Nick: rockgirl Oggetto: Jaroslav Seifert e Praga Data: 29/11/2006 15.27.51 Visite: 460
Praga l'ho potuta vedere solo in qualche foto e sentita in qualche parola. Insomma, lasciamo da parte una qualche pragomania. Quella la cediamo ai molti pseudo-intellettuali italiani che fanno un po’ di confusione tra cechi, boemi, moravi, catalogando spesso gli autori sotto la voce "boemi". Oppure, ancor peggio, definendo Kafka grande scrittore praghese: peccato che i praghesi non sentano affatto Kafka "loro" scrittore, bensì scrittore tedesco di Praga…ma sono piccoli errori che capitano a tutti! (è anche vero che per gli italiani è difficile conoscere la Praga dei secoli passati, spesso al centro di diverse correnti culturali, per il grande vuoto editoriale, colmato solo in parte da Praga magica di Angelo Maria Ripellino e da Praga d’oro e nera di Demetz) Ora come ora, se mai dovessi avere, per chissà quale miracolo, la possibilità di partire, me ne andrei alla volta di Praga. Ma anche Edimburgo o Bucharest non mi dispiacerebbe mica, oh! Insomma, ritornando a noi, se c'è qualcuno che ha scritto con il cuore di Praga, questo è certamente Jaroslav Seifert, sconosciuto premio Nobel per la Letteratura, che ha amato Praga come s’ama una donna e l’ha cantata come nessuno mai. Se vi può interessare, lascio qualcosina. E' per dovere d’amore che Seifert ha scritto poesia per sessant’anni, come lui stesso afferma nel 1967: "Se dite che i versi sono anche canto, tutta la vita ho cantato". Versi che potrebbero leggersi sulla sua tomba, se non fosse che in una sua poesia dice di voler essere cremato perché non voleva, pur amando molto i cimiteri, essere seppellito "in fila". "la bella venditrice di fiori, di oro e di ampolle": Praga. Nessuno ha cantato Praga come Seifert. Essa è per lui un sorso di vino, vaso, sigillo, messaggio, canto, parola detta per speranza. E’ anche il luogo dove la scacchiera- Europa si sfonda, dove un salame di cavallo profuma intere vie "in beffa della morte". E’ l’abisso della morte. Questa città d’amore è "magica" in lui non tanto per le alchimie e per quel corpo medievalbarocco, quanto perché proprio là, nella città capitale dei labirinti, possono ancora e sempre germogliare e fiori e amori. Ed è "tragica" non tanto per le guerre, le invasioni e i destini personali dei praghesi e non praghesi, quanto perché proprio là, dove facile è piangere le sventure e dove Pasolini si inginocchiò, l’abisso della morte coincide col cielo della vita. Praga allora, magica e tragica, è in realtà dovunque, perché la personalità straordinaria di una città, seppure cantata da cento voci diverse, mai può né deve scardinare da sola un fatto che è antropologico: l’amore per la vita e la paura della morte, che sono, ovunque, la stessa cosa veduta in momenti diversi. Praga magica e Praga tragica in Seifert finiscono col coincidere. E questa è la soluzione del conflitto vita/morte quando il tema è Praga. Per Seifert Praga è una donna-vita, non una donna-morte di cui il poeta non parla quasi, certamente per pudore. Sul piano oggettivo e filosofico Seifert non teme il conflitto tra la vita e la morte. Sul piano soggettivo e psicologico(la donna) ne rilancia invece la drammaticità ricorrendo non certo a caso a una fanciulla e offrendo lui, il poeta, la serenità che a tutti occorre per affrontarlo con equilibrio. Un poeta ceco di Moravia, Jan Skàcel, disse che se avesse dovuto paragonare Seifert ad alberi o a fiori, avrebbe scelto il sambuco. Del sambuco quasi tutto è interessante. Intanto, è arbusto oppure albero. Come tale, è noto e citato per esser "vuoto", espressione popolare per dire che ha midollo particolarmente abbondante, insomma tanta anima. Questa ricchezza d’anima, così delicata da sembrare assente, è proprio sefertiana. Ma il sambuco include fatti oscuri e profondi: è l’albero al quale forse si è impiccato Giuda ed è uno degli alberi prediletti dalle streghe; ambigua è poi la sua drupa nera: velenosa da un lato, secondo alcuni, buona per marmellate secondo altri. E i fiori? La tisana o infuso aiuta l’unico luogo del corpo dove Seifert sente e teme la morte: la gola (nella Canzone sulla guerra il primo verso comincia con "strozzate la guerra!"). E’ vero, Seifert predilige la rosa, l’unica cosa che alla fine resta, come scrive in una poesia. Ma se la rosa è simbolo, il sambuco è luogo complessivo che compone il ritratto del poeta: anima grande nel fusto, drupa nera, fiore bianco non recidibile: muore in pochi minuti. Il bianco dei fiori allude alla purezza; la disposizione dei fiori ha una certa regolarità e costanza da potersi definire fedeltà. Si può concludere che Seifert è non un poeta maledetto, bensì benedetto. Seifert ha sì una malattia, ma una malattia alla rovescia: quella della serenità e della bellezza, che egli infila nei buchi neri dell’inquietudine esistenziale. tutto il resto su google e wikipedia
Eppur va tutto bene va proprio tutto bene, manca un po' l'appetito e il valium per dormire l'ho finito. |