Ai nostri giorni, la pelle abbronzata è per molte persone una componente del proprio "mito". In passato non era così. Prima: tratto caratteristico delle classi più umili... Fino all'inizio del secolo appena trascorso l'abbronzatura della pelle non costituiva un fattore estetico di maggior fascino ("signorinella pallida, dolce dirimpettaia del quinto piano...") o l'emblema di una reale o presunta emancipazione sociale; al contrario, l'accentuata pigmentazione del volto, delle mani e degli avambracci prodotta dalla radiazione solare era un tratto caratteristico di coloro che appartenevano alle classi sociali più umili e disagiate (contadini, braccianti, operai, pescatori). Dopo: essenza estetica delle classi più abbienti Dopo la prima guerra mondiale, al "mito" dell'incarnato pallido si è andato sostituendo gradualmente il mito della "tintarella". Narrano le cronache del tempo che fra le prime entusiaste sostenitrici della nuova moda vi fosse la grande sarta parigina Coco Chanel, affezionata frequentatrice delle località balneari della Costa Azzurra. Nel volgere di qualche decennio, nell'immaginario collettivo l'abbronzatura è stata percepita come l'essenza estetica che distingue le persone delle classi sociali più abbienti, di coloro che possono permettersi anche consumi voluttuari, vacanze nelle località marine e montane, viaggi e vacanze ai tropici, regolare attività sportiva in ambiente aperto, che amano e vogliono esaltare la tonicità del proprio corpo. La pelle abbronzata è diventata perciò un simbolo che suscita allo stesso tempo ammirazione e invidia, una nota di colore che distingue dalla massa, rende più affascinanti e attraenti, alla quale, impropriamente, viene associata la sensazione psicofisica di essere in forma e di godere buona salute. |