Nick: K|NT4RO Oggetto: Leggetevelo Data: 8/1/2007 20.58.15 Visite: 127
Pinochet e Saddam, la doppia morale Usa. di Tahar Ben Jelloun La morte senza la condanna del dittatore cileno è una porta aperta a ogni forma di barbarie Augusto Pinochet, un dittatore, un assassino, un esecutore degli ordini dei suoi padroni americani, è appena morto nel proprio letto in età avanzata. Ha potuto perfino beneficiare dei progressi della medicina, che hanno alleggerito e reso sopportabile la sua malattia. Non è certo il primo uomo politico che ha commesso crimini contro l'umanità in tutta impunità a lasciare questo mondo circondato dai suoi famigliari, quasi fosse un brav'uomo che abbia trascorso la vita intera a lavorare duramente per garantire ai propri figli una vita decente. I dittatori, di tutte le epoche e di ogni parte del mondo, che sono morti nel loro letto sono numerosi. Perfino Dio pare chiamarli a sé in tutta calma, una volta che abbiano portato a termine il loro immondo lavoro. Disturbare un dittatore quando è nel pieno della sua attività è fuor di luogo. Uccidere e fare uccidere, torturare, fare scomparire uomini e donne sospettati di opporre resistenza e di appartenere all'opposizione: questo è il loro lavoro. Ricordo un articolo dello scrittore haitiano René Depestre, da lui scritto dopo la morte di Duvalier padre, il dittatore che ha oppresso Haïti e che ha fatto sì che il figlio gli succedesse. Mi pare che il titolo dell'articolo fosse più o meno questo: 'Un cadavere da uccidere più volte'. René Depestre, che aveva patito sulla sua pelle gli effetti di quella dittatura, voleva far capire che ci sono dei morti la cui semplice morte non basta, non può bastare, che occorrerebbe qualcosa di più, non tanto nel senso di una vendetta, quanto in quello della giustizia. Personalmente, confesso che la morte di Pinochet, senza che egli sia stato giudicato per i suoi crimini, è inaccettabile. Nella sceneggiatura di un film o di un'opera teatrale, io l'avrei fatto catturare e giudicare da persone competenti. Avrei fatto sfilare in tribunale in veste di testimoni le famiglie dei desaparecidos e dei morti sotto tortura, per ricordare al mondo che cosa è stato questo mostro. In occasione dei suoi funerali abbiamo visto alla televisione delle immagini conturbanti: alcuni giovani brandivano il ritratto di Pinochet e ne compiangevano la morte, mentre altri, soprattutto donne, erano letteralmente in lacrime. Chi racconterà a quei giovani tutte le sofferenze, tutti i patimenti da lui inferti a migliaia di altri giovani? Chi racconterà la storia delle sue milizie che facevano irruzione nelle case e ne portavano via con la forza tutti gli uomini per condurli ai campi di prigionia, torturarli e gettarli dagli elicotteri in mare aperto dopo averli rinchiusi in sacchi di tela? Chi racconterà la verità su Salvador Allende, eletto democraticamente per governare il Cile nel 1973 e poi attaccato dai carri del generale Pinochet che obbediva agli ordini di Henry Kissinger, per farla finita una volta per tutte con quell'uomo sgradito all'Amministrazione americana? Giudicare Pinochet significa giudicare anche i responsabili americani. È qui che occorre cercare le motivazioni del sistematico rifiuto da parte degli Stati Uniti a riconoscere la legittimità del Tribunale Penale Internazionale. Questa istituzione giudiziaria non è gradita agli americani perché difende le vittime, i deboli, la popolazione. L'uomo Augusto Pinochet, l'individuo, non ci interessa affatto. È soltanto un essere spregevole, la feccia dell'umanità. Ma la sua azione politica, il suo sistema ci interessano, invece. Queste sarebbe necessario giudicare. Gli uomini se ne vanno, i crimini restano. Poco alla volta in politica il concetto di moralità si è eclissato. Si parla oggi di realismo politico, di cinismo, di rapporto di forza. La giustizia è ciò a cui ricorre in modo palese solo il debole e se giustizia non gli è fatta, se la giustizia è negata, o è impugnata, allora ad avere la meglio sono la legge della giungla, il predominio del più forte, la supremazia della menzogna, quella accampata da G. W. Bush, per esempio, per legittimare l'occupazione dell'Iraq. L'impunità di cui ha beneficiato Pinochet lo ha indotto a lasciare una lettera postuma, nella quale adduce ragioni per i propri crimini: ha scritto che li ha commessi per evitare che il Cile precipitasse nel marxismo. La cosa peggiore è che lo ha dovuto credere davvero, perché questa era la tesi dichiarata dei suoi padroni americani. Oggi è la volta del processo a Saddam Hussein che questa stessa America ha voluto in Iraq. Se Saddam merita a pieno titolo di essere giudicato per i suoi numerosi crimini, perché gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per rendere possibile il processo del loro amico Pinochet? Siamo in presenza di una politica dei due pesi e delle due misure. Una morale a geometria variabile. Questo atteggiamento toglie credibilità alla politica del Paese più potente al mondo e soprattutto offre un cattivo esempio a quelli che si schierano al suo fianco. La forza senza giustizia è brutalità. La politica senza morale è una porta aperta a ogni forma di barbarie. traduzione di Anna Bissanti Mi piace soprattutto quest'ultima frase,credo che in questa politica ci sia proprio bisogna di una morale pura,sana e soprattutto unica, a diferenza di oggi in cui ognuno ha la sua morale e la utilizza a suo piacimento. Un'altra soluzione sarebbe eliminare ogni forma di morale,ma questa è un'altra storia.
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