Nick: iomilagno Oggetto: Ecco, per esempio... Data: 18/10/2006 15.32.20 Visite: 208
Sulla falsariga della vicenda Saviano. Un 16enne di Scampìa ieri ha riconosciuto in Aula gli assassini di Carmela Attrice, una delle vittime della faida di Scampìa e madre di un affiliato ai clan. Il ragazzino vive sotto protezione insieme alla sua famiglia e non mi stupirebbe che a Napoli qualcuno, invece di lodare il gesto coraggioso della denuncia e della messa a repentaglio della propria vita, se ne uscisse con frasi tipo: "si è messo a posto", "chi sa che gli hanno dato", "ha truat a meric", "lo ha fatto per i soldi" e così via. E' brutta sta cosa dei napoletani, credetemi, questa attitudine a essere sempre più bucchinari degli altri, più furbi, uno di quelli a cui non è facile farla, uno in pratica che sotto sotto rivela, sia pure in forme più bonarie, le stesse caratteristiche dei camorristi. Un bbuon, potremmo dire con una formula vernacolare molto diffusa in città. Io invece penso che il gesto del ragazzino sia da lodare e basta, senza se e senza ma, senza dietrologie, senza ammiccamenti complottisti, sia da lodare come il gesto di chi, pur nato e cresciuto a Scampìa, rifiuta la loro legge e le loro regole. Il gesto di un piccolo grande eroe, un fiore cresciuto nel cemento di una periferia troppo triste per essere vera. Questi fiori che la camorra tenta di estirpare con la violenza cerchiamo almeno noi di accudirli e dargli linfa mettendo da parte quella sottocultura del sospetto che riserviamo troppo spesso a chi ha le palle di alzare la testa e combattere. http://ilmattino.caltanet.it/mattino/view.php?data=20061018&ediz=NAZIONALE&npag=33&file=KIK.xml&type=STANDARD LEANDRO DEL GAUDIO Prima di entrare in aula ha raccontato al pm di avere paura, di essere spaventato per il suo futuro e per la sua famiglia. Poi ha accettato di entrare in aula quando gli hanno assicurato che sarebbe rimasto sempre coperto da un separé bianco, «protetto» dagli sguardi del pubblico e degli imputati anche da cinque agenti del servizio di protezione. È solo allora che Gaetano, diciassette anni, nervi tesi e qualche esitazione, ha ricostruito il sabato mattina che ha cambiato la sua vita e quella del suo nucleo familiare: era il 15 gennaio del 2005, quando la 47enne Carmela Attrice venne ammazzata sotto casa, a Secondigliano, nella zona delle «palazzine celesti», all’apice di quella che venne definita «pulizia etnica», la guerra tra clan Di Lauro e scissionisti che divorò in pochi mesi più di cinquanta vite. Fu uccisa perché madre di Francesco Barone, transitato nelle fila dei ribelli a Paolo Di Lauro, al termine di una lunga strategia di minacce e intimidazioni. Di quella gelida mattina d’inverno, di quell’assassinio, Gaetano ha raccontato tutto, confermando ieri in aula il ruolo dei sette presunti assassini (tra cui un minorenne che oggi ha ottenuto la cosiddetta messa in prova) e imprimendo una svolta alle indagini condotte dalla Dda di Napoli. Lui, teste coraggio a sedici anni, avrebbe potuto tacere e ritornare a spalle larghe nel rione, magari accudito dalla mutua assistenza del cartello egemone. Non lo ha fatto e la sua storia di paura e isolamento servirà probabilmente ad inchiodare i killer dell’assassinio di una donna, di una mamma. Le prime domande gli vengono formulate dal presidente Achille Scura, che gli dà confidenzialmente del tu, per infondergli fiducia, per dargli il coraggio che serve a chi si schiera contro la camorra. «Vado a scuola, faccio la terza media. Vivo in località protetta. Ho qualche amico, niente più». In aula, dietro le sbarre, i sei amici di un tempo «accuditi» dalla folta platea di parenti. Dopo qualche esitazione, lui li riconosce uno per uno, elencandoli in fotografia alle domande del pm Stefania Castaldi: «Erano lì quel giorno, sono Salvatore Monaco («Totoriello»), Salvatore Starace («Bin Laden»), Michele Tavassi («Zuì»). Erano armati e li ho visti sparare e uccidere Carmela Attrice. Ricordo - ammette dopo la contestazione del pm - che «Bin Laden» inveiva perché i colpi esplosi dai complici gli sfiorarono il volto». In gabbia i sei imputati si muovono a scatti, ridono istericamente, rosicchiano le unghie. Rotto il ghiaccio, Gaetano racconta lo scenario. «All’inizio si stava in pace, poi la guerra, quando gli imputati passarono col clan Di Lauro». Come fa a saperlo? «Perché vidi l’imputato Salvatore Zimbetti («zingarotto») incontrare la sera prima dell’omicidio due in moto che venivano da via Cupa dell’Arco, roccaforte dei Di Lauro. Era il segnale. Poi furono convocati Salvatore Esposito («’o topo») e il fratello Gennaro per preparare il raid. Un ragazzino, il minorenne Pasquale R., chiamò Carmela Attrice dal citofono e la donna venne ammazzata». Poi il capitolo delle minacce: «Seppi che i giorni precedenti l’omicidio vennero messi dei bigliettini sotto la porta della donna, la frase ricorrente era "se non te ne vai ti accendiamo viva a te e tua figlia"». Poi il film del delitto: «Il primo a sparare è stato Salvatore Monaco, stava seduto sotto al casotto di ferro, vicino alla statua di padre Pio, poi sono scappati tutti via». L’esame termina qui, lui, in attesa delle domande della difesa (avvocati Diego Abate, Claudio Davino e Vittorio Guadalupi), tira un sospiro di sollievo, trincerandosi in una vita di silenzio e paura. |