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Nick: Mr_LiVi0
Oggetto: Giornale del giorno
Data: 8/3/2006 10.12.7
Visite: 270

Iniziamo la lettura di oggi con un augurio a tutte le donne di Napoli. Uno un pò + caloroso per la mia fidanzata !!!

PRODI IL CONIGLIO di FAUSTO CARIOTI
Il Professore ha deciso: non si presenterà al duello in tv con Berlusconi La replica di Silvio: se lui scappa, il confronto io lo farò lo stesso. Da solo
Da ieri gli elettori del centrosinistra hanno un ottimo motivo in più per essere depressi dal loro portabandiera. Romano Prodi ha rifiutato, in modo ufficiale e definitivo, il faccia a faccia televisivo con Silvio Berlusconi. Tramite un portavoce, il coniglio bollito alla bolognese ha comunicato al presidente di viale Mazzini, il diessino Claudio Petruccioli, che il motivo della fuga è dovuto al fatto che il presidente del Consiglio ha respinto le condizioni che lo stesso Prodi aveva posto. Il premier ha intenzione di presentarsi comunque davanti alle telecamere lunedì, per il previsto confronto televisivo. Se Prodi non ci sarà, peggio per lui: Berlusconi fa sapere di «rispettare» la sua scelta, pur ritenendo l'atteggiamento di Prodi «illegittimo e irresponsabile». La messa in onda, in realtà, è tutt'altro che scontata: l'opposizione preme affinché la trasmissione sia cancellata, ma Berlusconi ha già avvisato Petruccioli: «Non si può mettere il bavaglio al leader di una coalizione se l'altro leader decide di non partecipare a un dibattito in tv». Prodi si lamenta soprattutto perché non è stata accettata la sua richiesta di cancellare la conferenza stampa di fine legislatura. La verità è un'altra. E cioè che Prodi sa di avere un vantaggio, anche se sempre più striminzito, nei confronti del suo avversario. Sa che Berlusconi, ogni volta che appare in televisione, guadagna voti. Sa che ogni volta che sugli schermi appare lui, invece, gli sbadigli vanno via come il pane e i voti per il centrosinistra calano come la palpebra dei telespettatori. Prodi ha anche capito, osservando le apparizioni televisive del premier, che Berlusconi è tirato a lucido come non mai. E infatti sono due mesi che la sua squadra, a palazzo Grazioli, lo sta allenando e mettendo alla prova su ogni possibile argomento, proprio in vista del big match finale. Il presidente del Consiglio oggi conosce a menadito tutti i risultati del suo governo e quelli dei governi dell'Ulivo, snocciola una serie impressionante di raffronti interni e internazionali (dai quali riesce a dimostrare invariabilmente che il suo, data la congiuntura, è stato il migliore dei governi possibili) ed è convinto - in gran parte a ragione - che contro di lui sia stata montata un'enorme campagna di disinformazione. Forte delle sue capacità televisive, che anche gli avversari gli riconoscono, muore dalla voglia di vendicarsi su Prodi dei torti subiti dalla sinistra. Prodi, dal canto suo, non è mai stato in grado di padroneggiare i dati e tradurli in un discorso politico coerente ed efficace. Nemmeno nei casi più importanti. Emblematico l'episodio del suo insediamento alla guida della Commissione europea, il 17 settembre del 1999, a Strasburgo. Il discorso del giuramento è l'atto più solenne che avviene dinanzi al parlamento europeo, ed è regolato da un protocollo rigidissimo. Che Prodi, per il fastidio dei presenti, fu costretto a strapazzare. Prima iniziò a parlare in ritardo, perché la sua segreteria non riusciva a stampare il testo del discorso. Quindi attaccò a leggere, ma con una lentezza imbarazzante, eccessiva persino per lui, tra gli sguardi perplessi degli europarlamentari. Doveva prendere tempo, fare melina: quella che aveva in mano era solo una parte del discorso. Finalmente, quando un collaboratore riuscì a consegnargli le ultime cartelle del documento, Prodi poté ricominciare a leggere alla sua lentezza normale. Questa è la stoffa del personaggio: come Linus ha bisogno della coperta, così Prodi necessita un testo preparato da qualcuno che ne capisca. L'idea di trovarsi davanti un Berlusconi caricato, preparatissimo e intenzionato a giocarsi il tutto per tutto lo getta nel panico. Così ha scelto, anche stavolta, di fare melina e sperare che il vantaggio che gli danno adesso i sondaggi non si azzeri da qui al 9 aprile. Per coprire questa verità inconfessabile e cercare di uscirne con un po' di dignità, Prodi ha provato a mettere il cerino in mano a Berlusconi, ponendogli condizioni irricevibili. La conferenza stampa di fine legislatura, che Prodi considera inaccettabile sul «piano sia simbolico che politico », è infatti uno dei rituali necessari a tutte le democrazie: chi ha governato per cinque anni ha il diritto-dovere di rispondere del bilancio del suo governo dinanzi agli organi d'informazione e ai cittadini. La par condicio alla quale Prodi si ribella fu voluta proprio dal centro-sinistra, alla fine della scorsa legislatura, per sterilizzare il Cavaliere. E il regolamento che Prodi non condivide è stato votato dalla Commissione di vigilanza, ed è parte integrante della stessa legge. La scelta di Prodi, insomma, politicamente e umanamente appare assai vigliacca. Niente di strano. Il coraggio del personaggio è quello che emerge dal suo interrogatorio del 4 luglio del 1993, in qualità di testimone, davanti ad Antonio Di Pietro e ad altri Pm di Milano. Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio (non proprio tre fan di Berlusconi) nel libro "Mani Pulite" lo raccontano così. «Prodi ripete di non saper nulla di tangenti. È intimorito, balbetta, chiede di poter tornare a casa, dove lo aspetta la moglie. (...) Dopo qualche altra domanda, Di Pietro lo congeda in modo brusco: dice di tornare a casa, ma di riflettere bene sui temi toccati nell'interrogatorio, sulle domande fatte e le risposte date. L'audizione è durata due ore. Il saluto è minaccioso: "Ci rivediamo lunedì. Sappia però che potremmo essere costretti a farla continuare a riflettere lontano da casa". (...) Di questo trattamento, Prodi corre a lagnarsi dal giudice Filippo Mancuso e dall'amico presidente Scalfaro. Quest'ultimo, turbato dal suo racconto, coglie la prima occasione utile per lanciare un pubblico richiamo contro i presunti eccessi della custodia cautelare». Per inciso, l'intervento dell'amico Scalfaro gli fu utile: l'interrogatorio successivo si svolse nella caserma dei carabinieri, e non più in procura, e stavolta il cerbero Di Pietro, che tanto l'aveva fatto tremare, non era presente. A conferma del fatto che nella vita si può andare avanti anche scappando e piagnucolando, purché si sappia farlo nei posti giusti. Del resto, come diceva don Abbondio, «il coraggio uno non se lo può dare».


L'onorevole piagnone voleva il posto a vita di MATTIAS MAINIERO
Il piagnisteo dei trombati ha invaso soprattutto i giornali locali e le agenzie di stampa: pagine umidicce di lacrime, lamentevoli proteste, lagnanze, accuse di scarsa generosità e scarsa democrazia, minacce. Un madido coro si solleva dalla provincia italiana: squillino le trombe, rullino i tamburi, ecco a voi la ballata del candidato mancato. Era sicuro, tranquillo di tornare a Roma, aveva l'ufficio e il segretario, camminava lungo il corso e lo chiamavano onorevole. E domani non più. Scusi, signor Mario Alberto Taborelli, da Faloppio, provincia di Como, forzista della prima ora. E pure lei, Antonio Russo, napoletano di Giugliano, avvocato con seggio in Parlamento e fino a poche ore fa tessera di Forza Italia in tasca. E lei, Antonio Guarino, sindaco di Solofra che sabato ha firmato la candidatura al Senato per il partito di Berlusconi e domenica è passato alla Margherita di Rutelli. Scusate tutti, signori forse non più onorevoli, inconsolabili vedove del seggio perduto, ma perchè vi lamentate? Un caso emblematico: ieri, il sito internet del Comitato provinciale di Como di Forza Italia si presentava con la bandiera del partito listata a lutto. Sotto il simbolo, l'annuncio della prematura dipartita: «Il nostro unico rappresentante a Roma, on. Taborelli, non è stato inserito nei primi 11 candidati, estromettendolo di fatto in caso di vittoria della Casa delle Libertà ». Ei fu. E tutti noi dovremmo piangere e mandare corone e cuscini di fiori? E per quale motivo, perchè l'onorevole Taborelli, ricco imprenditore comasco, è stato eletto per due volte di seguito e ora rischia di rimanere a casa? Oppure perché (altra storia, altro pianto) Franco Bianco, ex capogruppo di Forza Italia al Consiglio regionale della Campania, aveva ottenuto la candidatura al Senato (numero nove) e non sentendosi garantito se n'è andato con l'Udeur accusando l'ex partito di scarsa democrazia? Promemoria per i trombati illustri e meno illustri: ci dispiace per voi, e anche per le vostre mogli e i vostri amici che ora accorrono con fazzoletti e catini raccogli-lacrime. Ci dispiace sinceramente. Ma voi sul serio pensavate che oltre ai senatori a vita potessero esistere i candidati perenni? Di Andreotti ce n'è uno, tutti gli altri sono Russo, o Bianco, o Raffaele Grazia, vicentino, ex Ccd approdato in Forza Italia, che candidamente annuncia ai suoi elettori: «Cari amici, sono in lista ma non votate per il mio partito ». Una rivolta, un terremoto all'insegna degli accordi non rispettati e del territorio dimenticato. Ragionano tutti così: «In Forza Italia la democrazia interna è finita, le scelte vengono imposte dall'alto, i rappresentanti locali devono cedere il posto ai paracadutati. Ha vinto la logica romana ». Qualcuno, per la verità, è ancora più arrabbiato. Luciano Falcier, veneziano, vicepresidente dei senatori uscenti di Forza Italia: «Prendo atto di essere stato escluso, che è stata fatta una lucida e premeditata "pulizia etnica" ». E giù una pioggia di fax, telegrammi e lettere con l'annuncio o solo la minaccia di dimissioni da questo e quell'incarico. Promemoria 2 per i trombati di tutta Italia scesi armi, bagagli e lacrime sul sentiero di guerra: ma questa Forza Italia che oggi è così poco democratica, che ha inserito in lista tante persone che nulla hanno a che fare con il territorio, ieri com'era? Non vi viene almeno il sospetto che nulla sia cambiato, che una volta nel partito-azienda decideva il capo e ora continua a decidere il capo, che ieri i beneficiati eravate voi, amici e amici degli amici, e oggi sono altri amici degli amici? Strana Italia questa dei candidati piangenti e minaccianti, Italia che raccoglie voti, vola a Roma e subito dimentica che oltre ai biglietti di andata esistono anche quelli di ritorno. Ce l'hanno con i paracadutati, e fanno finta di non rendersi conto che l'uomo che apre il paracadute è lo stesso che cinque anni fa li fece salire sull'aereo e li depositò a Roma: volo in prima classe e atterraggio morbido grazie al leader che aveva organizzato tutto. Dimenticavamo di dire: noi, fra tante lacrime e urla, non abbiamo udito neppure una vocina che abbia fatto un minimo di autocritica, neppure un accenno, velatissimo accenno. E tu, caro lettore, hai sentito qualcosa? Promemoria 3 per i trombati: voi che parlate tanto di territorio, ricordate ciò che è successo alle Regionali? Giudizio unanime dei soloni della politica italiana e anche dei semplici elettori di centrodestra: Forza Italia non è andata bene perchè non è un partito agganciato al territorio, è un movimento che rende al massimo alle Politiche, non alle elezioni parziali che presuppongono segreterie locali, attivisti, uomini che lavorano casa per casa, che organizzano manifestazioni, mettono su circoli e parlano con gli elettori. E chi erano gli uomini che dovevano agganciare Forza Italia al territorio, chi doveva lavorare bussando ai citofoni di Vicenza e Napoli e Caserta e pure Canicattì? Sveliamo il mistero: eravate voi, quegli uomini, voi ieri sugli scudi e oggi non più. Con tutto il rispetto per il lavoro che avete fatto e che sicuramente vi sarà costato tempo e fatica, ma siete proprio sicuro di essere immuni da ogni colpa, unicamente vittime di decisioni romane (anche se Arcore non è nel Lazio)? Noi, se fossimo nei vostri panni, qualche dubbio lo avremmo: in fin dei conti, in un partito azienda conta essere amico del presidente e dei consiglieri di amministrazione, ma anche portare in consiglio qualche risultato positivo.


Aiuto, ci risiamo Eco ci vuol salvare di ALESSANDRO GNOCCHI
La vita dell'intellettuale "impegnato" ha i suoi riti immutabili e irrinunciabili. Ad esempio, prevede obbligatoriamente la firma di almeno un appello politico. Il periodo elettorale è il migliore per uscire allo scoperto. L'audience è massima. Ecco quindi giungere puntuale il grido allarmato di Umberto Eco e dell'associazione "Libertà e giustizia". Il titolo del documento non è dei più soft: «9 aprile, salviamo la democrazia ». L'incipit è una chiamata alle armi: «Siamo di fronte a un appuntamento drammatico». Segue l'analisi politica : «Se dovessimo avere altri cinque anni di governo del Polo ... il declino del nostro Paese sarebbe inarrestabile». Credete che le prossime elezioni siano una normale consultazione? Niente affatto. «L'appuntamento del 9 aprile è diverso - si legge - da tutti gli altri appuntamenti elettorali del passato: in quelli si trattava di decidere chi avrebbe governato senza sospettare che un cambio di governo avrebbe messo a repentaglio le istituzioni democratiche». Quindi, ogni «sincero democratico» ha il dovere di non lasciare l'Italia «nelle mani di chi l'ha condotta alla rovina». Siamo allo scontro di civiltà, e noi siamo quella inferiore. Immediate le adesioni di Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Enzo Biagi, Claudio Magris e Guido Rossi. Ma torniamo all'appello. L'appuntamento del 9 aprile è diverso da quelli del passato? La frase non è nuova. Forse l'abbiamo già letta in "Non possiamo astenerci dal Referendum Morale", appello del 2001 di Umberto Eco. E ricorda anche "Ragiona, Italia", appello del 1994 a cui Eco rispose insieme con i soliti noti. Dunque, vediamo. Anche le elezioni 2001 non erano «normali, bensì un Referendum Morale»: era necessario impedire l'instaurazione di un pericoloso «Regime di fatto». Stessa litania, un po' più sfumata, nel 1994. Ancora una volta, gli italiani sono gentilmente invitati a ragionare. Nelle occasioni precedenti, essi ragionarono e votarono in massa Berlusconi. Vedremo come andrà a finire il 9 aprile. Nel frattempo, lanciamo una sfida. Cari lettori, firmate l'appello di "Libero". Il nostro è molto semplice: «Stop agli appelli boriosi. Se la sinistra perde, gli intellettuali minacciano di trasferirsi all'estero. Nel caso, noi ci impegniamo solennemente ad accompagnarli all'aeroporto per fare loro "ciao ciao" con la manina». Si raccolgono le sottoscrizioni al seguente indirizzo: redazione@ libero-news.it


Il premier sfotte Romano « Se lui vìola la par condicio io invado le televisioni »
ROMA « Prodi viola la legge? Vuol sottrarsi a quanto deciso dal Parlamento? Allora lo farò anch'io » . Un sfogo, niente di più. Ma chi ha parlato con Berlusconi ne dà una traduzione che suona così: da lunedì prossimo, giorno fissato dal regolamente sulla par condicio per il faccia a faccia a viale Mazzini, se Prodi non si presenterà, il premier potrebbe decidere di impazzare: sulle reti Mediaset e, per quel che gli riuscirà, anche su quelle Rai. A meno di una settimana dal giorno fissato per il confronto tivù, ieri, per la prima volta, Rai e commissione di Vigilanza hanno detto la loro per bocca dei rispettivi presidenti Claudio Petruccioli e Paolo Gentiloni: entrambi sono convinti che, se Prodi rinuncia, « non ci sono le condizioni » per il faccia a faccia. Ma da qui a pensare che Berlusconi possa rinunciare ce ne corre. Lo si è capito dal commento rilasciato davanti ai giornalisti che lo avevano seguito all'inaugurazione di una mostra: « Se la decisione di Prodi è questa io posso anche rispettarla, ma credo di non dover fare passi indietro » . Ma lunedì si presenterà alla Rai? « Farò quello che è stato disposto dal Parlamento: immagino che il giornalista indicato dalla Rai come moderatore rivolgerà delle domande solo a me. Sono rispettoso del Parlamento e anche del diritto dei cittadini ad essere informati su quanto abbiamo fatto e ci impegneremo a realizzare » . E Paolo Bonaiuti, portavoce di Palazzo Chigi e sottosegretario all'Editoria, poco dopo, tramite un comunicato: « Il servizio pubblico radiotelevisivo non può e non deve farsi arbitro di una legge del Parlamento, la par condicio, ma la deve soltanto applicare. In caso contrario, risulta evidente che il suo vertice sta appoggiando apertamente una delle coalizioni nella campagna elettorale » . Chi ha parlato con il premier lo ha trovato furibondo per quello che considera un attacco personale, « altro che parità d'accesso ai mezzi di informazione » . Ma in che modo reagire, visto che, come spiega il sottosegretario alle Comunicazione Paolo Romani, « il regolamento della par condicio non prevede sanzioni per chi non si presenta al confronto tv » ? A giudizio di più d'uno tra i collaboratori del premier, « visto che Prodi ha deciso di violare la legge rifiutando il faccia a faccia, da lunedì lui ha deciso di sentirsi svincolato dalla par condicio. Se chiederà di essere ospitato, a Mediaset non gli faranno certo le barricate. E quanto alla Rai, se Petruccioli vuol dimettersi faccia pure. In gioco ci sono le elezioni politiche, mica il campionato di boccette » . Lucio Malan, senatore e responsabile della campagna elettorale, attacca Gentiloni: « Negare a Berlusconi di andare al confronto anche da solo, significa violare l'articolo uno della legge sulla par condicio, secondo il quale " la legge promuove l'accesso ai mezzi di informazione". Gentiloni farebbe bene a tenerlo presente » . Caustico un altro forzista, Giorgio Lainati: « Per il portavoce di Prodi esistono problemi per il " body language" di Berlusconi. Ci sarebbe da ridere se questi cavilli non nascondessero la paura di Prodi a confrontarsi con Berlusconi » . mar. pri.


Quando l'Ulivo attaccava il Cavaliere per il confronto rifiutato con Rutelli
MILANO Oggi, tutti compresi nel loro ruolo di difensori ad oltranza di Romano Prodi, dicono che il Professore « ha le sue ragioni » ( Marco Rizzo, Comunisti italiani), che non sbaglia a disertare il dibattito tv perché « fino a ora non ci sono state garantite le condizioni che assicurino che il confronto si svolga in parità » , ( Piero Fassino, Democratici di sinistra) e che « fa bene a rinunciare al faccia a faccia, vista la assoluta mancanza di regole paritarie » ( Antonio Di Pietro, Italia dei valori). Se il loro candidato leader se la dà a gambe, argomentano compatti i colonnelli dell'Unione, non fa altro che sottrarsi meritoriamente all'ennesimo trappolone catodico tesogli dal solito, diabolico cavalier Berlusconi. A leader che fugge, dunque, ponti d'oro. Passo indietro. È la primavera del 2001, la campagna elettorale Berlusconi versus Rutelli è agli sgoccioli, ormai manca solo il faccia a faccia televisivo tra i due sfidanti. Solo che il candidato della Casa delle libertà, nemmeno del tutto a torto, oppose il gran rifiuto: « In tv con Rutelli non ci vado » . E allora apriti cielo: da parte degli stessi che oggi scalano gli specchi per difendere la ritirata del Professore partì un inaudito fuoco di fila contro il Cavalier fuggiasco, il cui rifiuto venne interpretato nientemeno che come « affronto alla democrazia » . Così, il diessino Giuseppe Giulietti ( « L'Unione lasci solo Berlusconi con i suoi deliri » , ha detto ieri plaudendo al niet prodiano) gongolava rivelando via Ansa alla nazione intera che « la verità è semplicemente che Berlusconi ha paura » : « il rifiuto è considerato disprezzo per l'opinione pubblica » , concludeva lapidario. « È l'unico Paese al mondo » , tuonava il " duro e puro" Fabio Mussi, « in cui un candidato si rifiuta di confrontarsi con l'avversario: tutto ciò è molto, molto stravagante » . Allo stesso modo, un Walter Veltroni non ancora smussato dall'esperienza in Campidoglio, esternava con parole di fuoco che « il confronto tv è un dovere elementare in qualsiasi democrazia » . Il suo collega di partito Luciano Violante, allora presidente della Camera, commentava sarcasticamente che « non ci si posson scegliere gli avversari » per poi inchiodare il Cavaliere alle sue responsabilità: « Se l'avversario è Rutelli è con lui che Berlusconi deve confrontarsi » . Piero Fassino, dal canto suo, denunciava « il pericoloso clima di intolleranza » che sottrarsi al faccia a faccia davanti alle telecamere avrebbe inevitabilmente determinato nel Paese. Ora che il pericoloso clima di intolleranza, a rigor di logica, lo starebbe creando Romano Prodi, i suoi luogotenenti approvano, e anzi lodano il superiore senso di responsabilità dimostrato dal leader ( « posizione del tutto chiara e del tutto ragionevole » , la definisce Massimo D'Alema, mentre la collega di partito Anna Finocchiaro parla di scelta « ovvia e saggia » ) . Virgolettati ed annali alla mano, se ne deduce dunaue che, se serve a far perdere le elezioni a Berlusconi, fa brodo anche il pericoloso clima di intolleranza. m. g.


Il Professore spara a zero sul Cavaliere « Con la politica ha risanato le sue aziende »
ROMA « Nessuno si è arricchito in questo modo. Berlusconi certo non esce impove rito dall'esperienza politica » . Romano Prodi, candidato del centrosinistra interve nendo a Porta a Porta attacca senza mezzi termini il presidente del Consiglio. « Os servo semplicemente » , sottolinea il leader dell'Unione, « che quando ha comincia to a fare politica le sue aziende avevano un indebitamento fortissimo e oggi è il ter zo uomo più ricco d'Europa. Secondo Forbes, ha un capitale superiore a 10 mili a rd i di dollari » . Eppure l'ex presidente della Commissione europea assicura che non in tende penalizzare in caso di vittoria del suo schieramento le aziende collegate al Cavaliere: « Nessuno » , puntualizza, « vuole distruggere una risorsa economica del Paese, ma bisogna regolare il mercato » . Quindi, assicura, « nessun trattamento di favore o di sfavore per nessuno. Ma dovremo favorire la concorrenza che in que s to duopolio stretto non c'è. Non esiste nessun Paese in cui due blocchi dominano in modo totale il mercato: Rai e Mediaset. È una situazione anomala che va regola t a » . Tra i piani del futuro governo di centrosinistra il Professore parla di alzare le imposte sugli investimenti finanziari al 20% ( oggi sono al 12,5%) e poi anticipa: se vinciamo noi Sviluppo Italia ( la società pubblica per favorire la crescita di nuove im p re s e ) « verrà chiusa perché è un carrozzone che non tutela alcun interesse nazional e » .


TOGHE A BRACCIA INCROCIATE Milano, Palazzo di Giustizia. Un cartello annuncia lo sciopero dei magistrati. Nei cinque anni di governo della Casa delle libertà, i giudici hanno incrociato le braccia a ripetizione, protestando contro qualsiasi tentativo di riforma dell'ordinamento giudiziario attuato dall'esecutivo. La speranza delle toghe è che, con la sinistra al governo, le proprie aspettative non vadano più deluse ( Fotogramma) Edizione: 08/ 03/ 2006 Libero mercoledi - pagina 7 - stampata da: scaglia alle ore: 21.19.44 - colore 7 E come, se prima si vogliono abolire i concorsi? E come? Qualcuno ha impedito al Csm di svolgere le proprie funzioni? Forse ci si è dimenticati di chiederglielo. E quanti sistemi elettorali intendono adottare? Due, tre, non si sa. Se in un programma si scrive che la giustizia penale deve essere più giusta e celere si dice una cosa generica, magari inconcludente, comunque ininfluente, ma se si vergano pagine e pagine per poi dire solo che non si fanno i concorsi, non c'è gerarchia e sarebbe bello tutti andassero d'accordo, collaborando ad un medesimo disegno che non si sa quale sia, il lettore si sente leggerissimamente preso per i fondelli. Arriva il turno della giustizia civile, con un bel decalogo dal quale traiamo delle perle, dato che propongono: Cioè un aumento della spesa corrente per stipendi, in un Paese, l'Italia, che ha il più alto numero, in Europa, di magistrati per abitante. Quale nuova organizzazione? Ce lo dicono la prossima volta. Fatta da chi, visto che non ci sono più i concorsi? E che ci facciamo? Non è che possiamo contabilizzare allo stesso modo una causa condominiale per un vaso di fiori e una contesa economica rilevante, dicendo bravo al primo giudiche che si sbriga e rimproverando il secondo che deve vedersela con una valanga di memorie e documenti. Bene, c'è qualcuno in grado di cogliere il significato di tutto questo? Si tenga presente che questo ginepraio di conferenze, tabelle e progetti organizzativi dovrebbe funzionare in assenza di gerarchizzazione interna. Ed i controlli, chi li fa? Davvero: sembra la consulenza di un aziendalista desideroso di riscuotere la parcella, ma dalla fantasia incriccata. Volendo ribadire il concetto, il programma, dopo avere così esaurentemente affrontato la giustizia civile, torna ad occuparsi di quella penale, ed a ribadire che è necessario accorciarne i tempi. Il lettore è perplesso: ma non lo avevo già letto, questo capitolo. Ma poi ci ripensa: adesso trovo le risposte che non c'erano prima, una tecnica da giallisti. Niente da fare, pare che tutto ruoti attorno ai sistemi di notifica, all'assicurare l'avvocato gratis anche a chi guadagna un po' di più, a favorire le investigazioni difensive ( che possono permettersi solo quelli che guadagnano molto di più) dato che di quelle del pm non si fidano nemmeno loro. Altro non c'è. Sul codice penale, però, non solo c'è un concetto chiaro, ma anche del tutto condivisibile: Sottoscriviamo, giusto. È bene avere un codice che semplifichi e superi la carcerizzazione come unica forma di pena, accompagnandone l'approvazione con un'amnistia, in modo da non soffocarlo sul nascere. Però restiamo perplessi quando leggiamo uno dei primi impegni: Anche questo è giusto, ma l'attuale maggioranza lo ha già fatto, almeno in buona parte, e l'attuale opposizione ha votato contro. Anzi, ha aggiunto che era un'infamia destinata a salvare alcuni leghisti dai processi per offesa al tricolore. Noi, che al tricolore ci teniamo, plaudiamo al fatto che abbiano cambiato opinione, ma, appunto, anziché buttarla lì a pagina 65, una tale novità avrebbe meritato un qualche accenno meno esclusivo, meno indirizzato a maniaci leggitori, come noi. Segnaliamo anche la richiesta di: Che equivale alla legalizzazione della droga, di ogni tipo di droga. Una proposta che noi non condividiamo ma che, comunque, meriterebbe di essere enunciata con maggiore chiarezza, se non altro a beneficio degli alleati radicali. Così come meriterebbe maggior chiarezza il tema delle unioni civili. Quello che qui sotto leggete non è, come negli altri casi, un estratto, una frase, un concetto da noi preso dal programma dell'Unione, no, è proprio il testo integrale e totale: Il che, diciamocelo, avendo compitato 281 pagine, è un po' pochino. Proviamo ad aiutarli, a superare i loro imbarazzi ed a precisare quali sono i nodi da sciogliere. Nessuno ritiene che si debba entrare nel merito delle scelte individuali, di tipo familiare o sessuale. Se una coppia eterosessuale decide di convivere senza sposarsi è liberissima di farlo ( anche con le leggi attuali), naturalmente il loro non sarà un matrimonio e non di meno sarà tutelata l'eventuale prole, con l'istituto del riconoscimento ed altre garanzie. Se decide di convivere una coppia omosessuale, al pari ha il diritto di farlo. Non solo non si viola nessuna legge ( e ci mancherebbe) ma neanche si scandalizza nessuno. I problemi, dunque, non sono questi. Esistono questioni che riguardano i rapporti con terzi, e che sono per molti aspetti comuni a coppie etero od omosessuali. Ad esempio il rapporto con il padrone di casa se muore il convivente affittuario, o la possibilità di rendere visita al convivente ricoverato o detenuto, ed altra roba simile, non esclusi i diritti di successione. Questa è materia che deve essere regolata dalla legge, ma in che modo? Dando legittimità alle volontà dei singoli, non obbligandoli ad una determinata condotta. Vuoi che il convivente ti venga a trovare? può farlo; non lo vuoi? hai diritto a startene in pace. Poi c'è la questione dei matrimoni. Nel caso di una coppia eterosessuale non sposata, l'equiparazione totale dei diritti e dei doveri ( solo dei primi sarebbe grottesco) ad un matrimonio finirebbe con il violare proprio la volontà dei conviventi. Se convivono e non si sposano avranno le loro ragioni e sono decisioni loro, ma se si stablisce, per legge, che tanto è la stessa cosa, allora sì che ci si fa, in maniera indebita, gli affari loro. Nel caso di una coppia omosessuale il tema del matrimonio è puro folklore, perché è esclusa la procreazione. Questo nulla toglie al diritto di due persone che si sono scelte di vivere la loro vita assieme, tutelando tale unione nei diritti verso terzi, ma volerne celebrare il matrimonio significa giuocare con le parole. Giacché una cosa a noi pare esclusa, ed è che a coppie di questo tipo sia consentito l'accesso alla procreazione assistita. Noi lo escludiamo perché non privilegiamo il diritto alla maternità, o alla paternità, o come diavolo si debba chiamarlo in casi come questi, rispetto al diritto del nascituro di trovarsi in una sitzione che non abbamo l'ipocrisia di non volere chiamare " normale". Noi tenderemmo ad escludere che questi problemi non siano stati affrontati per ragioni di sintesi. Il tomo programmatico giace sul nostro tavolo in tutta la sua imponenza e non vediamo perché non si sia potuto dedicare qualche riga in più ad un tema non solo importante, ma anche assai discusso dentro l'Unione. O, forse, è proprio questa la ragione: il programma è prolisso e dettagliato sui temi che non suscitano discussioni, nei capitoli in cui le parole generano parole, senza concepire concetti, mentre vola via smilzo ogni volta che si affronta un problema in grado di mettere in luce le vivaci differenze interne alla coalizione di sinistra. « Dobbiamo consentire e richiedere al Csm (...) di svolgere con tempestività ed efficienza il proprio ruolo e costruire la rappresentanza dei magistrati con sistemi elettorali trasparenti e rappresentativi » . « La copertura degli organici del personale amministrativo e di quello togato » . « Una nuova organizzazione del lavoro giudiziario » . « Una valutazione del giudice » . « L'istituzione degli uffici statistici distrettuali per monitorare i flussi giudiziari, i carichi di lavoro individuali e collettivi, i tempi del processo tenendo conto delle diverse tipologie » . « Progetti organizzativi obbligatori per ogni Tribunale, che tengano conto dello stato delle pendenze, dei modi e dei tempi per una accettabile qualità del servizio, delle priorità di smaltimento del lavoro pendente, della programmazione delle udienze secondo la tipologia dei processi. Dovrà istituzionalizzarsi la pratica dei protocolli di udienza » . « Conferenza di servizio per il processo: i modi, i termini, le forme per gestire l'organizzazione virtuosa del lavoro giudiziale devono trovare la loro fonte nella conferenza per il processo, ove giudici, personale amministrativo, utenti ed avvocati si confronteranno positivamente per la formulazione di progetti e la definizione degli intenti » . « Tabelle degli uffici giudiziari, che diano cogenza ed effettivita` ai prospettati moduli organizzativi, consentendo i doverosi controlli in ordine all' adempimento da parte dei magistrati dei nuovi doveri professionali » . « Istituzione dell'ufficio del processo, attraverso il quale sostanziare le " unità organizzative di base" presso ogni sezione giudicante » . « Obiettivo primario della prossima legislatura è l'approvazione di un nuovo codice penale. A questo deve associarsi un provvedimento di clemenza » . « Abolizione della catregoria dei cosiddetti " reati d'opinione" » . « Abolire le sanzioni amministrative per chi detiene sostanze stupefacenti per uso personale » . « L'Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un'unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni ( sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà » .

L'impresentabile Ferrando non si arrende: via i banchieri di Romano
ROMA « Via Berlusconi » , ma anche « via i banchieri di Prodi » . Ecco il programma di Marco Ferrando. Escluso dalle liste di Rifondazione comunista per le sue frasi su Nassiriya, il trotzkista " impresentabile" non ha affatto deposto le armi. E ieri, insieme al fedelissimo Franco Grisolia, lo ha ridetto. « Chiuso il " caso Ferrando" resta aperto il " caso Prc" » . Forte del 7% incassato dalla sua componente, " Progetto comunista", all'ultimo congresso di Rifondazione, ma soprattutto convinto che la maggioranza del partito stia con lui, ha illustrato punto per punto il suo programma. Una piattaforma « di alternativa, contro l'assoggettamento del governo del centrosinistra alla logica dei padroni » . I veri comunisti contro i comunisti " al cachemire" che hanno firmato un piatto col diavolo ( alias Prodi). « Ormai è chiaro » , ha tuonato Ferrando, « l'allineamento di Prodi e Fassino alle logiche dei poteri forti. Lo hanno ripetuto entrambi sulla stampa facendo loro le proposte programmatiche del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo » . E Fausto Bertinotti che fa? Zitto. « Quello che mi stupisce è l'allineamento ai gruppi di potere bancari ed imprenditoriali anche di Rifondazione che non ha un suo programma ma che è completamente identificata in quello dell'Unione » . Ferrando l'imprensentabile, però, non ci sta. E sfodera il suo di programma. Punto primo, « abolizione delle leggi sulla flessibilità e rifiuto esplicito della concertazione politica e sindacale prevista dall'Unione » . Quindi, cancellare il pacchetto Treu « votato a suo tempo anche del Prc » e la legge Biagi. Tolte di mezzo le « leggi del padronato » , le proposte sono: aumento salariale e salario ai disoccupati ( il reddito garantito). Il punto secondo prevede la « nazionalizzazione, senza indennizzi ( salvo ai piccoli azionisti) e sotto il controllo dei lavoratori, delle industrie in crisi e delle banche » . Ma anche la « rinazionalizzazione » di tutte le aziende privatizzate dal centrosinistra. Terzo e ultimo punto, la politica estera. « Siamo stati crocifissi per le nostre idee, ma noi non arretreremo, anzi, ribadiamo una per una le pietre dello scandalo » . Dunque, « denuncia documentata del colonialismo italiano in Iraq e degli interessi dell'Eni a Nassiriya » . Ma anche fare chiarezza sui « crimini di guerra » in cui sono state coinvolte le truppe italiane. Il tutto per rivendicare « il diritto alla resistenza dei popoli oppressi dall'occupazione militare » . Non è solo propaganda, avverte. Questa piattaforma sarà « il punto di riferimento di tutte le forze della sinistra » . Innanzitutto lo sarà per i trotzkisti eletti che, come ha ricordato Ferrando, « non hanno vincolo di sostegno al governo Prodi » . el. ca.


Dalla Slovenia il primo elenco ufficiale dei martiri delle foibe
GORIZIA I martiri delle foibe, per la prima volta, dopo 60 anni, potranno forse avere un nome. La Prefettura di Gorizia ha infatti messo ieri a disposizione di chi volesse consultarli i primi elenchi con 1.048 nomi di " dispersi" nei giorni dell'occupazione dell'Isontino da parte delle truppe comuniste del IX Corpus jugoslavo. Fra loro vi potrebbe essere quegli 840 fra civili e militari goriziani che sparirono nel maggio del 1945, trucidati dalle milizie titine, e poi gettati nelle foibe, le fosse carsiche che diventarono gigantesche tombe comuni. Si calcola che in tutto siano almeno 3.000 gli italiani uccisi dai titini nella Venezia Giulia, in Istria e nelle aree del Carso, nei mesi finali della Seconda Guerra Mondiale. A mettere a disposizione del sindaco di Gorizia, Vittorio Brancati, la preziosa documentazione, è stato il governo della Slovenia; i documenti sono stati consegnati a Clara Stanta Morassi, presidente del Comitato dei congiunti dei deportati di Gorizia. Di questi " dispersi" non si è mai saputo nulla, ma si ritiene che la maggioranza vennero uccisi nelle foibe carsiche. Da oggi, tutte le persone interessate a consultare la lista potranno contattare la Prefettura, dove è stato costituito un tavolo di incontro e assistenza, al quale sarà possibile rivolgersi ogni lunedì e mercoledì. Le schede oltre ai dati anagrafici degli scomparsi, contengono anche data e luogo dell'arresto, oltre al momento nei quali ciascuno ha dato l'ultima segnalazione di sé. Ora sono consultabili, « allo scopo - ha spiegato la Prefettura - di acquisire ogni possibile notizia sulla fine dei congiunti dispersi e costituire finalmente un ideale punto di riferimento e ricordo, per rendere agli scomparsi ogni dovuto onore » .

L'unica evoluzione, rispetto alla bozza d'Intesa del 1990, riguarda la proposta di costituire una banca islamica, corsi di aggiornamento per insegnanti sull'islam, l'inserimento di « nozioni corrette nei libri scolastici » e « agevolazioni fiscali per la costruzione e il rinnovo di moschee » . Per il momento la consulta islamica si è limitata a recepire queste proposte senza discuterle, ma molti di questi temi potrebbero essere affrontati già nella prossima riunione prevista per il 28 marzo sempre al Viminale. L'unica a opporsi a questo memorandum è stata la presidentessa della Confederazione dei Marocchini d'Italia, Souad Sbai, che ha presentato un altro documento contro il terrorismo e il fanatismo religioso e in favore della libertà religiosa nel mondo musulmano. Questo documento alternativo, firmato da undici membri della Consulta su sedici, tra i quali anche il rappresentante della Lega Musulmana mondiale Mario Scialoja, chiede sermoni in italiano nelle moschee e corsi di laurea nelle università pubbliche italiane che si occupino della formazione degli imam. Contrari alla proposta della Sbai, non solo il leader dell'Ucoii, Dachan, ma a sorpresa anche il giovane marocchino Khaled Chaouki. Hamza Boccolini

Buona lettura...
Vivere... è sorridere dei Guai !!!



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