle merendine.
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