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Nick: Mr_LiVi0
Oggetto: Il giornale del giorno
Data: 3/8/2006 9.25.49
Visite: 241

Il giornale del giorno secondo le vostre esigenze.


Alla festa dell'Unità arrivano ostriche e champagne

FIRENZE Cameriere, ostriche e champagne. Ma non siamo in un ristorante di lusso. Per la prima volta le ostriche fresche francesi, accompagnate da vino bianco o champagne, vengono offerte in uno stand della Festa dell'Unità. Una di quelle in cui una volta i "compagni" facevano la fila per ritirare il panino con la salsiccia fumante e la birra gelida tirata fuori da frigoriferi giganti. Oggi il ritratto dell'uomo di sinistra alla mano lascia il posto alle nuove tendenze radical chic. Un bel salto di qualità che si deve all'iniziativa di quattro ricercatrici universitarie fiorentine della facoltà di Agraria. È stata loro l'idea di preparare un stand "Ostriche ria" alla manifestazione regionale in corso a Firenze: due euro per un'ostrica, cinque o sei euro per l'accompagna mento con vino o champagne. Le giovani ricercatrici ammettono di essersi ispirate ai banchi in cui venivano of ferte ostriche appena pescate nella zona intorno a Bordeaux e di aver proposto lo stand agli organizzatori della Festa dell'Unità, che hanno accettato. Secondo le quattro l'età media del "compagno" consumatore di ostriche è di trentacinque anni e, di solito, sono persone che hanno viaggiato. Inoltre, sembrano essere attirate dalle ostriche soprattutto le coppie. Il successo è testimoniato dai 30 chilogrammi di ostriche che ogni sera vengono consumati. Insomma, la nuova moda piace ai giovani di sinistra in barba alla tradizione politica che inveisce contro le cose dei ricchi. Cibo compreso. VAL MASS
Manovra bis, sì alla Camera. La Cdl minaccia: scontri di piazza


Anche la Camera dice sì alla fiducia sulla manovra bis: i voti favorevoli sono stati 327, mentre quelli contrari sono stati 247. Durante le dichiarazioni di voto sulla fiducia al provvedimento (che prevede 11 miliardi di correzione per il 2007 in cui sono compresi il "pacchetto anti evasione" e le liberalizzazioni) Silvio Berlusconi ha duramente attaccato il governo. «Questo decreto controlla la vita economica del cittadino e delle imprese in maniera assoluta e totale, attraverso un intreccio con le banche – ha detto il leader di Forza Italia in aula - Da qui viene fuori una oppressione fiscale e burocratica francamente preoccupante».

Secca la risposta di Bersani. «Ritengo che sia una vergogna che ci sia una istigazione così violenta a una disabitudine alla fedeltà fiscale - ha detto il ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani - trovo anche che al presidente Berlusconi sia sfuggito un particolare: se stiamo incassando soldi in più per il fisco, non è per le misure di Tremonti, è perché abbiamo detto mai più condoni, e la gente sa che non ci sarà un condono». «In un Paese con il massimo grado di evasione fiscale, il nostro ex presidente del Consiglio si preoccupa se sia uno Stato di polizia tributaria. Bisogna informare Berlusconi -aggiunge il ministro- che tutte queste norme, cosiddette Visco, sono conosciute e presenti in quasi tutti i Paesi occidentali. Se lui fa un giro in Germania, per esempio, si accorge che quelle norme sono ampiamente presenti».

Ma anche il numero Uno di An ha sferzato duramente l'esecutivo in Aula e, dopo aver attaccato la «debolezza politica dle governo», ha minacciato: «Se ci sarà fiducia sulla finanziaria, lo scontro dal Parlamento si sposterà in piazza». Come negli stadi durante i Mundiali, cori del Polo all'insegna del «Po-po-po». Il presidente della Camera Fausto Bertinotti si scalda e invita: «Siate sobri».

Dopo il voto sulla fiducia è iniziata la discussione sui 199 ordini del giorno presentati dal centrodestra, che è terminata dopo l'una di notte. Lo scopo era quello di rallentare, ancora una volta, il provvedimento che il governo vuole varare prima dell'estate. «Abbiamo pochissime settimane in cui dobbiamo lavorare intensamente sulla finanziaria. Dobbiamo anticipare i tempi e essere pronti a fine settembre» ha spiegato Prodi martedì dopo la decisione di porre la fiducia e blindare la cosiddetta "manovrina" anche alla Camera. Del resto, ha spiegato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, l'opposizione per ostruzionismo ha presentato «quasi seicento» emendamenti: «il che avrebbe significato mille e dieci ore di dibattito, cioè quarantatré giorni ininterrotti». In mattinata il governo renderà noto il suo parere sugli ordini del giorno. Sui testi l'Assemblea di Montecitorio si esprimerà a partire dalle 10.Pubblicato il 02.08.06 UNITà

sinistra c'è chi vota col naso tappato: dovevamo farlo
I PARLAMENTARI DELL'UNIONE PRESENTANO 56 ORDINI DEL GIORNO PER CHIEDERE ALCUNE MODIFICHE. COINVOLTI TUTTI I GRUPPI DELLA MAGGIORANZA, DALL'ULIVO A RIFONDAZIONE. SOMMATI A QUELLI DELL'OPPOSIZIONE SI ARRIVA A QUOTA 199
ROMA Sono sfilati, disciplinatamente, a votare la settima fiducia al governo. Alle sette di sera il rito si è concluso: con 327 voti a favore e 247 contrari, il governo ha ottenuto la fiducia dalla Camera dei deputati su manovra bis e pacchetto per le liberalizzazioni. Dieci minuti di sospensione ed è cominciata la seduta fiume per esaminare i 199 ordini del giorno presentati. Il voto finale sul provvedimento sarà oggi. Tutto tranquillo, dunque? Non proprio. Il ricorso alla fiducia ha messo al sicuro il provvedimento. Ma anche tra i parlamentari dell'Unione i mal di pancia sono parecchi. Utilizzando la fiducia, infatti, si è impedito a tutti, non solo all'opposizione, di intervenire in alcun modo sul provvedimento. E nelle fila dell'Unione la voglia di intervenire c'era eccome. La prova si è vista nei 56 ordini del giorno presentati da parlamentari del centrosinistra. Sommati a quelli dell'opposizione si è arrivati a quota 199, ridotti a 194 dopo che Fausto Bertinotti ne ha dichiarati cinque inammissibili. Cinquantasei, però, sono comunque tanti. E non è solo un problema di numeri. Non c'è gruppo del l'Unione, infatti, che non sia rappresentato nella pila di ordini del giorno presentati. Da Rifondazione all'Ulivo. Su ogni dettaglio del provvedimento: dai farmaci alle assicurazioni. Una sorta di surrogato degli emendamenti. C'è, per citare il primo della lista, l'odg che impegna il governo «ad adottare le opportune iniziative per consentire, in tempi necessariamente rapidi, il pagamento delle spettanze ai giudici di pace». Prima firmataria è Daniela Dioguardi (Prc). Un altro sollecita risorse a favore dei parchi nazionali (Grazia Francescato, Verdi). Massimiliano Smeriglio (Prc) ne ha presentato uno per chiedere che sia permesso anche alle Regioni di istituire «dispensari farmaceutici». Poi c'è un ordine del giorno di Rosalba Benzoni (Ulivo) che chiede di rivedere la norma che cancella il regime agevolato per Campione d'Italia. Un altro porta la firma di Giovanni Crema (Rosa nel Pugno) e impe gna il governo a valutare l'opportunità di «classificare come medicinali senza obbligo di prescrizione i medicinali di automedicazione». Un odg è stato presentato da Roberto Villetti (anche lui Rosa nel Pugno) e chiede di modificare le norme che riguardano il settore assicurativo. E ne ha presentato uno Renzo Lusetti (Ulivo) per sollecitare il governo a rivedere i tagli agli autotrasportatori. C'è l'ordine del giorno di Salvatore Iacomino (Prc) sulle società a capitale pubblico e quello di Andrea Ricci (Prc) sui farmaci. Su questa stessa materia si è prodotto Francesco Caruso, chiedendo all'esecutivo di realizzare una «campagna informativa sull'uso dei farmaci di automedicazione». Non c'è aspetto del provvedimento su cui non ci sia un ordine del giorno di un parlamentare della maggioranza. Donatella Mungo e Luigi Cogodi di Rifondazione Comunista, Erminio Quartiani e Francesco Piro dell'Ulivo. Molti chiedono di rivedere i tagli previsti nella manovra o l'abrogazione di norme vigenti. È il caso dell'ordine del giorno presentato da Quartiani che chiede al governo di correggere o specificare meglio l'articolo che prolunga fino a 67 anni il «trattamento in servizio dei dipendenti pubblici». O quello di Tino Iannuzzi (Ulivo) che si pronuncia perché non vengano cancellate le agevolazioni fiscali attualmente previste per le ristrutturazioni. Nella montagna di richieste provenienti da sinistra c'è quella di Roberta Pinotti (Ulivo) che chiede di aumentare le spese militari, quella di Fulvio Tessitore (Ulivo) che vuole più soldi per le università e Karl Zeller (Misto) per la giustizia. Mezza Unione, dunque, fa il mea culpa: basta con la fiducia, sì alla discussione. I capigruppo di Udeur e Rosa nel pugno, Mauro Fabris e Roberto Villetti, almeno una volta sono d'accordo: «Non si può andare avanti a colpi di decreti e a colpi di fiducia. Serve un rapporto costruttivo tra maggioranza e opposizione». EL. CA.

Berlusconi non ne può più «È uno Stato di Polizia»
Il Cavaliere accusa: Parlamento esautorato, gabelle e cultura del sospetto Pubblichiamo il testo integrale dell'intervento pronunciato ieri alla Camera dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi prima del voto di fiducia sulla manovrina economica (poi a
�?��?��?� Signor Presidente, Signori Deputati, la nostra opposizione a questo decreto non è certo un'opposizione alle liberalizzazioni. Noi consideriamo il mercato, la concorrenza, la libertà economica elementi fondamentali per la crescita di una nazione. Noi consideriamo l'eccessiva presenza pubblica nell'economia e l'eccesso di regolamentazione che lega le mani a chi vuole fare impresa, creare lavoro e produrre ricchezza, come negatività storiche del nostro Paese. Il nostro modello è quello di uno Stato che grava il meno possibile sulla gente, che chiede meno tasse, che pone meno vincoli. Oggi invece il Governo, blindandosi per la settima volta con la fiducia, espropria di fatto il Parlamento delle sue prerogative e gli impone di convertire l'ennesimo decreto. Un decreto che introduce nuove gabelle, che introduce per la prima volta inasprimenti fiscali retroattivi, che sostituisce la cultura delle garanzie con la cultura del sospetto e rischia di trasformare così il nostro Stato in uno Stato di polizia tributaria. Altro che liberalizzazioni! È un provvedimento con una sua precisa logica. Quella che da sempre appartiene alla cultura e alla tradizione dello statalismo di sinistra. L'OBLIO DEGLI EX DC Mi sono meravigliato che gli esponenti della Margherita, così impegnati con i loro colleghi della maggioranza a demolire tutto ciò che di buono ha fatto il nostro ministro Tremonti, hanno finito per dimenticare, loro che pure annoverano tra le loro file tanti democratici cristiani, che la filosofia che ispira le azioni di questo governo in materia fiscale è il perfetto contrario dell'impronta data al sistema fiscale italiano da un loro grande ministro delle Finanze, Ezio Vanoni. La sua riforma fiscale, che introdusse nel Paese la denuncia dei redditi su cui il sistema fiscale è tuttora fondato, partiva dal principio che lo Stato doveva fidarsi del contribuente. L'idea di Vanoni era che anche nei suoi rapporti con il fisco il cittadino fosse tale, e non fosse un suddito. Il vice-ministro Visco è la negazione del ministro Vanoni, perché il suo principio fiscale è quello che Michel Foucault condensò nel famoso binomio: sorvegliare e punire. Ciò che il vice-ministro vuole è il totale controllo del contribuente, a partire dai conti correnti, dalla lista dei clienti e dei fornitori, sino all'obbligo di effettuare i pagamenti sopra i 100 euro con assegno bancario o carta di credito. Il conto corrente diventa così lo strumento principe del controllo fiscale. In questa visione chi produce lavoro e ricchezza, un imprenditore, un artigiano, un commerciante, un professionista è un sospettato, è un evasore, è potenzialmente un malfattore, costretto a dar prova continua della sua innocenza. La nostra visione è naturalmente l'opposto. Negli anni di governo abbiamo valorizzato al massimo il principio della leale collaborazione fra Stato e cittadino, che non è un'utopia: l'andamento del gettito tributario ha dimostrato e dimostra che questo metodo può funzionare e sta funzionando. Le misure studiate dal viceministro Visco comprimono invece gli spazi fondamentali di riservatezza e di libertà del singolo, come ha giustamente denunciato il Collegio del Garante per la privacy. Ma anche questo autorevole richiamo è stato disatteso dal governo. Mi auguro che il Garante sappia e voglia rinnovare e rendere più forte il suo richiamo proprio a tutela dei cittadini. Al diritto previsto dall'articolo 41 della nostra Carta Costituzionale per il quale «l'iniziativa economica è libera» si sostituisce il potere preventivo e discrezionale dello Stato. S'instaura così il principio di controllabilità totale preventiva, la cosiddetta tracciabilità di ogni contribuente da parte del fisco. Lo Stato diventa una sorta di "Grande Inquisitore", capace di schedare ogni transazione, ogni spesa anche minuta di un cittadino, i suoi stili di vita, i suoi consumi, le sue vacanze, le sue malattie, in sostanza tutto il suo comportamento economico. Si tratta di una schedatura invasiva e totale come mai si è visto sino ad ora in una democrazia liberale. FURORE IDEOLOGICO Ci troviamo quindi di fronte a misure di cui i cittadini non hanno ancora piena percezione, ma che scopriranno presto essere misure estreme sul piano dell'assoggettamento fiscale. Con l'aggravante che non c'è alcuna norma che garantisca contro l'uso improprio dei dati raccolti dall'amministrazione. Signori del Governo, questo modo di operare è preoccupante e pericoloso. Il fattore ideologico ed anzi il "furore ideologico" prevalgono sul senso di responsabilità. In più annunciare misure retroattive in campo fiscale non pone soltanto problemi di rango costituzionale e di moralità nel rapporto fra Stato e cittadino. Determina anche effetti pratici devastanti. Il fatto che siate stati costretti a fare marcia indietro sulle norme che riguardavano il settore immobiliare, non ha cancellato il danno che avete causato. Il mercato dei capitali e degli investimenti ha preso sul serio i vostri annunci e neppure le smentite, abborracciate e tardive, hanno potuto porre rimedio al danno che era stato già provocato. Solo dilettantismo? O ci troviamo di fronte alla creazione di un pericoloso precedente di tassazione retroattiva? (Anche per quanto riguarda le rendite finanziarie, la tassazione del ceto medio possessore di Bot e Cct, il vostro obiettivo non è cambiato. Lo avevate annunciato e poi ritrattato in campagna elettorale). Siamo di fronte ad una sorta di vendetta sociale spacciata come un provvedimento di liberalizzazione economica, un provvedimento di cui la parte più rilevante è invece quella fiscale. Queste liberalizzazioni sono liberalizzazioni spurie destinate a coprire il principio del controllo fiscale a partire dal conto corrente e tendono a favorire le cooperative, le grandi aziende, i grandi gruppi professionali a svantaggio degli operatori minori. Le vere liberalizzazioni, quelle che toccano i settori strategici, quelle che anche l'Antitrust ha indicato come urgenti, non sono state neppure immaginate. Una politica seria di liberalizzazioni deve necessariamente rompere il monopolio sindacale, deve eliminare i privilegi delle cooperative, deve liberalizzare il mercato del lavoro e dei servizi, deve privatizzare le public utilities , deve promuovere l'imprenditorialità e l'attitudine al rischio, deve insomma agire a 360° su tutti i mercati e non può certo prescindere da un preventivo confronto con tutte le categorie interessate. A meno che voi non pensiate che alcune categorie non siano meritevoli non dico di essere consultate ma neppure di essere informate. Sulle liberalizzazioni, quelle vere, e non su un decreto legge che blinda una maggioranza in decomposizione, varrebbe la pena di fare un confronto serio, ampio e approfondito. Perché oggi tutti gli italiani, a destra come a sinistra, si pongono la stessa semplice domanda: «Per quanto tempo si può andare avanti così?». Noi siamo convinti che vi sia la consapevolezza di questa situazione anche tra i protagonisti più responsabili del centro-sinistra. Ci auguriamo perciò che il filo di un dialogo sulle esigenze e sulle urgenze di questo Paese possa essere ripreso. Gli appelli del Capo dello Stato, le sollecitazioni del mondo produttivo vanno in questa direzione. Purtroppo non sembrano queste le logiche che prevalgono sinora nella maggioranza. NO AL DECRETO Signor Presidente, Signori Deputati, per tutte le ragioni che ho esposto noi voteremo contro questo decreto che incrementa la oppressione burocratica e fiscale sui cittadini, mettendo a rischio la loro libertà civile ed economica. Noi continueremo a svolgere con determinazione, in quest'Aula, come anche al Senato, un'opposizione ferma, ma al tempo stesso serena e propositiva in difesa non solo di quella metà del Paese che ci ha dato fiducia ma di tutti gli italiani che chiedono di essere tutelati da ogni eccesso fiscale e burocratico. Vi ringrazio.

Fausto blocca gli applausi per il Cavaliere
ROMA Fausto Bertinotti zittisce gli applausi per Silvio Berlusconi. Alla fine della sua dichiarazione di voto a Montecitorio sul decreto Bersani, per il Cavaliere è scattata la standing ovation degli azzurri. Un applauso prolungato, accompagnato da una lunga serie di strette di mano. Anche Gianfranco Fini ha lasciato il suo posto per andare a complimentarsi. Lividi e immobili, invece, Casini e Tabacci. E poi tanti azzurri in fila per scambiare due parole con Silvio. Ma gli applausi per il Cavaliere si sono prolungati oltre misura, tanto che Dario Franceschini, MargheritaUlivo, non riusciva a prendere la parola. E qualcuno, tra i battiti di mano, ha udito anche un "po po po", il ritornello reso celebre per la vittoria italiana ai mondiali di calcio. Insomma, dopo cinque minuti di «Silvio-Silvio», Bertinotti ha perso la pazienza ed è intervenuto per riportare silenzio in Aula, subissato però da un coro di fischi e contestazioni dai banchi della maggioranza. «Adesso basta, il presidente prende la parola», ha esclamato, visibilmente spazientito, «voi potete anche continuare ad applaudire, ma non potete impedire al presidente di parlare. Finora si è proceduto con spirito di rispetto per tutti. Anche quando è stato esposto uno striscione (i deputati della Lega con uno slogan contro Prodi e Bersani, ndr), ho deciso di lasciar correre. Penso che chiunque abbia il diritto di applaudire e di fischiare nel modo più contenuto possibile. Chiedo solo di dimostrare consenso o dissenso con una cera sobrietà...». A quel punto gli applausi a Berlusconi si sono trasformati in una contestazione a Bertinotti durata una paio di minuti. Poi, finalmente, la parola è stata data a Franceschini. Che ha iniziato il suo intervento proprio rivolto al Cavaliere: «Finalmente lei, stando all'opposizione, ha avuto l'applauso che ha tanto aspettato invano quando era premier da parte della sua maggioranza». E qui urla e contestazioni sono ripartite. G.L.R.


Strage di Bologna, Prodi: lavorare per verità e giustizia


Al boato delle 10.25 del 2 agosto 1980 si è sostituito il fischio sordo di un locomotore. Ma è stato l´unico. Dopo i dissensi che per cinque anni hanno accolto gli esponenti delle istituzioni (dall'ex presidente della Camera Casini all'ex vicepremier Tremonti) Bologna ha ricordato le vittime della strage del 2 agosto di 26 anni fa (85 morti e 200 feriti) per la prima volta in un abbraccio che ha unito circa diecimila persone: familiari, cittadini, rappresentanti delle istituzioni. Solo applausi anche per l'intervento del ministro dell'Attuazione del programma Giulio Santagata.

Santagata ha prima di tutto ribadito l'impegno da parte del governo per creare un commissario straordinario che renda più snella ed immediata l'applicazione della l legge a favore dei familiari delle vittime del terrorismo. In secondo ha parlato della necessità della riforma delle norme sul segreto di Stato, che «andrà limitato nel tempo», ha detto Santagata. Il tema era già stato toccato dal sindaco di Bologna Sergio Cofferati che in mattinata aveva ricordato l'importanza di «arrivare all'approvazione di norme di legge che portino ad un superamento definitivo del segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo». Un plauso alla proposta di Cofferati era arrivata subito dopo da parte di Paolo Cento, deputato dei Verdi: «Oggi finalmente a Bologna vi è stato un impegno chiaro e condivisibile per la riforma del segreto di Stato. La strage con una sentenza passata in giudicato era e rimane fascista - sottolinea Cento -. Ora finalmente viene un nuovo impulso per accertare ogni ulteriore buco nero utile a stabilire la piena verità sullo stragismo in Italia».

E l'esigenza di fare piena luce sui fatti di 26 anni fa era già stata espressa dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale in una lettera indirizzata all'associazione familiari delle vittime aveva ricordato il «loro anelito di verità». Sull'importanza dell'accertamento delle responsabilità anche il presidente del Consiglio Romano Prodi: «La strage alla stazione di Bologna è una delle troppe pagine nere del nostro Paese, una ferita inferta alla democrazia, una ferita lacerante che ancora oggi non si rimargina: il dovere delle istituzioni è quello di lavorare ogni per il trionfo della verità e della giustizia» ha scritto in un telegramma letto nella sala del Consiglio comunale di palazzo D'Accursio.

Quindi serenità e sete di giustizia sono la copertina di questo 26° anniversario della strage, elementi già rivendicati da Paolo Bolognesi, presidente dell´Associazione dei familiari delle vittime, negli appelli dei giorni scorsi. Anche per questo il corteo di stamane ha potuto sfilare nella compostezza del suo doloroso ricordo, mostrando solo decine di gonfaloni in rappresentanza delle città italiane.

Ma non solo Bologna ha ricordato le stragi. Anche Roma ha celebrato la ricorrenza con una messa nella chiesa di S. Marco in Campidoglio, mentre ad Altofonte, provincia di Palermo, si è ricordata la memoria di Angela, Mimma e Leoluca Marino, i tre fratelli morti poco più che ventenni, mentre aspettavano un treno per raggiungere la sorella a Ravenna.Pubblicato il 02.08.06UNITà

Con Prodi Bologna è un po' meno strage

Commemorazione senza i fischi riservati al governo nei 5 anni di Silvio. Eppure nell'80 ministro era Romano
BOLOGNA «Anniversario della strage di Bologna. Dopo cinque anni, nessun fischio». Così dettavano ieri pomeriggio le agenzie di stampa, dando conto della annuale, sacrosanta commemorazione della strage del 2 agosto 1980, in cui persero la vita 85 persone e 200 rimasero ferite. Cerimonia alla quale hanno presenziato il sindaco di Bologna, Sergio Cofferati, e, in rappresentanza del governo Prodi, Giulio Santagata, collaboratore storico del Professore e ministro per l'Attuazione del programma. Per fortuna, dunque, niente fischi, il che forse contribuisce a un ricordo più rispettoso delle vittime. Il fatto che cinque anni sia anche la durata di una legislatura, e che proprio quest'anno ci siano state le elezioni, non deve trarre in inganno: si tratta di una semplice coincidenza. Solo a pochi ostinati dediti al retropensiero può venire in mente che, negli anni scorsi, l'anniversario possa essere servito come occasione per contestare più il governo (allora) in carica che presunte macchinazioni parafasciste per occultare la verità. Sulle quali, per inciso, Berlusconi avrebbe potuto fare, anche volendo, certamente meno del suo rivale, allora già ex ministro dell'Industria nel governo Andreotti IV. Quella di Bologna resta "ferita aperta" nella storia d'Italia, con i processi, le condanne, i depistaggi. Da sinistra si attacca chi tenta "revisionismi" che puntino a rimuovere la "matrice fascista" dell'attentato. Da altre parti si tirano in mezzo potenze straniere e terroristi rossi. I "neri" Mambro e Fioravanti, condannati, continuano a dirsi innocenti; novità sono attese dalla famigerata Commissione Mitrokhin: quanto basta per dare più di una ragione alle ripetu te richieste di verità delle famiglie delle vittime, e in fondo di tutti. Però c'è una polemica che si scatena con imbarazzante puntualità, ogni estate. Una polemica che di anno in anno suona, sempre più irrimediabilmente, come uno schiaffo alla memoria dei morti: quella sul "segreto di stato". Andare a riprendersi le agenzie di 365 giorni fa è un esercizio che fa sorridere e cadere le braccia insieme. Il dejà-vu è impressionante. Praticamente gli stessi, identici protagonisti della politica continuano a invocare la rimozione del segreto di stato sulla strage del 2 agosto. Sembra totalmente irrile vante il fatto che non esiste alcun segreto di stato sulla questione. Il 3 agosto 2005, sulla Stampa, fu pubblicato un articolo di Mattia Feltri. L'autore aveva sondato sul temi due esperti in materia: Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Così il primo: «Segreto su Bologna? E per coprire chi? E chi l'ha voluto? Francamente non mi risulta». Il secondo fu leggermente più involuto e meno diplomatico: «Dopo aver sentito che Prodi ritiene, insieme ai professionisti del dolore, che i governi precedenti al suo abbiano posto il segreto di stato a notizie relative alla strage di Bologna, ricordandogli che questo segreto da me non fu mai opposto, e che se opposto fosse stato, egli che per disgrazia del Paese è stato presidente del Consiglio avrebbe potuto toglierlo, debbo qualificarlo come un perfetto cialtrone». Una mazzata con risicatissimi margini di replica. Eppure ci risiamo anche quest'anno: Cofferati («Promuovere leggi che aboliscano il segreto di Stato»), Cento («La riforma del segreto è una priorità»), Santagata (che si è beccato di «leggerone» ancora da Cossiga, per una frase un po' ambigua sul segreto medesimo pronunciata ieri a Bologna), Pecoraro Scanio («Abolire il segreto di Stato»). Pure Alessandra Mussolini. Con la differenza che tre di questi ora fanno parte del governo che potrebbe anche toglierlo, il segreto: se solo ci fosse. Perché fu posto solo sull'identità di un membro nei servizi coinvolto nelle indagini sul depistaggio. «Ma poi la sua identità fu svelata da Andreotti», come ha spiegato Daria Bonfietti, diessina, presidente dell'Associazione vittime di Ustica, sempre alla Stampa. Ma è passato un altr'anno, chi se lo ricorda. E poi la piazza non fischia. MARTINO CERVO LA SCHEDA IL MASSACRO Sabato 2 agosto 1980 alle ore 10.25, esplode alla stazione ferroviaria di Bologna un ordigno a tempo contenuto in una valigia abbandonata nella sala d'aspetto. L'esplosione uccide 85 persone, ferendone oltre 200. La detonazione (prodotta da una miscela di tritolo e T4) distrugge gran parte della stazione investendo il treno Ancona-Chiasso in sosta L'INCHIESTA La Cassazione il 23 novembre 1995 conferma dell'ergastolo, come esecutori dell'attentato, per i terroristi neofascisti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (che si dichiarano innocenti) e la condanna per depistaggio di Licio Gelli, dell'ex agente del Sismi Francesco Pazienza, degli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte

My Speed Limit ??? 400 Km/h






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Il giornale del giorno   3/8/2006 9.25.49 (240 visite)   Mr_LiVi0
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                        Livio...   3/8/2006 10.16.28 (18 visite)   DanyMasca
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                                                      re:Livio...   3/8/2006 11.18.27 (23 visite)   DanyMasca
            re:Il giornale del gio   3/8/2006 9.57.25 (15 visite)   POMPEO
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               re:Il giornale del gio   3/8/2006 10.4.11 (20 visite)   Mr_LiVi0
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   re:Il giornale del giorno   3/8/2006 10.50.1 (20 visite)   JaNNiNoQuai
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