il mio urlo non ti arriva e nemmeno io riesco a sentirlo
una piccola parte di me a quest'ora, quando è tardi per ricordare, quando è troppo presto per dimenticare
questa parte piccola di me si sveglia
come in un incubo
così tutto dannatamente reale, le vecchie paure ancora sedute nel fondo del mio stomaco. così crudele, così buona, mi sento una regina che può condannarti a morte
tu mi hai offerto il coltello, mi hai insegnato a maneggiarlo; con cura ho scelto il pezzo migliore da torturare e mi sono accanita sulla parte più tenera di noi due, sul centro di tutto, su quello che ci unisce e che ci separa, dove io comincio e tu finisci. ho piantato la lama con fermezza, sotto la mia mano ho sentito la pelle tendersi; ho visto il primo sangue venire a galla per ricordarmi che era su corpo vivo che infierivo e sangue che odorava di fresco scorrere con una lentezza struggente, sangue pietoso a chiedere pietà e pietà di noi.
poi il velo dei muscoli, nervi tesi a difendersi, la lama specchiata nel delitto per giusta causa.
oggi eccoti ancora, tu ritorni con la ferita umida. mi chiedo se hai pianto, mi chiedo se hai mai pianto, mentre accarezzo la nostra pelle massacrata.
tu mi armasti, tu m'indicasti il punto, tu eri pronto a tutto questo.
tu sei l'eroe ed io ti mandai in guerra. ora vuoi la mia grazia e chiedi speranza, speranza per noi.
la cicatrice più sofferta, è quella che mi avvolge per intero, quella che non vedi e mi costringe all'impassibilità
con cui ti riaccolgo, ti riapro la strada già sapendoti incapace ad arrivare in cima; perché tu fai di me il boia,
ma é sulle tue dita il sale a grani grossi che ogni volta, leggerezza inevitabile, cade su questa ferita.