Nick: P_Escobar Oggetto: LA GUERRA DEGLI ULTRAS Data: 1/10/2003 2.2.48 Visite: 19
Fa caldo. Appiccicoso e insopportabile. La doccia che ho fatto dieci minuti fa è già un ricordo appena metto piede fuori dall’albergo. Sembra estate: torrida, piena di smog, ma soprattutto fuori stagione. M’infilo in macchina e spingo al massimo l’aria condizionata, sparò a volume di pompa “Curre Curre guagliò” , 99 posse la colonna sonora migliore per il mio ritorno nel quartiere. Ma è anche un viaggio nel tempo, quando occupavo i centri sociali e passavo le notti a chiedermi se la mattina dopo mi avrebbero svegliato le facce di merda della digos. Esco dal parcheggio, un cenno di saluto al custode e m’infilo nel traffico del viale. Che bordello, su entrambi i sensi macchine in fila che sputano merda. Se ci fosse la classica tartaruga ci farebbe il culo. Secoli di tecnologia messi ko da un animale che viene dritto dalla preistoria: che figura di merda. Penso che avrei fatto prima a piedi, ma a parcheggiare non ci penso proprio. Me ne sto nella mia due posti a godermi alla grande il fresco dell’aria e in culo al tempo che ci metterò per arrivare. Sulla destra si apre un varco, pesto sull’acceleratore e guadagno posizioni, accompagnato da una folata d’irripetibili bestemmie. Uno in una cazzo d’utilitaria travestita da coupè ci prova, tutto a bravo ragazzo lui, con gli occhiali da sole e sono sicuro che ha la custodia nel cruscotto, cazzo non li può graffiare. Ma non c’è storia e resta lì a pagare il conto. S’innervosisce e io me la godo. Cazzo vuoi? ti compri un cesso come questo e vuoi passarmi davanti? Certa gente non ha il senso della realtà. Lo so hai un bel mazzo di rate da pagare alla hiunday, ma lei ti vende un pezzotto sottocosto e tu te lo compri, perché vuoi la tua fetta di gloria, ma è piccola amico la fettina e tu non sei Shumaker. Buttati nel cesso, che io devo arrivare al semaforo e poi tutto sarà più semplice. Dieci minuti e ci sono: un po’ faccio la pecora in fila come gli altri, ma pronto a guizzi improvvisi appena si apre un varco nella lunga carovana. Non metto la freccia e giro a sinistra, nessuno se n’accorge, è bello tornare a casa. Vado giù lungo la strada tutta curve che attraversa il quartiere. Sulla destra le prime case popolari, cazzo senti il cuore: fa tump tump, che storia. Possibile che questo cesso di posto possa scatenare tanta emozione? Devo essere pazzo. Do un’occhiata intorno e guarda che cambiamenti. Sia chiaro: è sempre il solito cesso, con questi palazzi color piscio a quattro piani costruiti già vecchi negli anni ’60, ma sui tetti ci sono un casino di fiori ed hanno la forma d’antenne satellitari. Sono sicuro che a farsi un giro, ma proprio casa per casa, non c’è nemmeno un abbonamento onesto. Ma i papponi della pay tv mica possono pensare che loro ti criptano tutto quello di buono che c’è da vedere e tu paghi? Non nel mio quartiere almeno. Tipo vogliono venti carte per una partita, dieci per un film e in chiaro che ti mollano? Un cazzo di Emilio Fede? Ogni tanto poi ste teste di cazzo fanno un nuovo sistema anticlonazione assolutamente inespugnabile, come dicono loro, e tempo due mesi non te lo squagliano come un pezzo di marocco primero? Tenero, tenero. E male che va, che non ci sono un bel tot di vecchi nullatenenti per intestargli contratti che nessuno pagherà mai? Qui è pieno di vecchi e non hanno un cazzo. Sei mesi tira a campare e appena ti staccano tiri fuori l’asso dalla manica: il vecchio di riserva. Poi guarda qua che graffiti, e che cartelloni pubblicitari giganti tutti colorati che ci stanno bene sullo sfondo di piscio. Arrivo in Piazza e parcheggio davanti al vecchio bar Annunziata, è sempre stato il nostro luogo di ritrovo e mi sembra il posto più scontato dove cominciare il mio viaggio a ritroso nel tempo. Di fronte, nei giardinetti spelacchiati al centro della piazza staziona una piccola folla di arabi e neri: una novità assoluta. Entro nel bar e prima della vista l’udito mi avverte che sto per fare il primo incontro. In fondo, intorno a un paio di tavolini un bel festival delle sottoculture giovanili dalle origini a oggi. Un allegro mucchio di capelli rasati, camicioni Mecca, polo Fred Perry e Lonsdale, capelli lunghi, jeans rivoltati all’orlo, doppi tagli, Doc Martens con la punta d’acciaio. Tutti hanno tatuaggi che coprono una parte molto ampia del corpo che mostrano. Al centro di questa variopinta umanità spicca un grosso skin che tiene banco, è un filo più vecchio degli altri ed è trattato con una certa riverenza. Quello skin è mio fratello Bidone. Nessun legame di sangue, ma vent’anni passati insieme sulla strada, che non valgono allo stesso modo di un utero che ti ha partorito? E’ invecchiato bene e qualche chilo in più è ben distribuito lungo i suoi 185 cm. Indossa una camicia button down Ben Sherman azzurra, i Levi’s schiariti dal tempo e rivoltati, rangers con la calotta e ha un taglio da macchinetta uno. Cacato fuori dai primi ’80. Uguale, uguale. Resto lì, voglio gustarmi ogni istante con la mente che fa avanti e indietro. - Gli rompemmo veramente il culo. Sono le prime parole che colgo e l’esordio di Bidone è all’altezza delle migliori tradizioni. Le storie di ultras, agguati e ferimenti, sono pane quotidiano al Bar Annunziata. - Quei pezzi di merda, mangiapolenta del cazzo, avevano appeso il quadro a un brutto chiodo. Mai mettersi contro la paranza. Era il nome col quale qualche anno prima aveva battezzato coi suoi soci il loro gruppo da stadio. La scritta non l’avresti ritrovata su nessuno striscione, nessuna sciarpa, nessuno stendardo. La firma la mettevano a colpi di coltello e spranga e si diceva in giro che nessuna delle vittime avesse mai avuto difficoltà a leggerla. Parlavano di modello inglese, ovvero non un gruppo formalmente costituito, ma un branco di cani sciolti che sapeva apparire nel posto giusto al momento giusto. Un tot di brigate di venti, trenta elementi, che appariva dal nulla e scatenava l’inferno. Coesione totale e impermeabilità alle infiltrazioni sbirre. In Italia erano stati probabilmente i gialloblù del nord est a farlo per primi, ma nessuno dei presenti lo avrebbe mai ammesso. Troppo odio, troppi striscioni razzisti, troppi scontri, avrebbero tenuto lontana ogni possibile imparzialità. Erano i tipi, loro e gli altri, che non avrebbero esitato a scatenare la più cruenta delle guerre etniche. Nord contro sud, una storia antica, che continuava anche se le migrazioni interne, la televisione e gli effetti della globalizzazione rendevano giorno dopo giorno il paese sempre più simile e piatto. Del resto non era stato così nella ex Jugo? Con gli Ultras della Stella Rossa di Belgrado e della Dinamo Zagabria a risolvere vecchie ruggini a colpi di AK 47. E poi l’Italia era un paese per modo di dire, niente a che vedere con Francia, Inghilterra, Spagna. Quelli stavano insieme da centinaia d’anni. Avevano avuto modo di sentirsi una sola nazione, orgoglio nazionale educato dalla convivenza. Invece il belpaese era un mucchio di campanili e tutti erano contro tutti. Ognuno impegnato a fare il culo al proprio vicino per dimostrare di essere il più duro. Pure la lingua era artificiale. L’italiano? E chi cazzo lo aveva mai parlato? Certo non era più come fino a trent’anni prima, quando due italiani avrebbero avuto serie difficoltà per comunicare l’uno con l’altro, ma restava il fatto che attraversando il paese sentivi più accenti che deodoranti su un bancone di supermercato. Riprende. L’attenzione dei presenti è all’apice, nessuno dei figli di puttana assiepati intorno ai tavoli del caffè Annunziata lo interromperebbe, per nulla al mondo. - E’ andata più o meno così, noi che siamo in B non abbiamo il piacere da un po’ di anni di incontrare quei merdosi nerazzuri e rossoneri, almeno non secondo il calendario del campionato di calcio, così per rimediare approfittando della trasferta a non più di 50 km dal capoluogo, abbiamo organizzato una bel prepartita con visita a domicilio. E per evitare preferenze abbiamo scelto il derby, abbiamo un’etica e l’equità è uno dei suoi pilastri fondamentali. Fa una pausa studiata, alza la birra, da uno sguardo panoramico ai presenti, pendevano dalle sue labbra, poteva continuare. - Siamo partiti in anticipo, una cinquantina, divisi fra diversi scompartimenti per non dare nell’occhio, abbigliamento regolare e biglietto obliteraaaato. Allunga volutamente la a per sottolineare l’inusualità della parola. Risolini si alzano e occhiate complici rimbalzano rapidamente fra la cricca. Lo amano, sono i suoi ragazzi e lui li ama allo stesso modo, un sentimento assolutamente ricambiato, la grande famiglia della “paranza”.. - Arriviamo al Nord, mattina, ci spostiamo immediatamente nella zona dello stadio, ci dividiamo, una parte verso la curva milanista e gli altri dai cuginetti interisti. Ci tenevamo in contatto coi cellulari, santa invenzione, al figlio di puttana che li ha inventati bisognerebbe fargli un monumento d’oro. E per rimarcare il concetto da un rumoroso bacio al suo micro telefono, senza dubbio il più piccolo e costoso modello sul mercato. - Abbiamo aspettato gli striscionisti, li vediamo arrivare, li inquadriamo rapidamente. Fuori le mazze, srotoliamo le cinture, bottiglie in pugno, siamo partiti alla carica, simultaneamente fuori dalle due curve. Un massacro, li abbiamo presi assolutamente di sorpresa. Dovete sapere cari ragazzi, chiosa fra il paterno e il professionale - che l’elemento sorpresa è fondamentale in ogni azione militare che si rispetti, muoviti rapido, salta fuori dall’ombra, lavoragli il culo e sparisci lasciando i cazzoni a chiedersi che cazzo gli è successo. Stavolta però abbiamo voluto che lo sapessero, credo siano ancora lì due scritte inequivocabili: E’ TORNATA LA PARANZA. E così come eravamo arrivati ci siamo infilati nella metro direzione stazione centrale. In fila col nostro biglietto in mano. Ordinati come una comitiva di devoti a Padre Pio in visita al Santuario di Pietralcina. Mentre intorno urlavano impazzite le sirene sbirre. La cosa bella è che i giornalisti non hanno capito un cazzo. - Come al solito dice Speaker Mostro, il megafono del ghetto, un ragazzino di sedici anni che è un po’ la mascotte del gruppo, ammesso che non risulti incompatibile con l’immagine di una mascotte trafficare in fumo, pasticche e coca. Il suo doppio taglio è fresco di macchinetta, una bella misura zero tutto ai lati e dietro e una uno sulla sommità della testa. Lo schiaffo lo prende sulla misura zero e il suono limpido, uno schiocco, scatena l’ilarità dei presenti. - Vedi Mostro, mio giovane amico, sei un bravo ragazzo, sei la voce del ghetto, le tue rime giovani e audaci sono l’orgoglio del quartiere. Gliele suoni e gliele canti a sbirri e figli di puttana. E poi non sei solo un merdoso rapper boccaperta, anche nella lotta prometti bene e ti dai da fare, però ricorda mai interrompere Bidone quando è intento a raccontare le mitiche gesta belliche della paranza. Speaker Mostro annuisce, ha imparato la lezione e tirerà fuori la frase al momento opportuno, fra qualche anno e allora non sarà la sua testa a schioccare. - Dicevo riprende Bidone - I giornalisti non hanno capito un cazzo, DERBY DI SANGUE AL NORD titolava la gazzetta e sotto, nell’occhiello, scontri fra rossoneri e nerazzurri prima del derby, 22 feriti. Il tono degli articoli era improntato al solito campionario di luoghi comuni e frasi fatte, tenute lì in memoria del pc, files surgelati buoni per ogni occasione. DOVE ANDREMO A FINIRE? LO SPORT DOVREBBE UNIRE E QUESTA FECCIA LO TRASFORMA IN GUERRA. NON SONO TIFOSI MA SOLO TEPPISTI, fu l’autorevole dichiarazione del presidente della federcalcio. Pochi facinorosi non rovineranno la sana passione di milioni di veri tifosi, la sua conclusione. Peccato che loro stessi, avessero trasformato il calcio in un grande circo che esibiva i suoi numeri migliori, con i falsi in bilancio, i passaporti truccati, le partite combinate, la coca a cena e gli anabolizzanti a colazione. I fallimenti continui di società che un tempo avevano avuto la loro bella fetta di gloria. Questo però il presidente Franco Cazzaro non lo diceva, così come evitava accuratamente di fare riferimento alla vicenda che lo vedeva indagato per sottrazione di ingenti somme dai fondi federali. si era limitato a dire un mese prima quando la bomba era esplosa. Del resto era una semplice questione di soldi, sarebbe bastato allargare il giro, aggiungere qualche posto a tavola, stappare qualche bollicina d’annata, mettere giù qualche etto di polvere bianca e il problema sarebbe immediatamente rientrato. Molto più facile additare i pochi facinorosi. E pochi lo erano davvero, una minoranza. Ma la storia la fanno da sempre le minoranze mentre milioni di brava gente sta lì a capo chino pronta a ossequiare e a leccare il culo al vincitore di turno. E sia chiaro facinorosi e teppisti lo erano davvero, perché gli piaceva, perché nessuno gli poteva dire quello che dovevano o non dovevano fare. Gli piaceva lo scontro, l’adrenalina che schizza al cervello e ti fa sentire vivo e se dovevano infrangere la legge almeno lo avrebbero fatto a viso aperto, non certo protetti da consigli di amministrazione e tonnellate di merda sbirra. - Chiaramente i loro Ultras, se così li possiamo chiamare hanno capito tutto, ma anche se sono degli infami bocca larga, questa volta la bocca l’hanno tenuta chiusa. Una figura di merda così cercheranno di limitarla, profilo basso e pedalare, sangue e sudore, aspettando un’improbabile rivincita, ma sono certo si ferma e li guarda negli occhi uno ad uno - che alla prossima occasione sapremo cacciargli in culo tutti i loro propositi di vendetta, gli mettiamo il cazzo in bocca. Chiude, solleva di nuovo la birra e con fare cerimonioso esclama: - Alla salute nostra e alla faccia degli sbirri, degli infami e delle mezze seghe. Attimo di silenzio poi dieci bicchieri si levano e una serie di urla scomposte rompe la quiete pomeridiana del caffè Annunziata. - Oh, mo ti sei messo pure a fare l’oratore? Ti ho lasciato che eri un ragazzino tutto serio e rispettoso della legge e ti ritrovo a fare il Masaniello dietro un pallone di cuoio Gira lentamente il capo verso di me, in controluce deve pensare senza dubbio che sono una visione, ma anche se lo fossi sono certo che non provocherei in lui nessuna conversione o crisi mistica. Vladimir, dice prima piano poi urlando. - Vladimir, bastardo figlio di puttana, fratello, cazzo sei proprio tu, non ci posso credere. Si alza, mi viene vicino e mi stringe in un abbraccio forte, così forte da togliermi il fiato. - Pensavo non ti avrei mai più rivisto, dove cazzo sei stato? Quando sei tornato? Come stai? Resti? - Una cosa alla volta, gli dico regalandogli il più bello e sincero dei miei sorrisi. - Sono tornato stanotte, sto bene, resto. |