Nick: MILLWALL Oggetto: GENOVA 2001 DIARIO DI BORDO Data: 11/12/2003 11.57.21 Visite: 226
Quasi tutto vero. Eccetto il nome della posse che non è sputnik, ma un altro. Le canne e qualsiasi altro riferimento che possa costituire reato, sono ovviamente frutto di fantasia. Era il 18 luglio del 2001, Genova, vertice G 8. Due giorni più tardi Carlo Giuliani sarebbe stato assassinato dalla mano armata dello Stato. Questo breve diario è dedicato alla sua memoria. Parto da Torino. Oggi c’è il concerto che apre le manifestazioni contro il vertice dei G8. Imbocco l’autostrada e mi chiama Buone, il nostro direttore di produzione, che è già lì in avantour con tutto lo staff tecnico. - Vladimir dove siete? - Buone io sono partito proprio ora, il pulmino col gruppo è da circa mezz’ora Lui ridacchia e dice: - La solita star, sempre dopo il gruppo, cerca di raggiungerli e arrivate insieme che qui non hai idea di quello che c’è. - Che c’è Buone? Sentiamo - Gli rispondo ironico, mentre accendo la quarta sigaretta della giornata. - Ma niente solo che ci sono migliaia di sbirri e ci hanno perquisito per due ore, molti di loro hanno un atteggiamento aggressivo e ci hanno chiesto “quando arrivano gli sputnik posse? Non vediamo l’ora di conoscerli.” - Ma che cari, ci vogliono proprio bene dico con una punta di stizza. - comunque mo’ li chiamo e cerco di raggiungerli tienimi informato, com’è la situazione tecnica? - Tutto a posto Vladimir, Manu Chao sta già qua e stiamo pariando, l’impianto è montato, il nostro backline è già sul palco, in verità abbiamo il solito problema….. - Sarebbe Buone? - Il problema è che non ci stanno problemi – e ride come un cretino dall’altro capo del telefono. - Ciao testa di cazzo che sei, ci vediamo fra un’oretta giù. Gli dico chiudendo la conversazione. Compongo il numero di Gigi. - Oh Gigi dove siete? - Ciao Rosario - fa lui nel suo marcatissimo accento ligure – ci stiamo fermando a mangiare. - In quale autogrill? - A xxxxx - Ok aspettatemi che ho delle novità, fra venti minuti sono lì. Scalo in terza, faccio salire i giri del motore, un cambio rapido quarta e quinta e vado veloce. Lungo la strada sorpasso un sacco di macchine di manifestanti, non chiedetemi come li riconosco se aveste passato la vostra vita in mezzo a centri sociali e manifestazioni lo sapreste fare anche voi. Dopo una ventina di minuti entro nell’autogrill e li trovo tranquilli a tavola. - Oh negri. Li apostrofo con un’espressione che tra noi usiamo sempre - fate in fretta a mangiare che a Genova ci sono controlli molto rigidi, mi ha chiamato poco fa Buone per dirmelo, loro hanno avuto una perquisizione di due ore e pare che i nostri amici delle forze dell’ordine stiano aspettando proprio voi. - Bellà lì - fa Mike toccandosi i lunghissimi dreads con un gesto che è diventato ormai leggendario motivo di sberleffo. - Non vedo MC Africa - riprendo io – dov’è finito? - E’ partito stanotte dopo il concerto direttamente per Genova con la macchina di Pippo, dice che così si scansa posti di blocco e perquise. - Perquise??? Cazzo stiam diventando proprio milanesi qui eh MC Africa è napoletano, ma vive da un po’ a Milano e Pippo e la sua ombra. Pippo è originario di Monza e ha quell’accento brianzolo da film, ma proprio marcato e questo fa si che nel nostro purissimo napoletano si siano introdotti un bel tot di termini come siga, perquisa, raga e così via. Nel team il driver è ligure, sei fonici e tecnici sono veneti, il gruppo io e Buone napoletani. Non c’è che dire un bel frullato di dialetti in agrodolce, per cui senti i veneti che ti si rivolgono in un improbabile “O Vladimir tenimm fame” investendomi delle mie responsabilità di produttore e io che rispondo “Putei dio can ve go dito che se magna dopo”. - Qualcuno sa se MC Africa e Pippo sono arrivati tranquilli? - No – fa Vega - li ho chiamati prima e avevano ancora il cellulare scarico, ma tu devi mangiare? - No bimba – gli rispondo – ho fatto colazione in albergo a Torino e sto ancora tutto pieno da ieri sera, grazie per l’interessamento amore e le schiocco un bacio fraterno da lontano. Faccio il numero di MC Africa “telecom italia mobile……”, subito dopo quello di Pippo, squilla tre volte poi risponde con la voce dell’oltretomba, sembra un’interurbana con l’altro mondo. - Prontooooo - Pippo Sono io, tutto a posto? - Uèèèè Vladimir sisi tutto a postoooo non ci ha cagato nessuno, te dov’è che seiiiii? Il suo accento mi fa troppo ridere e anche stavolta non mi trattengo da una maldestra imitazione. - Son qui con gli altriii, stiam buttando giù qualcosaaaa, finiamo e si vien giù, voi dov’è che sieteeeee? - Siamo al Carlini, arrivati stanotte e ci siamo ammazzati di canne fino a stamattina bela sturiaaaa. - Che teste di cazzo che siete, quando MC si ripiglia salutamelo e senti Buone per il soundcheck, arrivate in orario che ti licenzio – concludo secco e lui dall’altro lato si mette a fare il comunista sindacalizzato e mi canta: “Sor parun dale bele braghe bianche……” e ridiamo come due coglioni. Poi mi rivolgo verso il tavolo e visto che hanno finito gli faccio: “Si va?” Un coro di ok e ci rimettiamo in marcia. Arriviamo al casello di Genova, c’è uno schieramento di celere da paura, ma passiamo lisci e nessuno ci ferma, nonostante io per errore stia quasi per imboccare la corsia opposta di marcia. Ci orientiamo con la cartina e poco dopo siamo sul piazzale Colombo dove stasera si terrà il concerto. - Vladimir hai visto quanta gente? – mi fa uno stupefatto Buone E ha ragione, non so quantificarle ma sono tante, sul piazzale ci sono decine di migliaia di persone da ogni parte d’Europa e di ogni età. Sembra che almeno cinque generazioni del popolo di sinistra si siano date appuntamento qui stasera e credetemi, è un gran bel vedere. Dal palco faccio una carrellata rapida con lo sguardo e li vedo tutti. I vecchi, bellissimi nei loro vestiti fuori moda e l’acciacco degli anni, ma sempre con la stessa inconfondibile fierezza. Saranno nati nel trenta o giù di lì, qualcuno me lo immagino sulle montagne che poi la storia li ha chiamati partigiani, ma allora avevano solo venti o trent’anni ed erano giovani come tanti, anche se qualche volta uccidevano e morivano. Altri li vedo negli anni cinquanta e sessanta con le tute blu e i baffoni nei consigli di fabbrica e nei reparti-confino, prima che venissero le magliette a righe. Alla fiat, alla pirelli, alla falk. Formiche operaie in lotta ogni giorno per un aumento di stipendio, contro i ritmi massacranti, contro la nocività del lavoro. Il partito gli aveva detto che stavano conquistando il socialismo per via parlamentare, che avrebbero vinto e loro c’avevano creduto ciecamente alla fine invece avevano perso e però sono ancora qua, perché noi siamo un popolo di irriducibili e loro sono i nonnetti che non hanno sgarrato di un passo, hanno tenuto botta e credetemi: guai a chi li tocca. Ci sono i sessantottini che non sono diventati direttori dei tg di Berlusconi, o grandi imprenditori. Quelli del ’77, che nelle epiche giornate di marzo a Roma e Bologna hanno assaltato il cielo, adesso anche i loro capelli diventano ormai irrimediabilmente bianchi e le pancette tipiche della mezza età. E’ la generazione che ha vissuto gli anni dei piombo e migliaia di arresti, “errori, rotture, pugni chiusi nelle processi” che, come cantavano gli Onda Rossa Posse sulle parole di Sante Notarnicola, avrebbero dovuto rafforzarli e invece anche loro hanno perso, però sono qua e sono i nostri zii. Poi ci siamo noi la generazione degli anni ’80 e ‘90, quando ci avevano detto andate a casa che è tutto finito e invece noi avevamo pensato che la storia già finita era appena cominciata. La generazione cresciuta nel sogno dell’Italia diventata ricca, che tutti si compravano la tv a colori e la seconda macchina, che pure se eri povero doveva far finta di essere ricco, che se eri giovane dovevi metterti il monclair e le timberland a costo di rubarli al primo malcapitato, che dovevi essere “un gran gallo”; che dovevi pensare a scopare e a divertirti, ad ascoltare i duran duran e gli spandau ballet, vedere i film dei fratelli Vanzina. Noi lo sapevamo però, che era tutta una truffa e abbiamo resistito in mille modi, ascoltando altra musica, occupando centri sociali e facoltà universitarie, provando a vivere secondo un nostro modello di vita. Mi ricordo all’università che i controccupanti ci dicevano: “volete solo farvi le canne e scopare. E io rispondevo serafico che se pur ci piaceva scopare e farci le canne, non era solo questo, era che la vita fuori ci sembrava troppo squallida e lo era, e che quello stare insieme, invece che ognuno a casa con mammà e papà, ci faceva riflettere ben oltre il bieco individualismo che cercavano in tutti i modi di imporci. Le loro facce raramente cambiavano espressione, continuavano a fissarmi con quello sguardo da italiano medio che ti ucciderebbe all’istante ma non succedeva mai niente, giravano i tacchi indispettiti biascicando bestemmie e insulti a decibel zero. Qualche volta però accadeva che tipi e tipe insospettabili, con tanto di bei vestini regolari arrivavano da controccupanti e si trasformavano in un attimo nei più strenui difensori dell’occupazione, se ne accorgevano cazzo che c’era tutto un altro mondo possibile. La nostra generazione aveva in fondo un solo obiettivo: resistere e quella resistenza l’abbiamo portata fino in fondo e almeno in questo abbiamo vinto. Infatti, guardo giù e ci sono un casino di persone fra i trenta e quaranta anni e sono fiero di noi. E poi guardo questa marea di giovani con i loro dreadlocks giamaicani, i capelli lunghi, le teste rasate, gli orecchini, i piercing, i capelli normali, le giacche militari, le magliette da bravo ragazzo, i tatuaggi, gli occhiali da primo della classe. Insomma ce n’è di tutti i tipi e mi scalda il cuore. I giovani hanno sempre ragione. Quando lo ero odiavo quelli che mi dicevano “un giorno capirai” con l’aria saggia e ispirata, oppure “questi giovani d’oggi”, ma che cazzo c’era da capire? Volevano solo farmi pesare le loro sconfitte e il loro essersi adeguati, ma io volevo combattere le mie battaglie da solo e le ho combattute. Perciò guardo questa massa di ragazzine e ragazzini urlanti e idealmente gli consegno il futuro. - Oh ma ti sei addormentato? – Mi chiede Buone - No, no stavo pensando, c’è veramente un bordello di gente - Quanti saranno? - Boh, tanti, almeno trenta o quarantamila – gli rispondo - Ma secondo te – riattacca lui – quanti sono venuti per il concerto e quanti perché veramente convinti? - Mah, forse Buone è la stessa cosa - Che vuoi dire? - Voglio dire che se ti piacciono canzoni come clandestino o odio antifascista, se ti piace stare in questa marea di persone, se passi una canna, un panino o una birra alla persona che hai di fianco senza nemmeno conoscerla, se non crei nemmeno mezzo scazzo pure se ti devi fare la fila per venti minuti per pisciare o comprarti da mangiare, come stanno facendo tutti quanti qui sotto, non hai bisogno di leggere libri sei un compagno. - Cos’è il nuovo manifesto del partito comunista? Compagni di tutti i paesi fate la fila per andare al cesso? Mi risponde lui e ride, portandosi le braccia al petto e spostando la testa all’indietro. - Sei il solito coglionazzo, ma in qualità di tuo maestro ritengo che tu abbia capito di che ti sto paLLando – gli dico con quell’assimilazione regressiva che usiamo sempre a imitazione delle parlata napolegna. - Piuttosto e parlo in qualità di tuo diretto superiore, a che stiamo? - Punto uno diretto superiore il cazzo, visto che oggi come tutti sto qua per la gloria, che nemmeno i soldi della benzina abbiamo chiesto e punto due abbiamo sempre lo stesso problema….. - Che non ci stanno problemi? Faccio io e lui di rimbalzo: - Esatto - e ride di nuovo. - Pronti? Fa Buone rivolto al gruppo, sente col radiomicrofono il fonico di sala e il datore luce, fa controllare al volo dal palchista le macchine di mike, uno sguardo rapido al fonico di palco illumina con la meglite la scaletta di accesso al palco e urla: - signori iniziamo Gli sputnik posse salgono sul palco in rapida sequenza si accendono le luci e un boato enorme si leva dal piazzale. Qui giocano proprio in casa, da dieci anni seminano in lungo e in largo per l’Italia e fuori, sono diventati un caso senza precedenti. Hanno venduto centinaia di migliaia di cd, fatto oltre mille concerti, realizzato colonne sonore per film e spettacoli teatrali e allo stesso tempo hanno in corso decine e decine di processi per i più svariati reati: da occupazione abusiva a manifestazione non autorizzata, da possesso di fumo a oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, un bel curriculum non c’è che dire, però se hanno successo significa che dicono parole che molti condividono e sul palco danno veramente tutto. Anche stasera stanno spingendo, un tatuatissimo MC Africa nonostante la mole non indifferente, zompetta ai quattro angoli del palco come pervaso da chi sa quale sacro furore laico, scatenando fra il pubblico un pogo di dimensioni esagerate. Gli fa da contraltare Vega, piccola, minuta, che intreccia le particolari melodie che hanno cambiato un po’ il sound della band. L’apice si raggiunge con “Odio antifascista” ed è un vero delirio con il ritornello cantato da tutti i presenti a squarciagola. Questa canzone gli è costata agli inizi della carriera una denuncia e un’interpellanza parlamentare dell’allora MSI. Ma non è colpa degli sputnik posse se ognuno dei presenti si ricorda per aver vissuto o per aver letto, dei delitti del fascismo, della dittatura, delle brigate nere che insieme ai nazisti appiccavano il fuoco ai villaggi e fucilavano la popolazione civile, così come tutti si ricordano delle stagione delle bombe, nelle banche, nelle piazze, nei treni. E allora sale sempre più forte l’urlo ODIO ANTIFASCISTA.
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