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Nick: older
Oggetto: re:Pensieri e decodifiche varie
Data: 14/2/2004 13.29.28
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"Continuano ancora ad esistere ingenui osservatori di sé, i quali credono che vi siano "certezze immediate", per esempio "io penso", o, come era la superstizione di Schopenhauer, "io voglio": come se qui il conoscere potesse afferrare puro e nudo il suo oggetto, quale "cosa in sé", e non potesse aver luogo una falsificazione né da parte del soggetto, né da parte dell'oggetto." … se il "soggetto" della conoscenza, colui che conosce, può falsificare i dati della sua conoscenza sovrapponendovi le proprie "verità" prefabbricate e le proprie teorie morali; così anche l'"oggetto", la cosa che si vuole conoscere, si nasconde dietro un'apparenza, una serie di maschere, che caratterizza tutto ciò che è vivo: la vita ama nascondersi per difendersi... "Ma non mi stancherò di ripetere che "certezza immediata", così come "assoluta conoscenza" e "cosa in sé", comportano una "contradictio in adjecto": ci si dovrebbe pure sbarazzare, una buona volta, della seduzione delle parole! Creda pure fin che vuole il volgo, che conoscere sia un conoscere esaustivo; il filosofo deve dirsi: se scompongo il processo che si esprime nella proposizione "io penso", ho una serie di asserzioni temerarie, la giustificazione delle quali mi è difficile, forse impossibile, - come per esempio, che sia io a pensare, che debba esistere un qualcosa, in generale, che pensi, che pensare sia un'attività e l'effetto di un essere che è pensato come causa, che esista un "io", infine, che sia già assodato che cos'è caratterizzabile in termini di pensiero, - che io sappia che cos'è pensare. Se io, infatti, non mi fossi già ben deciso al riguardo, su quale base potrei giudicare che quanto appunto mi sta accadendo non sia forse un "volere" o un "sentire"? Ebbene, quell'"io penso" presuppone il confronto del mio stato attuale con altri stati che io conosco a me attinenti, al fine di stabilire che cosa esso sia: a causa di questo rinvio a un diverso "sapere", esso non ha per me, in nessun caso, un'immediata certezza." Malgrado la sua critica nei confronti del linguaggio filosofico tradizionale, in questo caso Nietzsche "ricade" nel meccanismo della confutazione logica: egli asserisce, infatti, che la "certezza" cartesiana circa il fondamento primario dell'"io penso" - al di sotto dell'io, della coscienza, non c'è nulla poiché è il pensare che costituisce il fondamento di ogni certezza - è contraddetta dall'esistenza, accanto al "pensare", di altri stati della coscienza quali il "volere" e il "sentire". In base a quale principio assoluto possiamo dunque stabilire che prima viene il pensare e poi tutto il resto? In base, sostiene Nietzsche, a una semplice nostra decisione in tal senso. Ma proprio Nietzsche ci ha insegnato che una decisione non crea una verità. " - Al posto di quella "certezza immediata", alla quale il popolo, nel caso in questione, può credere, il filosofo si ritrova in tal modo nelle mani una serie di problemi della metafisica, vere e proprie questioni di coscienza dell'intelletto, che così si formulano: "Donde prendo il concetto del pensare? Perché credo a causa ed effetto? Che cosa mi dà il diritto di parlare d'un io e perfino d'un io come causa, e infine ancora d'un io come causa dei pensieri?". Chi, richiamandosi a una specie d'intuizione della conoscenza, si sentisse così fiducioso da rispondere, come fa colui che dice: "Io penso e so che questo almeno è vero, reale, certo" -troverebbe oggi pronti in un filosofo un sorriso e due punti interrogativi: "Signor mio, gli farebbe forse capire il filosofo, è improbabile che lei non si sbagli: ma perché poi verità a tutti i costi?." Per comprendere il significato di quest'ultima frase, leggiamo questi altri due brevi aforismi tratti da La volontà di potenza: "Contro il valore di ciò che rimane eternamente uguale (vedi l'ingenuità di Spinoza, come pure di Cartesio) c'è il valore di ciò che è più breve e transeunte, il seducente scintillio dorato sul ventre del serpente vita". "Non "conoscere" ma schematizzare, - imporre al caos tutta la regolarità e tutte le forme sufficienti al nostro bisogno pratico". Dunque la verità a tutti i costi è un bisogno pratico di sopravvivenza dell'uomo; solo di quell'uomo, però, che teme, per debolezza, la forza vitale del "divenire", del caotico cambiamento che caratterizza la vita. Il seguente aforisma (n. 289), sempre tratto da Al di là del bene e del male, è stato giudicato "una delle pagine più belle che Nietzsche abbia mai scritto". In esso emerge con forza quel concetto di profondità insondabile del "vero" che ha connotato gran parte del pensiero del Novecento: "Negli scritti di un eremita si ode ancor sempre qualcosa coma la eco del deserto, qualcosa dei bisbigli e del timido guardarsi attorno della solitudine…" Malgrado l'apparenza, anzi, proprio "dietro di essa", deserto e solitudine nascondono ancora qualcosa; l'eremita ascolta proprio questo "qualcosa". "… dalle sue più forti parole, dal suo stesso grido affiora ancora una nuova e più pericolosa specie di silenzio, di tacita segretezza. Chi di anno in anno, ogni giorno e ogni notte, è stato in un intimo contrasto e colloquio con l'anima sua, chi nella sua caverna - può essere un labirinto, ma anche una miniera d'oro - è divenuto un orso antidiluviano o un disseppellitore o un custode di tesori e un drago…" Il "nuovo" filosofo che Nietzsche intende essere non è colui che dà chiarezza, ma colui che scava nella profondità senza paura di sporcarsi; nella profondità dell'esistenza infatti si trova l'oscurità (che la nostra "coscienza" ritiene fangosa) di una condizione vitale elementare di cui è stolto avere paura, perché in essa si cela il tesoro della vita. Il filosofo, come il drago della mitologia sassone, è il custode del tesoro celato nel cuore della terra. "… finisce per ricevere, persino nelle sue idee, un tono di luce crepuscolare, un profumo tanto d'abisso che di muffa, qualcosa di incomunicabile e di ripugnante che investe con un soffio gelido chiunque gli passi accanto. L'eremita non crede che un filosofo - posto che un filosofo sia sempre stato, prima di tutto, un eremita - abbia mai espresso in libri le sue intime ed estreme opinioni: non si scrivono forse libri al preciso scopo di nascondere quel che si custodisce dentro di sé? - dubiterà, anzi, che un filosofo possa avere in generale "estreme e intime" opinioni, pensando invece che ci sia in lui, dietro ogni caverna, una caverna ancor più profonda - un mondo più vasto, più strano, più ricco al di sopra d'una superficie, un abisso sotto ogni fondo, sotto ogni "fondazione". Ogni filosofia è filosofia di proscenio - questo è un giudizio da eremita: "V'è qualcosa di arbitrario nel fatto che costui si sia arrestato qui, abbia rivolto lo sguardo indietro e intorno a sé, non abbia, qui, scavato più profondamente e abbia messo in disparte la vanga - c'è pure qualcosa di sospetto in tutto ciò". Ogni filosofia nasconde anche una filosofia; ogni opinione è anche un nascondimento, ogni parola anche una maschera."


Da: Al di là del bene e del male, afor. 16:

"Continuano ancora ad esistere ingenui osservatori di sé, i quali credono che vi siano "certezze immediate", per esempio "io penso", o, come era la superstizione di Schopenhauer, "io voglio": come se qui il conoscere potesse afferrare puro e nudo il suo oggetto, quale "cosa in sé", e non potesse aver luogo una falsificazione né da parte del soggetto, né da parte dell'oggetto." … se il "soggetto" della conoscenza, colui che conosce, può falsificare i dati della sua conoscenza sovrapponendovi le proprie "verità" prefabbricate e le proprie teorie morali; così anche l'"oggetto", la cosa che si vuole conoscere, si nasconde dietro un'apparenza, una serie di maschere, che caratterizza tutto ciò che è vivo: la vita ama nascondersi per difendersi... "Ma non mi stancherò di ripetere che "certezza immediata", così come "assoluta conoscenza" e "cosa in sé", comportano una "contradictio in adjecto": ci si dovrebbe pure sbarazzare, una buona volta, della seduzione delle parole! Creda pure fin che vuole il volgo, che conoscere sia un conoscere esaustivo; il filosofo deve dirsi: se scompongo il processo che si esprime nella proposizione "io penso", ho una serie di asserzioni temerarie, la giustificazione delle quali mi è difficile, forse impossibile, - come per esempio, che sia io a pensare, che debba esistere un qualcosa, in generale, che pensi, che pensare sia un'attività e l'effetto di un essere che è pensato come causa, che esista un "io", infine, che sia già assodato che cos'è caratterizzabile in termini di pensiero, - che io sappia che cos'è pensare. Se io, infatti, non mi fossi già ben deciso al riguardo, su quale base potrei giudicare che quanto appunto mi sta accadendo non sia forse un "volere" o un "sentire"? Ebbene, quell'"io penso" presuppone il confronto del mio stato attuale con altri stati che io conosco a me attinenti, al fine di stabilire che cosa esso sia: a causa di questo rinvio a un diverso "sapere", esso non ha per me, in nessun caso, un'immediata certezza."


Da: Al di là del bene e del male, afor. 289:

"Negli scritti di un eremita si ode ancor sempre qualcosa coma la eco del deserto, qualcosa dei bisbigli e del timido guardarsi attorno della solitudine…" Malgrado l'apparenza, anzi, proprio "dietro di essa", deserto e solitudine nascondono ancora qualcosa; l'eremita ascolta proprio questo "qualcosa". "… dalle sue più forti parole, dal suo stesso grido affiora ancora una nuova e più pericolosa specie di silenzio, di tacita segretezza. Chi di anno in anno, ogni giorno e ogni notte, è stato in un intimo contrasto e colloquio con l'anima sua, chi nella sua caverna - può essere un labirinto, ma anche una miniera d'oro - è divenuto un orso antidiluviano o un disseppellitore o un custode di tesori e un drago…" Il "nuovo" filosofo che Nietzsche intende essere non è colui che dà chiarezza, ma colui che scava nella profondità senza paura di sporcarsi; nella profondità dell'esistenza infatti si trova l'oscurità (che la nostra "coscienza" ritiene fangosa) di una condizione vitale elementare di cui è stolto avere paura, perché in essa si cela il tesoro della vita. Il filosofo, come il drago della mitologia sassone, è il custode del tesoro celato nel cuore della terra. "… finisce per ricevere, persino nelle sue idee, un tono di luce crepuscolare, un profumo tanto d'abisso che di muffa, qualcosa di incomunicabile e di ripugnante che investe con un soffio gelido chiunque gli passi accanto. L'eremita non crede che un filosofo - posto che un filosofo sia sempre stato, prima di tutto, un eremita - abbia mai espresso in libri le sue intime ed estreme opinioni: non si scrivono forse libri al preciso scopo di nascondere quel che si custodisce dentro di sé? - dubiterà, anzi, che un filosofo possa avere in generale "estreme e intime" opinioni, pensando invece che ci sia in lui, dietro ogni caverna, una caverna ancor più profonda - un mondo più vasto, più strano, più ricco al di sopra d'una superficie, un abisso sotto ogni fondo, sotto ogni "fondazione". Ogni filosofia è filosofia di proscenio - questo è un giudizio da eremita: "V'è qualcosa di arbitrario nel fatto che costui si sia arrestato qui, abbia rivolto lo sguardo indietro e intorno a sé, non abbia, qui, scavato più profondamente e abbia messo in disparte la vanga - c'è pure qualcosa di sospetto in tutto ciò". Ogni filosofia nasconde anche una filosofia; ogni opinione è anche un nascondimento, ogni parola anche una maschera."




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