Nick: rockgirl Oggetto: Droghe&Società Data: 28/11/2005 14.19.16 Visite: 171
Sono chiamate psicoattive quelle sostanze altamente attive a livello del Sistema Nervoso Centrale, e in grado, di conseguenza, di alterare l'umore, il comportamento o le percezioni di chi le assume. Troppo spesso indistintamente e acriticamente relegate all'ambito dell'abuso e delle tossicomanie, ma in realtà oggi rappresentate da molecole frutto della più avanzata ricerca biomedicale nella cura di disturbi psichici (emotivi, comportamentali, psicotici), ma soprattutto da sempre in profonda relazione con le radici antropologiche della cultura e delle società umane. Inutile negare, inoltre, che questa categoria di molecole è da decenni al centro di serrati dibattiti politici e culturali, oltre che oggetto di particolare attenzione da parte dei media, a causa dei notevoli risvolti sociali, spesso cronaca di squallore e degrado, di cui tutti siamo a conoscenza. Basta, perciò, liquidare una questione così complessa attraverso la criminalizzazione e la facile demagogia? O forse ci sarebbe bisogno di un’informazione più approfondita a imparziale? Ogni civiltà, più o meno avanzata, ha sviluppato le proprie particolari tradizioni nell’ambito degli stupefacenti, parallelamente a quello della cultura e della religione, in una rete di connessioni profonde tra arte, mito, riti, medicina. Livello mistico-sacro e mitologico camminano in questo senso parallelamemte(...)Attraverso la trance ipnotica, ad esempio, lo sciamano perde coscienza del proprio corpo, che viene posseduto dagli spiriti che opereranno la preveggenza, o la guarigione del malato. E per trascendere, egli ha bisogno di preparati magici che alterino le percezioni ed amplino la coscienza di sé e del mondo. Questi preparati altro non sono, generalmente, che estratti naturali contenenti sostanze stupefacenti, il cui impiego è stato accertato come universale: versioni dello sciamano e dei suoi riti magico-psichedelici appartengono alla memoria e alla tradizione delle civiltà precolombiane dell’america latina, terra d’origine del peyotl, il cibo degli dèi, e degli stregoni tolteci raccontati da Castaneda nel corso dei suoi viaggi. L’uso dei derivati della cannabis e del papavero da oppio è millenario presso i popoli del medio e dell’estremo oriente, compresi antichi egizi e cinesi, quali rimedi di medicina popolare, ma soprattutto nell’ambito delle pratiche religiose e meditative. Le civiltà del bacino mediterraneo e nord-europee, invece, hanno sviluppato soprattutto la coltivazione della vite e dei cereali, e, di conseguenza, la produzione e il consumo delle bevande alcoliche, che entrano a far parte delle tradizioni e delle liturgie di tutta l’area, dai riti dionisiaci all’ultima cena. Le droghe sono da sempre uno degli strumenti più potenti per spostare il confine tra umano e spirituale, e renderlo più labile; ma non tutti hanno le conoscenze e il potere per usarle: considerato il loro significato profondo e simbolico, la conoscenza di queste sostanze rafforza un sapere magico ed esoterico, e, di conseguenza, un riconoscimento insieme sovrannaturale e sociale. Lo sciamano, la setta, o la casta sacerdotale diventano i depositari della conoscenza, che va gestita e controllata. Fino ad un certo punto dell’evoluzione delle società umane, quindi, le droghe hanno contribuito alla istituzione di ordine sociale, alla divisione in classi…, a patto, però, che un prodotto in origine naturale e disponibile per chiunque, diventasse, proprio come la gestione della spiritualità e di riti, appannaggio esclusivo degli iniziati a quelle conoscenze e quelle pratiche mistico-religiose... Da elemento centrale dei rituali religiosi, gli stupefacenti cominciano a diventare coi secoli sempre più un problema e una questione sociale, processo che culmina nelle politiche proibizioniste di inizio ‘900 e durante gli anni ’70. Oggi le sostanze psicotrope hanno perso la loro originale valenza, diventando essenzialmente uno strumento di evasione in più da un mondo che Sartre definisce eticamente indifferente; possiamo considerare la storia recente del loro consumo (negli ultimi 100 anni) come parallela a quella della società di massa. L’era industriale ha trasformato le droghe in un prodotto di consumo qualsiasi, a seconda dei casi legalizzato ed incoraggiato (alcool), o variamente avversato (tabacco e fermaci), spesso esplicitamente osteggiato e represso (cannabis e droghe "pesanti"). La commercializzazione e la soggezione alle leggi della domanda e dell’offerta (seppur del mercato illegale specializzato a trattare simili beni) sono il risultato di una perdita intrinseca di significato. Al pari dei target sociali come per qualunque macchina o capo d’abbigliamento, esistono ben precisi profili del consumatore-tipo delle differenti classi di droghe: la massificazione e l’omologazione sociale ha sostituito ai riti magico-religiosi della tradizione quelli postmoderni del rave-party a base di LSD, della pasticca in discoteca e dello spinello in piazzetta… se da una parte le droghe si specializzano, e sempre meglio individuano categorie di consumatori-tipo specifiche, dall’altra subiscono l’inevitabilmente processo di banalizzazione e appiattimento che coinvolge il nostro tempo per intero. E perciò, se la cocaina diventa una droga per ricchi, se l’eroina continua a raccontare emarginazione e sofferenza sociale, se non c’è studente delle superiori che non abbia avuto a che fare anche indirettamente con la marijuana, forse la relazione che l’occidente ha finito per instaurare con queste sostanze è di una superficialità estrema, ma lo è soprattutto il tono della grande maggioranza degli interventi in merito.
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