Nick: B{L}U Oggetto: il VERO dolore Data: 18/11/2003 12.33.56 Visite: 188
Non so quanti di voi leggano "Il Manifesto" Fatto sta che l'editoriale di oggi di Gianpasquale Santomassimo secondo me merita una lettura. Ve lo incollo, sperando che faccia riflettere. ------------------- ------------------- Gente comune GIANPASQUALE SANTOMASSIMO A ben vedere la scena è nuova eppure molto antica, una comunità di dolore che testimonia appartenenza e condivisione del lutto. Comunità che nasce spontaneamente, che non avrebbe neppure bisogno delle esortazioni dei governanti, della ossessiva ripetitività delle televisioni, della retorica o delle speculazioni della stampa. Chi ha memoria lunga ricorda ancora l'eccidio di Kindu, senza immagini televisive, in un paese lontano e misterioso che la radio chiamava ancora «Congo belga». Erano caschi blu, e la partecipazione degli italiani alla missione dell'Onu (dove eravamo stati riammessi da poco) testimoniava anch'essa del reinserimento del nostro paese nella comunità mondiale che dopo il 1945 si era impegnata a garantire la pace. Oggi c'è davvero quel nuovo «orgoglio nazionale», il bisogno di quell'oncia di grandeur che solo il sacrificio militare, secondo molti opinionisti, assicura? Direi che c'è soprattutto il riaffiorare di una memoria, lontana ma non ancora spezzata, di poveri cristi mandati a morire non si sa perché dal capriccio dei potenti, memoria che riemerge dal fondo di una - questa sì, condivisa - «identità nazionale». Qualcosa che nel paese chiamato Italia si è sempre accettato come si accetta un'alluvione, un terremoto, una legge complicata della natura a cui non si sa - non si sapeva - opporsi. Quello che c'è di nuovo è la grande sobrietà nelle interviste della «gente comune», distante dal delirio di politici e giornalisti: i giovani che stanno in fila al Vittoriano e dicono che erano e sono contro la guerra, ma sono sconvolti da questo lutto. Le bandiere della pace listate di nero, i balconi che espongono bandiera arcobaleno e bandiera tricolore, che solo gli opinionisti vedono contrapposte. Non è un paese guerriero quello che emerge dal lungo lutto di Nassiriya, ma è un paese di grande umanità e di grandi contraddizioni. Quello che c'è di vecchio è l'ideologia del «buon italiano» che va a portare pace, libertà, prosperità ma per qualche strano motivo non viene capito dagli «altri». Ma certo non è questo il momento adatto per distaccarsi da una costruzione mentale tanto radicata nel nostro stesso modo di sentirci italiani. Poi verrà il tempo delle domande e delle riflessioni, che in parte sentiamo affacciarsi già nel momento del dolore. Tanto più se questo dolore viene da una strage largamente prevista e annunciata, in un paese dove salta in aria anche la Croce Rossa e anche il più convinto assertore della nostra «diversità» di brava gente non poteva illudersi che venissero risparmiati i carabinieri. Chiamare una spedizione militare «missione di pace» - o in termini più moderni peace-keeping - non cela il fatto che questa volta, e per la prima volta dal 1945, si tratti di truppe di occupazione, sotto comando straniero, fuori dal quadro delle Nazione Unite e perfino della stessa Nato. Che ci fa la Brigata Sassari a Nassiriya? Davvero bisogna pagare questo prezzo in vite umane all'unico scopo di consentire a un presidente del consiglio di scodinzolare davanti a Bush? Se restiamo, come sembrano da subito ribadire maggioranza e gran parte dell'opposizione, dovremo farlo accettando consapevolmente una situazione di guerra, col suo corollario di repressioni, ritorsioni, rappresaglie, uccisioni nostre e altrui. Siamo pronti a questo? Su quante altre bare bisognerà piangere e, soprattutto, perché? fonte: www.ilmanifesto.it |