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Nick: POMPEO
Oggetto: miseria in classe
Data: 18/11/2006 13.41.46
Visite: 111

I piccoli registi delle nostre miserie (e la malattia di essere «visti»)


Gli studenti di Torino picchiano il disabile e lo filmano per poi condividere su Internet il piacere di rinnovare la scena ogni volta che ne hanno voglia. I ragazzini di Ancona violentano la tredicenne riprendendo la bella scena e la scaricano in rete dove potranno gustarla, commentarla e, probabilmente, vantarsene con gli amici. E più o meno lo stesso è successo a Napoli, a Ginevra e in innumerevoli altri recenti casi di aggressioni.
Quasi tutti avvenuti a scuola, come testimoniano i risultati delle ricerche in rete, che in una catena inattesa e disgustosa di botte e angherie si materializzano sullo schermo, serpente velenoso che si mangia altre illusioni sui nostri figli. Li sapevamo immaturi, indifferenti, privi di iniziativa, forse ignoranti o anche maleducati: non perversi. D’un colpo, tutti questi giovani filmaker dei loro stessi orrori, neppure ancora maggiorenni, spesso soltanto adolescenti, sembrano essersi trasformati in adulti opachi, disfatti dalla noia: vecchi stanchi che, ormai estranei alla vita, si chiudono nelle loro buie stanze per guardare filmini oscenamente violenti o pornografici, unico mezzo per riuscire a strapparsi ancora un guizzo di vitalità.
Evidentemente infettati da una malattia che da tempo si sta allargando nella società, per cui esiste solo quello che si vede in televisione e tutto il resto è ininfluente e senza peso, picchiano, stuprano, umiliano, ma, contemporaneamente immortalano o raccomandano di immortalare, forse perché sentono che, se nessuno li guarda mentre esercitano le loro odiose sopraffazioni, se nessuno dei tanti confratelli di vizio li osserva, li approva, magari, anche, li invidia, rischiano di scoprire il nulla inconsistente di cui sono fatti.
Non potendo andare in televisione, si arrangiano per finire almeno su Internet, dove, c’è da immaginarlo, già sono diventati personaggi, quasi eroi: del male, è vero, ma per loro non si tratta certo di una controindicazione. Né un caso, a questo proposito, che il picchiatore del disabile nella scuola torinese si sia affrettato a dichiarare che non era stato lui a scaricare il filmino in rete e che, anzi, non ne non sapeva nulla: probabilmente ha avuto la percezione che prendere a calci è un conto, ripeterlo decine di migliaia di volte nei fotogrammi della rete, per la sicura proliferazione della violenza contro i deboli e la soddisfazione degli ebeti guardoni, tutt’altro.
Se una consolazione ci può essere, sta soltanto nel fatto che l’ansia di mostrarsi e di riguardarsi di questi sfigatissimi giovani deve essere tale da far perdere loro la misura del rischio che corrono: è, infatti, proprio grazie a Internet, grazie alle tracce dei telefonini che, fino adesso, sono stati quasi sempre smascherati.
Isabella Bossi Fedrigotti



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