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Nick: ChelseaFC
Oggetto: ASSASSINI
Data: 5/12/2003 16.41.32
Visite: 179

Ucciso il siriano espulso dalla Bossi-Fini

L'hanno massacrato in carcere
di Maura Gualco

Morto sotto tortura. Tra bastonate e scosse elettriche, Mohammad Said
Al-Sahri, l'ingegnere siriano espulso dall'Italia insieme alla moglie e ai
quattro figli nel novembre scorso, sembra che sia stato ucciso. Ha
incontrato il suo boia, in un carcere di sicurezza alle porte di Damasco,
dove era detenuto da quando l'Italia lo ha rispedito nel suo paese,
nonostante avesse richiesto l'asilo politico perché perseguitato politico.
A darne la notizia sono il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) e la
famiglia che attualmente vive a Londra. «Abbiamo avuto la notizia da alcuni
parenti che vivono a Damasco», dice Murhaf Lababidi, cognato di Mohammad,
al quale fa eco il direttore del Cir, Christopher Hein: «La notizia, che
stiamo cercando di accertare, ci è stata data da una fonte che si trova in
Siria e che preferiamo mantenere anonima. Ma non si tratta di parenti». E
il tre luglio scorso un comunicato è stato inviato dai legali della
famiglia Lababidi alla Corte di Strasburgo. «Da fonti attendibili - è
scritto sulla nota - il signor Mohammad Said Al-Sahri è stato ucciso a
causa delle torture subìte in carcere». Conferme dal governo siriano non ce
ne sono. E la Farnesina interpellata sull'argomento si limita a un:
«Verificheremo».

La storia di Mohammad Al-Sahri comincia nella città di Hama, antica città
siriana, considerata dal regime di Assad la roccaforte dei Fratelli
Mussulmani, i cui membri - prevede la legge del 7 luglio dell'80 e ancora
in vigore - sono condannati alla pena capitale. Teatro di una spietata
repressione della popolazione, che tenta di liberarsi del "Leone di
Damasco", Hama viene bombardata, accerchiata, distrutta dall'esercito.
Un'escalation di violenza che culmina il due febbraio dell'82 nel massacro
di oltre diecimila vite. Mohammad Al Sahri, che all'epoca ha 24 anni,
fugge. Va prima in Giordania e poi in Irak, dove si stabilirà con la moglie
Maysun e i quattro figli. Ma la famiglia di sua moglie, anch'essa ricercata
dal regime di Damasco, si era già stabilita in Europa, tra la Danimarca e
l'Inghilterra. Così anche Mohammad, dopo circa vent'anni di esilio, decide
di partire per l'Europa. E il 23 novembre scorso arriva insieme ai suoi
cari, proveniente da Baghdad via Amman, all'aeroporto Malpensa di Milano.
Bloccati dalla polizia di frontiera vengono trattenuti in una zona
riservata dell'aeroporto per ben cinque giorni impedendo loro di vedere
Murhaf, il fratello di Maysun, che nel frattempo era volato da Londra in
loro soccorso. Ma Murhaf era riuscito il giorno dello sbarco a sentirla
telefonicamente e non soltanto si era assicurato che la sorella avesse
richiesto l'asilo politico per lei e i suoi cari, ma le aveva anche
tradotto dall'arabo il termine "refugee". «Devi dire alla polizia di
frontiera: "We are refugee"». Una veloce deportazione fa seguito ai cinque
giorni di detenzione in isolamento. Vissuto libero nel paese del feroce
Saddam, Mohammad non trova, dunque, altrettanta tolleranza nella
"democratica" Italia. Ma in aereo le lacrime non servono. Destinazione:
Damasco. Dove ad attendere l'ingegnere all'aeroporto c'è l'ascia del boia.
Arrestato immediatamente dalla sicurezza siriana, infatti, viene portato
via e dalle autorità non si è mai avuta alcuna informazione. Sua moglie,
insieme ai bambini, vive ad Hama dove due volte a settimana, racconta
Murhaf, riceve la visita dei Mukabarat, i servizi segreti che la
intimidiscono e le bombardano di domande sui contatti del marito e sul
resto della famiglia. In Italia, intanto, l'Unità denuncia il caso e in
Parlamento fioccano le interrogazioni al governo. Il ministro dell'Interno,
Giuseppe Pisanu, si difende: «Queste persone non hanno mai avanzato domanda
di asilo, sono stati trattenuti in luoghi ospitali, trattati con umanità e
rimpatriati in Siria nel pieno rispetto della legge Bossi-Fini». Difficile
credere che in cinque giorni di detenzione non abbiano mai espresso tale
richiesta. E in ogni caso, spiegano i legali della famiglia Lababidi che,
intanto, hanno denunciato il governo italiano alla Corte europea di
Strasburgo per numerose violazioni del diritto internazionale, la
Convenzione di Strasburgo vieta «il rimpatrio forzato verso un paese in cui
vige la pena di morte». E a rispondere a Pisanu sull'ospitalità della
polizia di frontiera ci pensa Maysun che dai suoi "arresti domiciliari" in
cui si trova, scrive al fratello. «Abbiamo ricevuto il peggior trattamento.
C'era una donna, la stessa che ci ha scortato in Siria...Avevamo chiesto
rifugio, una vita normale...invece ci hanno rinchiuso in una stanza con le
telecamere, dove ci hanno perquisito e fatto le foto segnaletiche...Abbiamo
chiesto varie volte un interprete, un avvocato...Poi ci hanno condotto in
un posto vicino all'aeroporto...un posto freddo, gelido, senza
riscaldamento, niente coperte...Così fino a giovedì 28 novembre alle 21
quando quella donna è venuta con tre agenti di polizia e ci ha detto "hanno
accettato la vostra richiesta. Raccogliete i vostri effetti personali".
Dove andiamo? "Sarete trasferiti in un posto migliore" mi ha risposto la
donna. Solo in aereo abbiamo capito dove eravamo diretti».

Un racconto raccapricciante, difficile da provare: la parola degli
immigrati contro quella di un funzionario di polizia. Ma che offende non
solo la famiglia Sahri, bensì la dignità di ogni essere umano. Si
tratterebbe di quei "trattamenti disumani e degradanti" citati nella
Convenzione di Ginevra e in quella di Strasburgo. Perché proprio in Siria
visto che venivano dalla Giordania? Si sono rifiutati di andare in
Giordania, risponde il governo. Dunque, per andare in Giordania si
sarebbero opposti con tutte le forze, mentre per la Siria avrebbero
accettato a cuor leggero. Ma sì, in fondo laggiù ci aspetta solo una
condanna a morte. E non è tutto. Carlo Giovanardi, ministro per i rapporti
per il Parlamento, dagli scranni dell'aula, assicurò alcuni mesi fa:
«Naturalmente, il governo si impegna a seguire la vicenda anche a livello
europeo, nel caso in cui emergesse la notizia che i diritti umani non
vengano rispettati». Ebbene, come si è impegnato questo governo? Come ha
ottemperato all'impegno preso? Amnesty International non ha mai smesso di
riferire, in seguito alle inchieste da essa condotte, che in Siria la
tortura è praticata sistematicamente ed è concreto il pericolo di scomparsa
dei detenuti politici. Soprattutto gli appartenenti ai Fratelli Mussulmani.
Il governo, quindi, non poteva non sapere. Non poteva non immaginare la
fine che avrebbe fatto Mohammad Al Sahri. «La notizia della morte
dell'ingegner Sahri che riferiscono fonti attendibili - dice Anton Giulio
Lana, uno dei legali della famiglia Lababidi - mi lascia sconcertato ma
purtroppo non sorpreso. Il rischio di un tale epilogo era fin troppo
prevedibile. Spetterà a questo punto alla Corte Europea accertare le
responsabilità dell'Italia, anche sotto questo profilo».

Spero che ora siano soddisfatti...
...ma vaffanculo

ps piccolo esperimento.....



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ASSASSINI   5/12/2003 16.41.32 (178 visite)   ChelseaFC
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