Nick: Mr_LiVi0 Oggetto: All'attacco...miei PRODI Data: 29/9/2006 9.49.35 Visite: 204
La telecom sta creando non pochi danni al governo e all'immagine del primo ministro Romano Prodi. Chi ha voglia legga... so solo che oggi libero ci è andato giù pesante... Fini Feltri Mainiero Pansa e Tremonti sono le 5 punte che il quotidiano ha utilizzato per sferrare il nuovo attacco al governo. A noi che ce ne fottE? nulla, o forse sì... se l'italia va a rotoli siamo tutti colpevoli. anche i nostri figli che, così come nascono, hanno un debito che grava sulle loro spalle !!! Il Professore fa la lezione ma non spiega niente di MARIO PRIGNANO Prodi insiste: di Telecom non sapevo nulla, le priorità sono altre ROMA Alla fine c'è venuto. Puntuale, quando mancavano pochi minuti alle tre del pomeriggio, Romano Prodi è entrato nell'aula di Montecitorio. Una frazione di secondo prima che Fausto Bertinotti gli desse la parola si è alzato in piedi, si è aggiustato il microfono e, avuto il via libera dal presidente, ha preso a parlare. Pochi passaggi dedicati a ribadire la sua verità sul giallo del piano di riassetto di Telecom. Poi, il Professore si è tuffato in una lezione di quaranta minuti su «l'orientamento del governo nel delicato rapporto tra Stato e mercato». Per dare un'idea: sette pagine del suo intervento dedicate al piano Rovati e alle implicazioni del governo, ventidue al rapporto tra Stato e mercato. L'opposizione lo ha contestato interrompendolo più volte e irridendolo. La maggioranza ha applaudito una sola volta, alla fine. Coerente con il famoso «ma siamo matti!», pronunciato due settimane fa in risposta a chi gli chiedeva se intendeva andare in Parlamento a riferire sul caso Telecom, il premier ha messo subito in chiaro: «Altri sono gli interessi del Paese ed è ad essi che deve essere rivolta l'attenzione del Parlamento e del governo». Anche se quell'attenzione è venuta prima di tutto dalla sua coalizione, dal centro sinistra? Certo. Anzi: «Proprio il rispetto per il Parlamento mi ha indotto a rifiutare gli irriguardosi tentativi di utilizzare le aule parlamentari per portare il dibattito al di fuori dei temi di reale interesse del Paese». Ora, però, in Parlamento c'è venuto. Del piano di Rovati dovrà pur parlare. E allora ecco il ritornello: «Ribadisco che non sono mai stato messo a conoscenza di alcun piano su Telecom Italia». Nè «alcun cenno a tale piano» è stato fatto negli incontri che i vertici di Telecom Italia hanno richiesto «non solo al presidente del Consiglio, ma anche ad altri autorevoli esponenti del governo». Come dire: se qualcuno, magari dentro la maggioranza, mi accusa di avere taciuto su Telecom, allora si guardi intorno e sappia che non sono stato il solo ad avere incontrato a quattr'occhi Tronchetti Provera. Già, Tronchetti. «Non è certamente un verbale del consiglio di amministrazione di Telecom Italia», quello in cui Tronchetti dimissionario ha detto che Prodi era stato informato di tutto, a provare che il presidente del Consiglio sapeva, anzi: che «il presidente del Consiglio, e con lui il governo», sapevano. Anche qui, per chi sa leggere in filigrana, lo stesso messaggio: se io sapevo, sapevano anche altri, nell'esecutivo. E se qualcuno nutrisse ancora dubbi sul fatto che il governo possa avere analizzato o elaborato i piani di Telecom; se, in altre parole, qualcuno sospetta dell'esistenza di una volontà dirigistica da parte dell'esecutivo, «credo che le dimissioni e le spiegazioni di Angelo Rovati abbiano già fugato questi dubbi. Queste dimissioni chiudono ogni polemica». Fine della parte dedicata al caso Telecom. Qualcuno, anche dentro la maggioranza, potrà anche averla pensata in modo diverso. Ma è stato a questo punto che Prodi ha spiegato quello che, a suo dire, era il vero motivo per cui si trovava lì. «Il presidente del Consiglio è oggi in Parlamento», ha scandito parlando di sé in terza persona, «per esporre qual è l'orientamento del governo nel delicato rapporto tra Stato e mercato». L'opposizione, come era ovvio, ha iniziato a rumoreggiare. Tra le file di Forza Italia, il possente Guido Crosetto ha urlato per tre o quattro volte di fila la parola «Rovati». Nei banchi della maggioranza, più di qualcuno ha iniziato ad aprire il giornale sprofondando nella lettura. Alla sinistra di Prodi, Rutelli si è messo comodo. E il Professore ha potuto avviare la sua lezione. Il tono non baldanzoso dell'eloquio del premier forse avrebbe avuto la meglio su ogni tentativo di interromperlo o contestarlo, da parte dell'opposizione, se non fosse stato per l'incidente che è capitato mentre citava il suo passato all'Iri. Accusato di volontà dirigistiche, sospettato anche all'interno della sua maggioranza di volere riportare parte di Telecom sotto l'ombrello statale, il Professore ha alzato il tono delle sue parole solo per dire che avallare una tale politica «per me, in particolare, sarebbe anche sconfessare parte della mia storia professionale, visto che...». Visto cosa? Gli italiani che seguivano in tivù la scena insieme a tutti i presenti hanno dovuto attendere quaranta minuti buoni per conoscere il seguito del discorso. Interrotto a suon di «buuu», «Cirio!», «provocatore», «Nomisma», «dicci delel consulenze», Prodi ha ripetuto per sette volte quella frase sempre fermandosi allo stesso punto. Fino a quando Bertinotti non ha interrotto la seduta per riaprirla, appunto, quaranta minuti dopo. L'opposizione si è acquietata, Prodi ha chiuso la frase dimostrando così che alla fine l'aveva vinta lui. Dal suo banco poco sotto le tribune della stampa, Berlusconi ha commentato con chi gli era vicino: «È chiaro che ha cercato lo scontro». Caso strano, i commessi della Camera erano stati avvisati che avrebbero potuto esserci disordini in aula, durante il discorso di Prodi. IL CASO L'ATTACCO Dopo il consiglio d'amministrazione di Telecom che l'11 settembre decide lo scorporo di Tim scoppia la guerra tra Prodi e Tronchetti. «Non mi è stato detto niente», attaccato il Professore. LA REPLICA Lo stesso giorno è arrivata la risposta dell'ex presidente Telecom. «Non faccio polemica con le istituzioni, a parlare saranno le carte» PIANI SEGRETI Giovedì 14, il Corriere della Sera e Il Sole-24Ore pubblicano il piano di riassetto inviato a Tronchetti dal consigliere economico di Prodi, Angelo Rovati, che sarà costretto a dimettersi LE CARTE Venerdì 22, il neopresidente del gruppo telefonico, Guido Rossi, spedisce ai giudici una dettagliata relazione sulla vicenda con le carte relative agli ultimi cda. IN AULA Dopo una lunga polemica, durante la quale, prima Prodi aveva dichiarato che non sarebbe intervenuto in Parlamento, poi aveva accettato di parlare alla Camera, ma non al Senato, infine si era piegato a rispondere davanti a entrambi le camere, si arriva al dibattito in Aula. Ieri Prodi è intervenuto alla Camera, giovedì prossimo andrà al Senato. L'INTERVENTO Il premier ribadisce di non aver mentito e di non essere stato all'oscuro dei piani di riassetto Telecom. Nel suo intervento, però, non chiarisce e non risponde ad alcuno degli interrogativi rimasti in sospeso. Il disco-rotto di Romano irrita anche gli alleati di GIANLUCA ROSELLI Nonostante i fischi, il Professore ripete 8 volte una frase sul suo passato all'Iri, ma la maggioranza non gradisce: «Insistenza inutile». E anche sui contenuti... ROMA «Per me sarebbe come sconfessare la mia storia personale, visto che come presidente dell'Iri...». Alla sesta volta in cui Romano Prodi ha ripetuto la frase della discordia ( in tutto saranno nove), mentre nell'aula di Montecitorio risuonavano le urla e i fischi dei deputati della Cdl, Francesco Rutelli, terreo, sussurrava qualcosa al presidente del consiglio. Più tardi si saprà che era un invito ad andare avanti. Inascoltato, il leader della Margherita si è poi rivolto a Fausto Bertinotti per chiedergli di intervenire, da una parte per calmare gli animi del centrodestra, dall'altra per esortare il capo del governo a proseguire. E lo stesso Bertinotti, dopo aver richiamato all'ordine più volte la Cdl, ha invitato «il presidente del consiglio ad a-n-d-a-r-e a-v-an-t-i». Sottinteso: passa al prossimo periodo, altrimenti non ne usciamo più. Ma niente, il Professore non si è scomposto e ha recitato per l'ennesima volta il suo mantra. Alla fine il presidente della Camera, non riuscendo a sedare le proteste dell'opposizione, è costretto a sospendere la seduta e a riunire una tumultuosa riunione dei capigruppo. Insomma, il Professore ieri nell'informativa sul caso Telecom è riuscito a irritare tutti: opposizione, ma anche maggioranza. Bastava guardare gli sguardi perplessi sui banchi del governo e la freddezza su quelli dell'Unione mentre lui portava avanti il suo personalissimo braccio di ferro con l'opposizione. Massimo D'Alema, imbarazzato, non staccava gli occhi dal suo origami. Giuliano Amato guardava il soffitto e avrebbe voluto essere altrove. Piero Fassino cercava con gli occhi la solidarietà del suo compagno di scranno. E a qualcuno è tornato in mente quel giorno del 1998, quando il primo governo Prodi cadde proprio a causa della testardaggine prodiana. Ma se D'Alema alla fine dell'intervento di Prodi è sfilato via rapido, Fassino e Rutelli in privato hanno tirato le orecchie al premier, chiedendogli se «era proprio necessario tirare così tanto la corda». Irritato è apparso anche Bertinotti, messo in imbarazzo dalla pignoleria del Professore. «Io non posso intervenire sullo stile del suo discorso», ha risposto ai capigruppo dell'opposizione durante la lunga interruzione, «quindi o voi fate un passo indietro o sono costretto a sospendere in modo definitivo la seduta». Ma se ufficialmente i leader dell'Unione hanno solidarizzato con Prodi e condannato «la gazzarra messa in piedi dalla Casa delle Libertà», in realtà, anche sui contenuti il Professore non ha convinto i suoi. Tanto da ricevere solo due tiepidi applausi. E qualche velata critica, ad esempio, tra le righe del discorso di Franco Giordano. Ha mentito al Paese Adesso si dimetta di GIULIO TREMONTI Pubblichiamo l'intervento tenuto ieri alla Camera dall'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, durante la seduta per l'informativa del presidente del Consiglio Romano Prodi sulla vicenda Telecom. Signor presidente, onorevoli colleghi, è stato davvero un piacere, presidente Prodi, vederla finalmente entrare in quest'aula; francamente, non è stato un piacere sentirla parlare a quest'Assemblea. Lei non è riuscito a difendere né il suo operato né il suo consigliere. Qui ci ha parlato di molto, anche con insistiti, intimistici frammenti della sua storia professionale. Ci ha parlato di tutto questo, ma non dell'essenziale: della ragione per cui è stato convocato oggi in quest'aula. LE COLPE DEL PASSATO Per favore, non divaghi sul futuro del capitalismo e delle telecomunicazioni. Userò una sua immagine: se schiacci il tubetto, poi è difficile rimetterci dentro il dentifricio. Nel 1997 è lei che ha schiacciato il tubetto della Telecom, privatizzandola istantaneamente e totalmente. È lei che ha messo la Telecom sul mercato dei capitali, senza che ci fossero i capitalisti! Dopo nove anni, adesso ci dice che si deve correggere quel suo errore. Dubito che sia possibile farlo con mezzi politici corretti: non con la nazionalizzazione, non arrangiando una cordata più o meno filogovernativa, non aggirando la normativa europea. Il Governo avrà modo di esporci i suoi piani sul capitalismo, sulle telecomunicazioni; ma noi qui, oggi, vogliamo parlare di un'altra cosa. Vogliamo parlare dell'affare Telecom, del suo ruolo in questo affare, della sua azione di subgoverno, della cattiva politica per cui sull'Italia è riapparso il rischio paese. È, infatti, considerato a rischio dall'estero un paese in cui il Premier fa incontri privati non verbalizzati e comunicati pubblici su soci esteri e controllate estere di un gruppo privato. Signor Presidente, lei è stato eletto con un programma - glielo ricordo - in cui si impegnava a favorire la trasparenza e la legalità dei mercati. Basta leggere il suo comunicato stampa suicida dell'8 settembre per avere la prova che lei ha fatto esattamente l'opposto!ECONOMIA DOMESTICA Partiamo dall'inizio, dal decreto di gabinetto della sua Presidenza del Consiglio. Qui troviamo registrato il signor Rovati come consigliere politi co ed economico. Escluso il politico - perché Rovati stesso dice che di politica non si interessa e non si occupa - resta l'economico. In attesa di smentita, a seguito della chiamata di Rovati per chiara fama ad una qualche cattedra di economia, dobbiamo chiederci qual è il tipo di economia per cui un economista solido e famoso come lei si consiglia con Rovati. Deve essere un tipo molto particolare di economia, diciamo in senso aristotelico; economia da oikos, economia privata, economia domestica. Forse, è per questo che il vostro piano l'avete definito come artigianale. Ma non buttatevi giù! Non è un piano artigianale: è un piano industriale; anzi, un piano settoriale e istituzionale, un piano da cui tutti avrebbero guadagnato, tranne qualcuno. Avrebbe dovuto guadagnarci la Telecom, ipoteticamente ristrutturata nel suo assetto patrimoniale e finanziario; le banche creditrici, rientrando sui crediti e risolvendo qualche problema di ratios di Basilea 2; le fondazioni, estendendo il loro ruolo sull'economia; forse, un industriale interessato ai telefonini e, soprattutto, la sua ditta politica, con le mani in pasta come regista nella ristrutturazione di un settore chiave dell'economia, delle comunicazioni e della politica. Dimenticavo di dire chi ci avrebbe perduto: il contribuente italiano. Signor Presidente, il suo non è stato un errore di calcolo economico: «qualche sbavatura», dice il ministro Bersani. È stato un errore di calcolo politico. Un errore che si è manifestato all'interno del vostro circuito di potere.ERRORE DI CALCOLO Qual è la dinamica dell'affare? Il presidente D'Alema ha iniziato le sue vacanze convinto della fusione SanpaoloMonte dei Paschi di Siena. Durante le stesse, ha letto sul giornale la notizia sulla fusione Sanpaolo-Banca Intesa. Poi, ha letto sul giornale dell'affare Telecom, di un affare che, alla Farnesina, si direbbe del tipo con ritorno non multilaterale, bensì unilaterale. È questo il suo errore di calcolo! È questo che ha causato il cortocircuito politico. È questo che l'ha portata a fare i comu nicati stampa suicidi che lei ha fatto. Veda, il problema non è lo scorporo dei telefonini da Telecom: il problema è lo scorporo, che lei ha tentato, dall'affare Telecom di un pezzo di maggioranza. Com'è stato scritto autorevolmente, signor presidente, la sua è una vocazione storica; è sempre stata quella: una vocazione sensale ad orchestrare affari. Ma, poi, lei ha fatto un salto di qualità, un progresso. Per compensare il suo deficit di forza politica, lei ha cercato di acquisire un surplus di forza economica: lei è stato fulminato sulla via telefonica al partito democratico! Qui voglio essere chiaro. Tra gli elettori della sinistra, tra gli eletti della sinistra, non domina questa ideologia, dominano valori e principi: diversi dai nostri, ma valori e principi. È a Palazzo Chigi che si concentra un'idea storta della politica, la confusione tra affari e politica! Vedo che ride, Presidente Prodi; e questo certamente rallegra chi ascolta. Veda, lei ha l'idea che la politica serva per fare gli affari e, soprattutto, che gli affari servano per fare politica. Questo il paese deve sapere. Questo il paese non può accettare. IDEALI DIMENTICATI Veda, nella terza Repubblica francese, nel pieno di uno scandalo come il suo, un uomo di governo si difese dicendo: «Delle due l'una: o non sono onesto o non sono capace». La risposta fu: «Il cumulo delle cariche non è vietato». Quante cariche ha, Presidente Prodi? Esploso lo scandalo, lei ha detto: «Mi sento metà Presidente del Consiglio, metà assistente sociale». Che lei sia, per metà, assistente sociale, lo concordi con i suoi alleati; ma che lei sia un Presidente dimezzato lo ha detto lei stesso, e noi non abbiamo difficoltà a concordare su questo. Dimezzato, commissariato, tanto debole da formulare una minaccia d'ultima istanza: «Se vado a casa, porto anche voi con me!». Non sarebbe una cattiva idea! Ancora, lei ha detto: «Quando un imprenditore parla al presidente del Consiglio, deve dire la verità». Vale lo stesso anche per lei, Presidente Prodi: quando il Presidente del Consiglio parla in Parlamento deve dire la verità. Invece, oggi, lei - ridendo ha mentito... ha mentito all'Assemblea, ha mentito agli italiani. È per questo che lei, da oggi, non può governare questo paese con la necessaria dignità. Continui a ridere! *DEPUTATO DI FI Che figuraccia di VITTORIO FELTRI Romano Prodi poteva risparmiarsi il disturbo di presentarsi alla Camera. Avrebbe evitato l'ennesima figuraccia; e mi riferisco al puntiglio con cui ha voluto incensarsi, magnificando la propria carriera di boiardo. Puntiglio non apprezzato dalla Cdl la quale non ha resistito alla tentazione di sfottere il premier con puntiglio almeno pari al suo. La visita a Montecitorio è stata un autogol del presidente del Consiglio, che non ha chiarito nulla riguardo al suo ruolo nella torbida vicenda Telecom; si è limitato a ripetere pedestremente quanto lui stesso aveva detto in precedenza facendo ridere mezza Italia e arrabbiare l'altra metà. Chi ascoltava Prodi in aula o lo seguiva in tivù era basito. Quando Romano si deciderà a uscire dalla pura chiacchiera e comincerà a spiegare l'accaduto? Attesa vana. Non ha detto una sola parola che non fosse ovvia e scontata; una lunga lagna ravvivata da qualche accenno di boria. Hanno avuto buon gioco i suoi avversari politici ad attaccarlo in maniera efficace e perfino divertente. Elegante ed efficacissimo l'intervento di Tremonti il quale ha tratteggiato il profilo di un uomo un po' perso in una coalizione bisognosa di un domatore alla Darix Togni più che di un leader. Implacabile e tagliente Fini nella sua requisitoria degna di un grande pubblico ministero. Più stentato il discorso di Casini, ma non privo di ragionamenti lucidi. Noi desideriamo aggiungere un'osservazione sulla quale nessuno ci pare abbia insistito. Si tratta di questo. Il professore, quando fu informato in Cina (dove si trovava in visita ufficiale) che Tronchetti Provera scorporava Tim dalla telefonia fissa, non fece una piega. Stringato il suo commento: boh! Non ne so niente. Tronchetti Provera ci rimase maluccio; come non ne sa niente? Gli è stato raccontato tutto e anche di più. La polemica si infiamma anche se fra i due ci sono migliaia di chilometri. A un dato momento il presidente Telecom si scoccia ed estrae dal cassetto un documento scritto su carta intestata Palazzo Chigi e firmato dal consigliere economico del premier, Rovati. Non è un documento qualsiasi: è un piano particolareggiato di salvataggio della indebitata società che detiene la maggioranza Telecom, e di acquisizione d'una parte dell'azienda da parte dello Stato mediante finanziamento della Cassa depositi e prestiti, istituzione pubblica. Il presidente del Consiglio si rabbuia e si difende così. È un progetto artigianale, buttato giù in qualche modo e, in ogni caso, senza il mio assenso visto che ne ignoravo addirittura l'esistenza. Dichiarazione quantomeno incauta perché: 1) è un'accusa di pressapochismo a chi lo ha redatto (infatti "artigianale" non è un giudizio lusinghiero); 2) non è normale che un consigliere economico prepari uno studio su di un'impresa privata e lo invii, per conto di Palazzo Chigi, al presidente di quell'impresa all'insaputa del premier. Tra l'altro, il progetto in questione non è artigianale, anzi. E se effettivamente Rovati, amicissimo di Romano, avesse agito di testa sua: 1) sarebbe stato scoperto nel giro di alcune settimane; 2) Prodi non avrebbe mai sopportato di essere scavalcato, sia pure da un amico, e avrebbe cacciato Rovati immediatamente. Cosa che invece non ha fatto. Segno che non poteva farlo. Perché? Era al corrente di tutto. Rovati poi si è dimesso e sacrificandosi ha consentito al premier di tenersi la poltrona. Siccome però le bugie hanno le gambe corte, come Prodi, la figuraccia era inevitabile. Dignità vorrebbe che Smortadella andasse a far compagnia a Rovati. di Lui sapeva e agiva per favorire gli amici di GIANFRANCO FINI Pubblichiamo di seguito l'intervento tenuto ieri alla Camera dal presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, durante la seduta per l'informativa del presidente del Consiglio Romano Prodi sulla vicenda Telecom. Anche noi, onorevole presidente del Consiglio, siamo totalmente insoddisfatti del suo discorso e, dopo averlo ascoltato, io credo sia più chiaro perché ella - non un suo sosia cinese, ma ella - ebbe modo di dire che sarebbe stata roba da matti riferire in Parlamento sulla vicenda Telecom. Non fu uno scherzo del fuso orario tra Roma e Pechino, e nemmeno una caduta di stile: una dimostrazione di arroganza che, lo dico tra parentesi, se avesse visto protagonista il presidente Berlusconi od un qualsivoglia ministro del precedente Governo, avrebbe scatenato un putiferio, con fiumi di inchiostro contro la minaccia rappresentata, per la democrazia, dalla destra becera e populista. LE DUE PAURE Dopo averlo ascoltato io credo che gli italiani abbiano capito molto bene, signor Presidente del Consiglio, che lei, a Pechino, era nervoso, così come è nervoso quest'oggi e anche - me lo permetta - il comportamento infantile di poc'anzi lo dimostra. Era nervoso perché intimidito. Di che cosa aveva paura, signor presidente del Consiglio, a Pechino, quando disse in Parlamento: «roba da matti»? Aveva due paure: innanzitutto, la paura di fare una pessima figura con i suoi alleati qualora avessero capito chiaramente ciò che anche l'onorevole Tremonti ha detto poc'anzi, vale a dire che erano stati tenuti del tutto all'oscuro da un personale piano del presidente Prodi. La seconda paura, ancora più forte, era che in Parlamento emergesse chiaramente la sensazione che il Presidente del Consiglio non aveva detto la verità e questo non solo ai suoi alleati, ma, soprattutto, a tutti gli italiani. Orbene, quella sensazione oggi è palese. Quanto al primo aspetto, è una cosa che ci riguarda davvero in minima parte. Ai colleghi della maggioranza, che sono certamente abbastanza imbarazzati per quello che sta accadendo, ricordo soltanto che chi è causa del suo mal piange se stesso. Del resto, con un presidente del Consiglio che, come ricordava Tremonti, dice che si sente nei vostri confronti metà leader e metà assistente sociale, vorrei capire che cosa vi potevate aspettare di più! [...] Ma non abbiamo intenzione di sottacere l'altro aspetto, che riguarda tutti gli italiani. Infatti, quello che è accaduto riguarda gli italiani, che sono stati ingannati dal presidente del Consiglio, e riguarda la credibilità dell'Italia agli occhi della comunità internazionale. Basta leggere la stampa internazionale per rendersene conto. Lo diciamo perché l'intervento di Prodi non ha fugato il sospetto che egli non abbia detto la verità, anzi, lo ha rafforzato. Voglio ripercorrere rapidamente la vicenda [...]. TUTTE LE BUGIE L'8 settembre (il comunicato suicida) Palazzo Chigi dirama questa nota: «Quanto apparso oggi su Il Messaggero riguardo un ipotetico altolà alla vendita di TIM da parte del presidente del Consiglio necessita di una secca smentita e di una opportuna sottolineatura. Le fantasiose interpretazioni giornalistiche - sempre colpa dei giornalisti: vero, presidente Prodi? -, che attribuiscono al Governo intromissioni ultimative sulle scelte e sulle politiche industriali di società italiane, vanno esattamente nella direzione opposta rispetto alle impostazioni dell'esecutivo». Chapeau! Se non fosse che l'11 settembre il consiglio di amministrazione di Telecom approva il piano di scorporo di TIM. Il giorno dopo, il 12 settembre, da Frascati, Prodi si dice sconcertato e lamenta di essere stato tenuto all'oscuro del piano, ma, già 24 ore dopo si smentisce e afferma che Tronchetti gli aveva garantito che TIM sarebbe rimasta sotto controllo italiano. Perché lo ha fatto, presidente Prodi? Perché, evidentemente, Tronchetti gli aveva detto di voler mettere TIM sul mercato e, quindi, non è vero che Prodi non sapesse nulla. È una prima, clamorosa e palese bugia che risulta dalle sue parole! Poi, il 14 settembre viene pubblicato il cosiddetto piano Rovati, fedelissimo consigliere economico del premier, uomo di assoluta fiducia, amico personale e di famiglia. Si tratta di un documento - è notorio - che è stato inviato a Tronchetti, con tanto di biglietto intestato a Palazzo Chigi, in cui il riassetto Telecom si basa sull'intervento della Cassa depositi e prestiti, cioè su un sostanziale intervento pubblico. Dopo la pubblicazione del cosiddetto piano Rovati, Prodi afferma di non sapere nulla, come le tre scimmie: non vede e non sente, parla. Egli scarica tutta la responsabilità sul suo consigliere, che, da amico fedele, se la assume e definisce personale e artigiano il suo progetto. È la seconda clamorosa bugia, perché non è un piano personale ed è tutt'altro che artigianale, perché è stato elaborato a Palazzo Chigi dagli esperti della presidenza del Consiglio e da una nota banca di affari, che aveva tra i suoi consulenti anche un personaggio, Costamagna, per il quale, nelle stesse ore, negli ambienti prodiani, si ipotizzava un prestigioso incarico pubblico alla guida - guarda caso - della Cassa depositi e prestiti ! IL DIETROFRONT Il 15 settembre Prodi va all'attacco e difende Rovati; esclude che si possa o si debba dimettere ed esclude di riferire in Parlamento. In serata, a borse chiuse, Tronchetti si dimette e gli subentra Guido Rossi. Da quel momento il Presidente del Consiglio innesta la retromarcia: il suo è un dietrofront su tutta la linea. Il 18 settembre Rovati si dimette, la procura di Roma apre un fascicolo. Il 19 settembre il Presidente del Consiglio accetta di riferire in Parlamento. Tutti sanno che, a chiedere che il Presidente del Consiglio venisse in Parlamento, è stata a gran voce l'opposizione ma che, ad imporglielo, sono stati proprio DS e Margherita che, finalmente, hanno aperto gli occhi [...]. Ce ne sarebbe a sufficienza per far risaltare la pessima figura del Presidente, ma ciò che induce l'opposizione a pretendere che Prodi ammetta di non aver detto la verità è la pubblicazione dei verbali del consiglio di amministrazione di Telecom del 15 settembre, quelle in cui Tronchetti dà le dimissioni. In quei verbali Tronchetti afferma che Prodi sapeva fin dai primi giorni di settembre del piano di scorporo di Telecom-TIM; che Prodi gli disse che il Governo non sarebbe intervenuto su iniziativa di aziende private, ma che in realtà, secondo Tronchetti, attraverso Rovati-Costamagna. Il vero obiettivo del Presidente del Consiglio era quello di fare intervenire la Cassa depositi e prestiti per evitare che Murdoch acquisisse il controllo della rete fissa. E, sempre secondo Tronchetti, il costo del trasferimento della rete fissa alla Cassa depositi e prestiti sarebbe stato fronteggiato dalle maggiori tasse che il gruppo avrebbe pagato al momento dello scorporo della rete: ciò attraverso la definizione di un plusvalore delle azioni. Da questo punto di vista, l'abitudine, di pensare sempre e solo a nuove tasse caratterizza tutto il centrosinistra! Certo, nessuno può giurare - e lo dico io per primo - che quanto detto e verbalizzato da Tronchetti Provera nel consiglio di amministrazione sia la verità. GARA TRA BUGIARDI È altrettanto certo che il contrasto con le affermazioni e con i silenzi del Presidente Prodi è evidente. Uno dei due mente oppure - come ha detto «la velina rossa» - forse è una gara tra bugiardi. Certo è, signor Presidente del Consiglio, che non ci fa una bella figura ! Quel che è indubbio è che Palazzo Chigi ha creato problemi seri ad una azienda privata quotata in borsa, con decine di migliaia di dipendenti, e ha sconcertato gli ambienti internazionali con il suo comportamento. Vedete, colleghi, in un giornale che non è certo di centrodestra, la Repubblica, il 25 settembre, Federico Rampini ha scritto: «Le continue invasioni di campo hanno già provocato danni», e si tratta delle invasioni di campo del presidente del Consiglio, «per esempio, hanno fatto saltare la trattativa con Murdoch sull'alleanza tra Telecom e Sky». Il famoso piano di Rovati che suggeriva lo scorporo della rete fissa Telecom ed una rinazionalizzazione mascherata attraverso l'intervento della Cassa depositi e prestiti, arrivò anche alle orecchie di Murdoch e lo convinse che il valore della Telecom sarebbe crollato, una volta sottratta la rete fissa. Che sia stata solo una soffiata o che sia il doppio ruolo di Costamagna non sta a me dirlo e mi auguro che lo accerti la magistratura. Certo è che Palazzo Chigi ha dato prova di un interventismo fuori luogo e di spregiudicatezza che riportano alla mente la famosa definizione che proprio Guido Rossi diede alla Presidenza del Consiglio ai tempi di un altro Governo di centrosinistra: «l'unica banca d'affari in cui non si parla in inglese». Oggi si parla l'inglese, ma che Prodi continui a ritenere Palazzo Chigi una banca d'affari è innegabile. Tutti sanno - e concludo - che i problemi di Telecom sono di prevalente natura finanziaria e non industriale. SAPEVA ED AGIVA Sin dai tempi delle privatizzazioni gli acquirenti hanno acquisito il controllo della società lasciando intatto l'indebitamento. A fronte di un utile di circa un miliardo e mezzo di euro annui, l'indebitamento di 41 miliardi è pari al fatturato. Negli sviluppi della vicenda Telecom vi è quindi un ruolo centrale del sistema bancario e dei centri di potere, giornali compresi, ad esso riferiti. Sono centri di potere tutti impegnati a sostenere Prodi nell'ultima campagna elettorale ed è anche per questo che l'attivismo di palazzo Chigi desta un evidente sospetto. Il piano di riassetto di Telecom come azienda privata deve essere competenza esclusiva degli azionisti. Certo, da italiani e da parlamentari, non possiamo che augurarci anche noi che un'eventuale vendita di TIM veda l'interesse di investitori italiani e soprattutto che siano tutelati i dipendenti dell'azienda. Ma dov'erano, Presidente Prodi e colleghi della sinistra, coloro che oggi parlano di interesse nazionale - e ci fa piacere - come pure di telecomunicazioni come settore strategico da tutelare? Dov'erano quando un'azienda pubblica come ENEL vendeva ad investitori egiziani Wind e la rete fissa di Infostrada né ricordo obiezioni levatesi a sinistra quando Olivetti, Presidente Prodi, vendette Omnitel all'inglese Vodaphone proprio per fare quell'operazione di cassa necessaria per la successiva scalata di Telecom. Ricordo qualcuno che parlò dei capitani coraggiosi: è facile essere coraggiosi con i soldi delle banche! La conclusione, onorevoli colleghi, è molto semplice; Prodi non è credibile quando dice: non sapevo. Sapeva ed agiva; agiva, non per tutelare un interesse nazionale bensì per organizzare scalate finanziarie, scegliere investitori più o meno amici, riportare sotto il controllo pubblico una grande azienda privata. Sapeva, agiva e contemporaneamente negava; negava e cioè mentiva. Ed è questa la ragione per la quale lo sdegno dell'opposizione certamente non è solo in questa Assemblea: è lo sdegno della maggioranza degli italiani! *PRESIDENTE DI AN Lady Rutelli giornalista per Silvio di MATTIAS MAINIERO Davanti alle donne il cappello bisogna toglierselo sempre. Se la donna è lei, bisogna toglierselo un po' di più, e inchinarsi anche. Non chiedetevi perché: voi fatelo. Prima o poi capirete che non avete sbagliato. Con lei non sbagliate mai, andate sul sicuro. Sembra gracile, docile. Poi ecco la zampata, possente e felina: Barbara Palombelli in Rutelli ieri ha firmato un contratto con Canale 5. Per la precisione, con il telegiornale della rete ammiraglia di Silvio Berlusconi, quel tg che secondo l'attuale maggioranza sarebbe una specie di cannone mediatico puntato contro il governo. Allora, questo cappello era giusto toglierselo o no? E volete togliervi almeno una papalina, un basco, una forcina (se siete donne) in segno di ammirazione per Carlo Rossella, direttore del tg, e dei vertici di Canale 5? Colpo grosso in casa Berlusconi e Rutelli, grosso sul serio. Ricordate? Poche settimane fa c'era stata una specie di sollevazione politico-giornalistica: Barbara Palombelli stava per andare a Domenica In. Uno scandalo. Ma come, la moglie del vicepremier in carica nonché ministro per i Beni Culturali nonché leader della Margherita nonché mille altre cose ancora, sulla Rai? Non si può. Trattasi di chiaro conflitto di interessi. Nulla da eccepire sulle qualità della giornalista. Diamine, è un pezzo da novanta della carta stampata e parlata, ha lavorato all'Europeo, alla Radio, a Panorama, Repubblica, Corriere della Sera. Fa questo mestiere da trent'anni, anche se è giovane. Fossero tutti come lei. Ma vi rendete conto? La rubrica di approfondimento domenicale affidata alla signora Rutelli aveva un titolo: «L'Italia domanda». E cosa avrebbe potuto chiedere l'Italia alla signora Rutelli: come sta suo marito? Come se la passa con Prodi? Per favore, vuole raccontarci tutte le cose belle del ministero per i Beni culturali? Soprattutto: ma che fine ha fatto in Italia il buongusto? In Italia il buongusto c'è ancora, anche se non si vede spesso. Passò qualche giorno e Barbara Palombelli - ricordatevi sempre del cappello - gentilmente declinò: non posso, trattasi sul serio di chiaro conflitto di interessi. Per la verità, mai chiarì perché non aveva rifiutato prima che la notizia diventasse pubblica. Ma tant'è: declinò e questo deve bastarci. Non possiamo pretendere che tutti siano come noi. Passa qualche altro giorno e arriva la firma con Canale 5. E ora chi potrà mai accusare la signora Rutelli di conflitto di interessi? Chi potrà dirle che il marito l'ha aiutata (cosa falsa e falsissima, ma si sa che le malelingue non mancano mai). Chi potrà insinuare che dalle reti televisive fa propaganda per il consorte? Non potete, cari miei. Se proprio volete parlarne male, vi consigliamo di dirottare altrove l'attenzione. Per esempio, sul Cavaliere che ha centomila e uno difetti, che è insopportabile, che sbaglia tutto. Tranne ovviamente quando c'è da far firmare contratti e sborsare soldi. Lo sappiamo: tema vecchio. È da un'eternità che gli intellettuali italiani, i giornalisti, persino i politici progressisti, margheritini e diessini in testa, attaccano il Cavaliere. E poi quando hanno un libro da pubblicare corrono tutti a corte ricordandosi che il Cavaliere è pure la Mondadori. Idem per Canale 5. È la vita, quella dei giornalisti e degli scrittori ancora più dura delle altre vite. Nota e vecchia anche l'obiezioni: ma allora, se la Palombelli non può lavorare in Rai e non può andare da Berlusconi, cosa deve fare? Starsene a casa e fare pullover a maglia, centrini con l'uncinetto? No, anche perché presumiamo che sia più brava con il computer che con il tombolo. Ha fatto bene, e non solo perché, come sanno pure i ragazzi del ginnasio, pecunia non olet. perché ci vuole coraggio a finire nella tana del biscione. E perché, brava com'è, non si è dimenticata di dare un po' di lavoro e soddisfazione anche alle immancabili malelingue che parleranno di una specie di compromesso, di inciucio mediatico, una Palombella di pace ambasciatrice tra Francesco e Silvio. Inguaribili malelingue che il cappello non vogliono mai toglierselo. A proposito, ieri circolava una battuta: Barbara Rutelli con Silvio Berlusconi? Casini in famiglia. Fate finta di non averla letta: battuta pessima. My Speed Limit ??? 400 Km/h |