Nick: Bukowski7 Oggetto: UGANDA (1) - Guerra Data: 3/3/2006 3.15.58 Visite: 229
Vorrei iniziare stasera, col vostro consenso, una serie di post su tutte le guerre al momento in corso sulla Terra. Guerre che spesso, portando pochi interessi economici, non sono affatto trattate da nessun giornale. Guerre che vanno avanti col consenso dei trafficanti d'armi (senza voler fare polemica, basta una minima ricerca e/o un minimo di interesse per il fenomeno per sapere da dove vengono la maggior parte di quelle armi...). Guerre spesso civili, guerre di cui il mondo vuole fare a meno di parlare. La giustizia, in tutto questo, dove sta? La notizia della morte di 1000 civili ugandesi vale di meno della notizia di un marine americano? No, non rispondete che si tratta di "abitudine". O almeno non fatelo sperando di riuscire a dormire bene stanotte. Se i telegiornali si abituano a queste notizie, non vuol dire che lo debbano fare tutti. Questo ovviamente se vogliamo ritenere l'informazione nazionale CRISTALLINA e assolutamente NON FAZIOSA. Se invece non vogliamo credere a questo, fare due più due è una cosa che ci hanno insegnato svariati anni fa. Innanzitutto: una mappa sulla quale sono segnate tutte le guerre al momento in corso sul nostro pacifico, laico, cattolico, musulmano, israeliano, razzista, armato, buontempone, civile, mondo.
Oggi parliamo dell'UGANDA, una nazione il cui confine ho visto con i miei occhi, purtroppo o per fortuna non potendolo attraversare (ero in Tanzania). Africa centro-orientale Capitale: Kampala Lingua di stato: swahili
Spiegare il perchè della guerra non è facile, ovviamente. Mi limiterò ad alcuni articoli di giornale, almeno vi potete fare un'idea della cosa, e magari a qualcuno andrò di approfondire. Trattasi, in breve, della guerra tra il gruppo di dissidenti e fondamentalisti cristiani noto come LRA, con un esercito formato per lo più da bambini rapiti in fasce e addestrati alla guerra e alla fede in Dio (capaci dei peggiori crimini, come spesso ahimè accade con chi è stato istruito fin da bambino alla guerra) contro il Governo ugandese più o meno democraticamente eletto che si avvale del proprio esercito, l'UPDF. E' opinione comune che la guerra sia iniziata, esattamente 20 anni fa, perché Joseph Kony, un fondamentalista e terrorista cristiano, intendeva spodestare Musseveni per imporre uno stato ugandese basato sull'osservazione dei dieci comandamenti. Se questo, all'inizio, poteva essere vero, nel corso degli anni la situazione è cambiata. La guerra è infatti sfociata in una guerra civile tra 4 etnie diverse, una guerra di attacchi su civili, razzie, stupri per la famigerata "pulizia etnica", una guerra per lo più di bambini, stragi, rappresaglie e campi profughi. Il risultato di questa guerra è un Uganda diviso letteralmente in due con i distretti meridionali in netto sviluppo economico e sociale tanto da garantire il plauso della Banca mondiale che ha inserito l'Uganda tra i migliori paesi africani, mentre nei distretti del nord la gente è costretta dentro i campi protetti, muore LETTERALMENTE di fame (vi giuro...guardate negli occhi una persona che è appena morta di fame e vi spiegherete perchè invece di dormire vi racconto queste cose) ed è tagliata fuori da qualsiasi forma di sviluppo e da qualsiasi partecipazione attiva alla vita politica e sociale del paese. Da questa situazione deriva il pensiero Acholi, quello cioè che la guerra in nord Uganda sia in effetti una "non guerra" dove non esistono le ragioni base per cui un conflitto sia ritenuto tale. Il fatto è che in Uganda non c'è petrolio ne' terra da coltivare. Interessante sarebbe chiedersi perchè gli USA e l'ONU non siano mai intervenuti! Vabè, dai, è una domanda complicata! Le parole di Irene Panozzo, giornalista che da anni lavora sul campo. (...) sono i ribelli del Lord’s Resistance Army (LRA), il sedicente Esercito di resistenza del Signore che da 20 anni insanguina il Nord Uganda. Queste cifre e i dettagli raccapriccianti della strage sono spaventosi. Focalizzarsi sui numeri rischia però di far perdere di vista la realtà della situazione. Si tratta, è vero, di un evento senza precedenti per l’intensità della violenza. Ma è solo l’ennesimo atto di un copione che va avanti da anni senza che nessuno faccia davvero qualcosa. Gli attori protagonisti sono essenzialmente due: da un lato Joseph Kony, visionario leader del Lra, con il suo esercito formato in larga parte da ragazzi e bambini rapiti negli anni di guerra; dall’altro il presidente Museveni e l’Updf, l’esercito nazionale ugandese. In mezzo, migliaia di attori di rango minore. A cominciare dalle milizie locali, che negli ultimi mesi, accusando l’esercito di immobilismo e inefficienza, hanno chiesto al governo di armarsi per difendersi da soli dalle razzie del LRA. E poi naturalmente la popolazione, in larga parte Acholi, che vive nei distretti settentrionali del paese (Gulu, Kitgum, Pader, Lira...), quelli più colpiti dalla guerra. Particolarmente seria è la situazione di bambini e ragazzi di entrambi i sessi, preda preferita dai ribelli, che li rapiscono per trasformarli poi in macchine da guerra. A migliaia, con il nome di night commuters, sul far della sera cercano rifugio presso ospedali, chiese e centri amministrativi per sfuggire ai raid e aver salva la pelle. Ci sono infine i leader religiosi, riuniti da anni in un comitato interconfessionale, l’Acholi Religious Leaders’ Peace Initiative (ARLPI), che cerca di promuovere la pace nella regione. Solo una settimana fa, in un incontro a Roma, mons. John Baptist Odama, arcivescovo cattolico di Gulu e presidente dell’ARLPI, e mons. Mcleord Baker Ochola, vescovo emerito anglicano di Kitgum, ricordavano come la disposizione dei campi per gli sfollati interni sia quasi ridicola. Oppure, visti gli eventi di sabato, irresponsabile. Gli accampamenti dei militari sono solitamente circondati da quelli dei civili, "tanto che viene da chiedersi – sottolineava mons. Odama – chi difenda chi." In reazione ai tristi fatti di sabato, il governo ora promette vendetta. Ma finora la politica del pugno di ferro non ha portato a molto. Inaugurata da Kampala nel 2002 con il benestare del governo di Khartoum, l’ "Operation Iron Fist" ha portato l’Updf oltre confine, nel Sud Sudan, alla ricerca dei santuari di Kony e dell' LRA. A conti fatti, però, sembra che gli unici effetti siano stati un’ulteriore destabilizzazione del Sudan meridionale, teatro da vent’un anni di un’altra guerra civile, e la recrudescenza del conflitto ugandese, che nell’estate scorsa ha raggiunto per la prima volta anche l’Est del paese. Dietro questo fallimento, oltre alle inadempienze del governo e dell’esercito nazionale, ci sarebbe anche il doppiogioco del governo del Sudan. Nonostante l’accordo del 2002 che permetteva all’esercito ugandese di combattere i ribelli sul territorio sudanese, pare che Khartoum continui a sostenere e finanziare il LRA, come rappresaglia per il sostegno che Kampala ha sempre garantito ai ribelli sud-sudanesi dello Spla. E forse proprio da Khartoum potrebbe arrivare l’atto decisivo per la pacificazione del Nord Uganda. Nel caso di una pace tra Nord e Sud Sudan, pace che sembra essere sempre più vicina, Khartoum non avrebbe più motivo di sostenere l'LRA. Potrebbe, forse, chissà. Ma nel frattempo la gente di Gulu, Kitgum e Lira continua a vivere nel terrore di un altro raid. --------------------------- Ma le cose non sono cambiate di una virgola. Meno di una settimana fa ci sono state le elezioni. Ecco come sono andate le cose. (ancora Irene Panozzo) Sabato 25 Febbraio 2006 È ufficiale: Yoweri Museveni è stato rieletto per il terzo mandato presidenziale. L’Uganda sarà quindi guidata dal presidente uscente, al potere dal 1986, per altri cinque anni. Kizza Besigye, il principale avversario di Museveni, è stato di nuovo sconfitto. Come nel 2001. E anche questa volta come allora ha denunciato brogli e irregolarità nel voto, pur chiedendo allo stesso tempo ai suoi sostenitori di mantenere la calma. Gli osservatori elettorali dell’Unione Europea, però, hanno già detto la loro in proposito: è vero, si sono verificate delle irregolarità, ma non di una portata tale da mettere in discussione l’attendibilità del risultato. Che dà al presidente rieletto il 59% dei voti, pari a più di quattro milioni di voti, lasciando a Besigye un buon 37%, che corrisponde a circa due milioni e mezzo di preferenze. Le prime elezioni multipartitiche del paese, che hanno avuto luogo giovedì scorso, si sono svolte in un clima pacifico. Altrettanto pacifica stata l’atmosfera che ha accolto i primi risultati parziali e poi quelli definitivi. Non era scontato che le cose andassero così. In molti temevano che le tensioni e gli scontri della campagna elettorale si ripetessero su più ampia scala anche dopo la chiusura delle urne. Così non è stato, e tutti – dai singoli elettori ai vertici dei partiti – hanno dimostrato una buona dose di responsabilità. Che era invece mancata nei mesi precedenti. A sottolinearlo è stata anche la commissione elettorale, che nel siglare l’attendibilità dei risultati definitivi delle presidenziali del 23 ha anche ricordato come invece la campagna elettorale sia stata segnata da forti irregolarità. Un dato sotto gli occhi di tutti, visto che tutti sapevano che l’arresto di Besigye a metà novembre, solo due settimane dopo essere rientrato da quattro anni di esilio autoimposto, era stato un chiaro tentativo di mettere i bastoni tra le ruote, se non direttamente eliminare, uno sfidante che Museveni temeva. Besigye ha passato quasi due mesi in carcere e da dietro le sbarre è riuscito comunque a firmare le carte per ufficializzare la sua candidatura. Una volta uscito, ha cercato di recuperare il terreno e il tempo perduto, alternando gli appuntamenti con gli elettori in varie parti del paese con le apparizioni davanti alla corte. Una campagna elettorale dimezzata, quindi. Salvata in extremis solo grazie all’indipendenza e all’imparzialità dimostrata dal sistema giudiziario ugandese. Dopo essere stato rilasciato su cauzione a inizio gennaio, Besigye ha infatti ottenuto una serie di piccole vittorie giudiziarie: la corte ha prima definito "illegale" la sua detenzione per terrorismo, poi ha deciso che il suo caso non potrà essere giudicato da una corte marziale e infine che il processo si terrà dopo la conclusione del processo elettorale di questi giorni. Perché in ballo non c’erano solo le elezioni presidenziali, ma anche quelle parlamentari e, nelle prossime settimane, quelle per il rinnovo dei consigli distrettuali e provinciali. Due settimane di test elettorale multipartitico a tutto campo, per la prima volta dopo 26 anni. E che finora non è andato particolarmente male per il Forum per il cambiamento democratico di Besigye. È vero, l’avversario storico di Museveni è uscito sconfitto dalla corsa a due per la presidenza (nessuno degli altri tre candidati era realmente competitivo), seppur raccogliendo un buon numero di preferenze personali nelle città e tra i giovani. Besigye è riuscito però a smuovere le acque stagnanti della politica ugandese, da vent’anni ingessata nel Movement system, il sistema di governo senza partiti (ma in realtà più simile a quelli a partito unico) che Museveni ha creato. Una serie di alleati-chiave del presidente, tra cui molti ministri, hanno perso il posto in parlamento a vantaggio dei candidati dell’opposizione. Dal ministro degli interni, Kezimbira Muyingo, a quello della sanità, Mike Mukula, dal vice primo ministro Moses Ali al ministro degli esteri Henry Okello Oryem, sono state molte le teste importanti a cadere. Pur sconfitto, sottolineano gli analisti, Besigye ha quindi inferto un colpo senza precedenti al potere e alla popolarità di Museveni che sarà difficile dimenticare e con cui la prossima amministrazione dovrà per forza di cose fare i conti. Qualsiasi sia il margine di vittoria del presidente. -------------------------------------- La guerra continua dopo i vostri post. Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere tutto. "Se mi amate, dovreste uccidervi tutti" (Spider Jerusalem) "Noi/ generazione post BR figli della bomba/ voi/ generazione di PR figli della bamba... |