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Nick: Franti
Oggetto: Omaggio ad Annarella
Data: 28/3/2006 14.27.35
Visite: 221

"Lasciami qui lasciami stare lasciami così, non dire una parola che non sia d'amore"

- Annarella -


I CCCP nascono nel 1982 a Berlino, dall'incontro di Giovanni Lindo Ferretti (voce) e Massimo Zamboni (chitarre).

I due si muniscono di drum machine e suonano in giro per la Germania, rifacendosi soprattutto al punk espressionista di Einsturzende Neubauten.

Il ritorno in Italia porta l'illuminazione.
La cultura popolare emilano-romagnola può essere filtrata da etica ed estetica punk. Non si tratta di colte ricerche ma proprio della superficie culturale turistico-godereccia-comunista della regione.
Del resto, anche il nome CCCP non inneggia al comunismo sovietico ma ne celebra la pronuncia storpiata da un ipotetico militante provinciale. Quasi anni 50. Quasi Guareschi.

I due mettono in piedi degli show, ma l'impatto col pubblico non è dei migliori: la complessità e il distacco dei testi e la mancanza di linee melodiche non aiutano.
L'idea allora è arricchire lo show con situazioni e personaggi.
Così Danilo Fatur e Antonella "Annarella" Giudici si uniscono alla band. Ora la formazione è al completo: questa è la vera nascita dei CCCP.


Nel 1984 esce il primo Ep "Ortodossia".
E' tutto punk e filastrocche elementari urlate su chitarre spigolose a ritmo forsennato: "Spara Yuri spara, spera Yuri spera" e "Islam punk, Islam punk, punk Islam e Islam punk" sono i vagiti di questa italianissima creatura che nella sua necessaria violenza ricorda più gli MC5 o gli Stooges che le band inglesi del '77.


A Ortodossia segue "Ortodossia II" che aggiunge a "Spara Yuri spara", "Islam punk" e "Live in Punkow", tutte già presenti nel primo Ep, "Mi ami" che resterà una delle canzoni simbolo della band, con l'andamento iniziale lento che accompagna nel loro corso gli "spermi indifferenti" del testo e poi lo scatto in avanti in un hard-core musicale mozzafiato e il primo soliloquio depresso-esistenziale di Ferretti.
E' una canzone punk italiana, e tutti i ragazzi dell'85 ci si possono riconoscere.
E' quello che non si era (forse) mai visto in Italia: una band che non fosse una scopiazzatura di modelli inglesi e americani.
L'impianto ideologico si veste di un bizzarro kitsch est-europeo e si concretizza in manifesti teorici, nei quali i CCCP si dichiarano "punk filo-sovietici".


I riferimenti più evidenti sono reminiscenze mitteleuropee (soprattutto la scena new wave tedesca, dai Kraftwerk agli Einsturzende Neubauten), punk e proto-punk americano (MC5, Stooges, Ramones), cantautorato italiano (Battiato in primis) e dark britannico (dai PIL ai Bauhaus).
Ma i CCCP non sono un clone provinciale di una band inglese o americana: sono una band provinciale italiana che ha storpiato tutto quello che poteva essere canzonetta o ballo liscio e l'ha tritato in un frullatore punk al massimo dei giri.



Sempre nel 1984 arriva l'album "Compagni, cittadini, fratelli, partigiani", che raccoglie i pezzi già presenti sugli Ep e un pugno di altre canzoni.
Il suono è casereccio, rozzo e povero, ma dentro ci sono energia da vendere e l'esatto contrario dell'energia: canzoni annichilite e annichilenti come la lunga "Emilia paranoica", uno dei capolavori della band, in cui una stasi pesante e obesa (una batteria elettronica in quattro e lentissima, accoppiata agli accordi di chitarra in sincrono con il declamato sillabato di Ferretti) improvvisamente inciampa per prendere velocità, come una caduta dalle scale, e poi si blocca immobile per riprendere l'ossessiva lentezza dell'inizio.
C'è "Morire", con il suo testo reducistico ed emozionato, c'è "Militanz" a mille all'ora.
In sostanza, è un disco ancora acerbo, non tutto è ancora a fuoco: a parte "Emilia paranoica" e "Mi ami", è dichiaratamente un disco di formazione, i testi non sono ancora i proclami di disperazione e ribellione che arriveranno poi, l'impianto musicale è ancora troppo lineare, troppo deboli ancora le influenze popolari.



Un anno dopo esce "1964-1985. Affinità-Divergenze fra il compagno Togliatti e noi".
Il disco si apre con una dichiarazione di identità, un urlo "CCCP" e via, in un mare di feedback, una batteria elettronica che è una pulsazione continua e le parole che sono quelle che non senti altrove "fedeli alla linea, anche quando la linea non c'è, quando l'imperatore è malato, quando muore o è dubbioso".
Il disco ripropone "Morire" con il suo arpeggio sospeso e la voce lontanissima che declama "Esiste una sconfitta pari al venire corroso che non è mia ma dell'epoca in cui vivo" e ci sono ancora "Emilia paranoica" e "Mi ami".
Tra i brani nuovi, svetta "Curami", con il suo tipico giro punk che si interrompe per lasciare solo il bit meccanico della batteria elettronica con la frase "Solo una terapia" in una pausa sospesa che sembra durare all'infinito, e con un uso straniante dello xilofono.
Ma ci sono anche "Trafitto", con il suo proclama d'apatia ("Trafitto sono, trapassato dal futuro, cerco una persona. Fragili desideri, a volte indispensabili, a volte no"); "Noia", cupa e depressa come da titolo; "Allarme", inquieto e improbabile tango dai sussulti prepotentemente rock; "Fedeli alla linea", con la sua ritmica sconnessa; "Valium, Tavor, Serenase", una trottola esplosiva di violenza inaudita che si spezza di colpo per lasciare il campo a del vero liscio ("Romagna mia, Romagna in fiore" in puro tre quarti da balera!).
Ma c'è soprattutto "Io sto bene".
Questa è la canzone che li identificherà, perché in questo lieve accelerando in quattro quarti c'è tutta la provincia italiana e tutta il senso di vuoto degli anni Ottanta ("Non studio, non lavoro, non guardo la TV, non vado al cinema, non faccio sport"...).
A emergere è anche il canto distaccato e straniante di Giovanni Lindo Ferretti, sorta di John Lydon padano, che si rivela forse il primo cantante italiano capace di adattare la propria lingua alle esigenze ritmiche e armoniche del rock.



Dal vivo, la band si presenta come un circo sfavillante e decadente, un tempio del kitsch con trampolieri e mangiafuoco, con Fatur ("Artista del popolo") che si denuda e Annarella ("Benemerita Soubrette") che officia questi riti agnostici.
Ma dietro quest'immagine istrionica, si inizia a intravedere un'ombra di misticismo.


Passano due anni ed esce il singolo "Oh battagliero" (1987), con il suo andamento tangheggiante e poi, nello stesso anno, il primo album per una major, la Virgin.
Si tratta di "Socialismo e barbarie".
L'apertura del disco è affidata alla prima cover della loro carriera: "A Ja Ljublju SSSR", ovvero l'inno sovietico con un testo epico originale di Ferretti, una roboante ed echeggiante batteria elettronica e la tagliente chitarra di Zamboni a cantare la melodia.
Nel disco, la violenza punk si smorza contro l'apparire di un Oriente di facciata, da musicassette d'autogrill.
E così troviamo "Hong Kong", con il suo gocciolare di chitarre in un vuoto pneumatico, "Inch'allah ca va", con un cantato in francese, e "Radio Kabul", che riprende i tempi e le movenze delle danze sufi. Le chitarre distorte e i tempi veloci ci sono ancora, ci sono "Per me lo so" e "Tu menti", l'inno religioso per organo e voce di "Libera Me Domine" e soprattutto "Rozzemilia", inno disperato e devastato, pieno di amore-odio per la propria terra segnata da quelle "cataste di maiali sacrificati".

E' il disco di passaggio, un lavoro in cui l'energia, la rabbia e la depressione degli esordi iniziano a diluirsi in una inquieta introspezione e in un "altrove" da film di Salvatores.
Il disco suona tutto sommato ancora bene e riesce a stare in equilibrio fra impulsi nativi e nuove fascinazioni.



Il passo seguente è spiazzante, un singolo con Amanda Lear, una cover di "Tomorrow".

Poi viene il 1989 con il nuovo disco "Canzoni, preghiere e danze del II millennio - sezione Europa". Più elettronica e meno distorsione: un disco di techno pop. T
utta la forza del gruppo si stempera fra tastierine e scale arabeggianti, anche se l'inizio è affidato alla poco duttile voce di Ferretti che canta da solo una canzone tradizionale degli alpini "Il testamento del capitano".
Il disco in sé non è poi brutto, però sembra quasi uno scherzo, come il maccheronico italiano di "Uligani dangereux", la sinceramente spiacevole "Vota Fatur", blaterata dallo stesso Fatur, o la inutile "Reclame", dove su un tappeto di tastiere in stile ambient Annarella presenta i musicisti e i tecnici del gruppo.
Il Medio Oriente la fa da padrone in pezzi come "E' vero ", "Madre", "Le qualità della danza" e "And the radio plays", a dire il vero solo in quest'ultima sembrando un qualcosa di non totalmente sintetico e di maniera.
Per chi volesse trovare qualcosa dei vecchi dischi, restano "Fedele alla lira?" e "Conviene", che negli arrangiamenti elettronici perdono senso e impellenza per restare solo filastrocche.
Gli episodi meglio riusciti sono proprio le canzoni che tentano la via di una epica techno-pop: "B.b.b.", "Svegliami" e "Roco roco rosso".



Il gruppo sembra dirigersi verso la sua fine, almeno per come lo avevamo conosciuto.
La svolta avviene durante un tour in Unione Sovietica, effettuato nello stesso 1989 insieme ai Litfiba, il gruppo di riferimento per la dark-wave italiana.
Da questo tour nasce l'ultimo disco dei CCCP, quello della svolta e della fine.
"Epica, Etica, Etnica, Pathos" nasce infatti dall'incontro di Ferretti e Zamboni con Francesco Magnelli, Ringo De Palma e Gianni Maroccolo, rispettivamente tastiere, batteria e basso degli allora morenti Litfiba, e da una nuova idea della registrazione: andarsene tutti insieme in campagna vivendo in comune e registrare tutto live.


Il disco è qualcosa di totalmente nuovo per i CCCP. C'è una diversa competenza strumentale e non ci sono più i sapori di plastica del disco precedente.
La violenza e la rudezza dei primi dischi sembrano essersi sì stemperate, ma anche compattate in un suono meno selvaggio e straziato, ma austero e solido.
La qualità del suono è decisamente migliorata.
Con questo disco nasce una entità nuova, è l'ultimo lavoro dei CCCP ma in realtà è il primo disco di un gruppo nuovo.
Fanno capolino le fisarmoniche e i testi si sbilanciano definitivamente verso il misticismo, le chitarre di Zamboni si addolciscono e per la voglia di distorsione deve fare il suo ingresso nella band Giorgio Canali.
Ci sono alcune cose fra le più affascinanti suonate dal gruppo. "Aghia Sophia" è un collage musicale straniante, che spazia da un'invocazione ecclesiastica ("Tedio domenicale, quanta droga consuma. Tedio domenicale, quanti amori frantuma") alle intuizioni brechtiane di Kurt Weill fino a sprazzi folk.
"Paxo de Jerusalem" e "Sofia" completano il capitolo con continui rimandi alla mistica e al folklore.
"Depressione Caspica", con le sue chitarre amplissime e taglienti, potrebbe sembrare una "Io sto bene" suonata a velocità dimezzata; "Amandoti" è un liscio popolare con la voce narrante e terribile di Ferretti; "Campestre" è una improbabile ballata bucolica; in più, ci sono l'infinita cavalcata di "Maciste contro tutti" e il canone "Annarella" come testamento del gruppo - "Lasciami qui lasciami stare lasciami così, non dire una parola che non sia d'amore" - che, sentito dal più devastante e devastato gruppo punk italiano, sinceramente commuove.



Così nel 1990 il gruppo, a cui chiunque oggi suoni in Italia deve almeno un piccolo grazie, chiude la sua esistenza.
Quello che resta sono sicuramente le parole di Ferretti, con la consapevolezza di non essere per sempre legati alla dimensione cantautorale per esprimere in italiano qualcosa che vada oltre la banalità, e un suono semplice ma dannatamente efficace, che fa della sua povertà la sua maggiore dote, mettendo a nudo le personalità fortissime di quelli che lo hanno creato.
Ci sarà una lunga pausa, poi gli stessi attori di questo ultimo disco si reincontreranno e ripartiranno insieme con il progetto CSI.

L'allunno è sospeso dalle lezioni per due giorni per aver dato una sberla all'alunno portatore di handicap Pecoraro Ugo.



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